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Due passeggiate infantili

Biografie e Diari

Ho l'impressione che i nostri ricordi abbraccino cose tanto più lontane nel tempo quanto più l'età avanza: a quaranta o a cinquant'anni ricordiamo bene ciò che facemmo quando ne avevamo trenta o venti, mentre a sessant'anni e più ci vengono in mente con maggiore intensità certi episodi di quando avevamo dieci anni, di quando eravamo bambini (nessuno potrà venircelo a dire, ma chissà, può darsi che in punto di morte immagineremo di essere ritornati nel grembo materno: morire non è forse tornare alla nostra condizione prenatale?)

Ho passeggiato molto nella mia vita, visitando a piedi quasi intere città come, a parte Napoli, Parigi, Lisbona, Genova, Ginevra, Barcellona, Vienna, Bruxelles, Palermo, Londra, ma il ricordo di queste camminate è nella mia mente ora forse meno vivido di quello di un paio di passeggiate infantili, di quando avevo sei o sette anni, nel territorio della mia cittadina ed entrambe ripetute più volte.

Abito da tanto tempo a sud della cittadina, a circa due chilometri da dove sono nato e vivevo da bambino. C'è rimasto ancora un po' di terreno edificabile, ma allora c'era soltanto la campagna coltivata, con qualche casolare sparso. In uno di questi viveva un'anziana donna che allevava e vendeva le galline, delle quali la mia nonna pesarese era molto ghiotta, non disdegnando né le interiora né il (per lei) prelibato "buccon del pré t", cioè il sedere. Ero un bambino, e qualche volta mia nonna mi diceva: "T'ha fnid i compit? Gim a to' 'na galé na da la cuntadé na! " Già, perché mia nonna non si accontentava delle galline vendute morte, ma le voleva uccidere lei! (Nella sua casa di Pesaro, in cui era rimasta fino al 1935, aveva avuto un giardinetto e aveva allevato, per il consumo familiare, delle galline.) Anche se non l'accompagnai tante volte, ricordo il ritorno a casa con la gallina starnazzante in braccio a mia nonna, e soprattutto il momento dell'uccisione dell'animale: io afferravo la gallina tenendola ben stretta, e la madre di mia madre le affondava un ben affilato coltello nel collo; il sangue sgorgava copioso, finendo nella tazza del water... Adesso non sarei capace neppure di sopportare la vista di una tale operazione, ma da bambino, condizionato soprattutto da mia nonna (e forse anche dalla dottrina cattolica che mi veniva inculcata), non avevo alcun interesse per gli animali, li consideravo alla stregua di cose. E mia nonna era una donna molto pratica (arrivava addirittura a sostenere l'inutilità delle zone archeologiche, come quella di Pompei, ritenendo che sarebbe stato meglio eliminare quelle rovine per costruire, al loro posto, case dove fare abitare i "pò r cristiè n" ...) : suddivideva drasticamente gli animali in due ben diverse categorie, quella degli utili (che si potevano mangiare) e quella degli inutili (come i cani e i gatti) . Ora, lo sottolineo, mi vergogno un po' di essere stato il complice della morte di quelle galline: continuo a mangiare carne, ma non potrei assolutamente visitare un mattatoio.

Un po' più poetica, invece, era la passeggiata (sempre di un paio di chilometri, ma a nord di dove abitavo) che, in quello stesso periodo, facevo talvolta con un mio amichetto toscano e sua nonna, molto diversa dalla mia. Era una donna sulla settantina, alquanto fine e spirituale, che i miei occhi di bambino scambiavano quasi per una nobildonna. Era rimasta vedova molto presto, con un unico figlio (il padre del mio amico), e con lui, sua moglie e il nipote si era trasferita nel 1952 nella mia cittadina, dove il figlio aveva trovato lavoro in uno stabilimento aeronautico. Andavamo a prendere delle mattonelle ancora rimaste, dopo quasi tre lustri dalla fine del secondo conflitto mondiale, nel luogo che era stato la sede di un'altra, e più importante, industria aeronautica, distrutta dai bombardamenti alleati nel 1943. (Mia madre, allora signorina, era stata assunta come dattilografa da quella fabbrica poco prima che essa venisse distrutta dagli angloamericani. E mia madre, che era una ragazza semplice e non si occupava di politica, ricordava soltanto che quando, durante la prima metà della guerra, nella mia cittadina c'erano dei militari tedeschi, essi si comportavano molto educatamente con le donne del luogo, mentre poi gli americani non facevano altro che ubriacarsi e cercare insistentemente le "signorine", rozzamente prendendo quasi tutte le donne italiane per prostitute...) Ebbene, quando aiutavo la nonna del mio amico a raccattare quelle mattonelle sopravvissute (servivano ad abbellire il suo piccolo giardino), mi sentivo un po' in colpa, mi consideravo un poco ladro, anche se sapevo che il loro legittimo proprietario (lo stabilimento) non esisteva più da tanto tempo...

Ecco, quando ero bambino amavo senz'altro più le cose che gli animali (e forse - lo riconosco, anche se non è molto edificante ammetterlo - pure le persone al di fuori dei miei parenti più cari mi erano sostanzialmente indifferenti) .


Antonio Terracciano 29/03/2017 12:13 3 796

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Questi racconti, che hanno ben poco di fantasia e tanto di storia vissuta, andrebbero raccolti religiosamente in grandi biblioteche, da lasciare in eredità alle nuove generazioni. Oggi, impegnati tutti a correre verso il futuro e il progresso (che di progresso ha ben poco) si tende a sminuire tutto ciò che è ricordo. E invece il ricordare è l'unica operazione davvero importante e degna di lode in questa società così povera di umanità e di valori. Grazie per questo contributo.»
Silvana Poccioni

«Letto con molto interesse. Se si dovesse raccontare la verità vissuta (e così si dovrebbe fare) si dovrebbe riscrivere la storia. Per quanto riguarda gli animali, beh, le nostre nonne- mamme la pensavano in quel modo. Ma non potevano fare diversamente.»
Vera Bianchini

«Una volta esistevano le carbonaie, scantinati che affacciavano sulla strada e dalle grate della finestra si scaricava il carbone per il riscaldamento. Cumuli su cumuli, poi si esauriva la scorta superiore poi quella immediatamente sotto e così via fino a raschiare il fondo; così vanno i pensieri ed i ricordi. Man mano che passano glia anni e si consuma il carbone scopriamo la tenerezza ed il rispetto maggiore ed affiorano i ricordi più lontani... nostalgia ed amarezza, talvolta! Un bel racconto, mi parli qualche volta della bella Napoli, città di mio padre e mio secondo amore dopo la mia compagna. Un abbraccio maestro»
Luciano Capaldo

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