Dove sei ora, papà mio? Te ne sei andato in silenzio, quasi senza che ce ne accorgessimo, senza parlare, senza lamenti, come addormentandoti, smettendo semplicemente di respirare. E noi a tenerti la mano, una sul cuore, per capire quando avrebbe smesso di battere.
E non riuscivamo a comprendere le tue frasi sussurrate a fatica, in quelle ultime ore, con le labbra che ti tremavano, e tu chissà cosa avresti voluto dirci, perché l’ avevi capito che la morte era là, accanto a te e tu l’ avevi chiamata tante volte.
Non sapremo mai se te ne eri accorto, se avevi paura, e non sapremo mai cosa ti pareva di scorgere nello schermo scuro della tv, sistemata di fronte a te, in quella cameretta che era diventata la tua tomba. Parlavi con il fondo nero di quel trentasei pollici, quasi ci fosse qualcuno ad ascoltarti. Dio?
Ti bagnavamo le labbra aride, perché avevi sete e non potevi ingoiare più,e l’ acqua scorreva in un rivolo sul tuo mento e sul collo piegato sul cuscino.
Ti dovevamo dire più spesso quel “ ti voglio bene” che ultimamente ti ripetevamo come a recuperare il tempo perduto. E tu un giorno, quando ancora stavi abbastanza bene e potevi parlare senza difficoltà, dopo che ci eravamo baciati più volte, salutandoci, dicesti: “ Perché queste cose non le ho fatte prima?”.
Ma si sa: il rimpianto è una di quelle bestie crudeli, che sbucano dalla loro tana solo quando è troppo tardi per impedire che ne escano, e poi si aggrappano al nostro cuore e lo divorano a poco a poco.