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Quella tenda di bianca organza

Amore

Era tornata in quella stanza, dopo un lungo viaggio che le aveva consumato scarpe e cuore, era tornata per restare questa volta, per lasciare che le sue ali affrante ritrovassero la forza del volo. La prima cosa che fece, appena aprì la porta, fu togliersi le scarpe, voleva sentire sotto la pianta dei piedi il calore ruvido delle mattonelle di cotto. Chiuse gli occhi e li riaprì, tutto era rimasto immutato come se quella tenda mossa dal vento odoroso di mare e quella luce che entrava di traverso la stessero aspettando.

Era trascorso un anno, e le sembrava fosse stato solo un battito di ciglia: tutto era rimasto come l'aveva lasciato, le sembrava di percepire ancora i loro odori, quelli della pelle e dei baci, quelli delle mani intrecciate e degli sguardi avvinti. Era tornata per restare, perché di tutte le sue fughe, delle avventure, delle sfide che aveva vissuto in quell'anno le erano rimasti muscoli e cicatrici ma il cuore, il suo cuore era rimasto lì. Staccò la tenda e tolse le lenzuola, raccolse i vestiti lasciati sulla sedia, mise il tappeto sul davanzale della grande finestra; il sole di quel mattino di giugno era caldo, l'aria profumava di mare, anche se era lontano, anche se era solo una scheggia di luce che vedeva brillare all'orizzonte. Raccolse i capelli con un crocchio tenuto da una matita, ed andò alla fontana, in cortile, a lavare la tenda e le lenzuola con il sapone di Marsiglia: voleva tornare agli odori della propria infanzia, a quel bianco di lenzuola stese al sole tra le quali aveva giocato a nascondino con lui quando erano ancora dei ragazzi, sorrise al ricordo. Quando ebbe finito stese il bucato, raccolse un filo d'erba che si portò alla bocca e si sedette sulla veranda con le gambe appoggiate alla staccionata, si guardò i piedi sporchi di terra, le aveva regalato sensazioni voluttuose camminare tra le zolle calde di sole, allungò una mano alla brocca dell'acqua, ne bevve un sorso tutto d'un fiato e cominciò a cantare: un canto lento, una ninna nanna dolce che parlava di un soldato che tornava dalla guerra per riabbracciare il suo amore. Trascorsero le ore calde del giorno accompagnate dal canto delle cicale, lenta la luna salì all'orizzonte mentre il sole si tuffava in quella scheggia di mare che vedeva dalla sua finestra, era il giorno del suo compleanno, aveva deciso di tornare in quella casa, di dormire in quella stanza, di lasciare che tutto l'amore del mondo l'attraversasse e che arrivasse fino alle sue dita: avrebbe scritto un romanzo ed in quella storia ci sarebbero stati loro due, eterni ed eternamente intrecciati alle Parole che avrebbero riempito le pagine... e lì trascorse la sua estate, camminando tra le vigne ed i prati, coltivando un piccolo orto, pedalando con la sua bici bianca con il cestone di vimini fino al paese e scrivendo, scrivendo nelle notti di luna e nelle albe odorose di rugiada, scrivendo nei caldi pomeriggi bruciati d'arsura quando nemmeno un alito di vento muoveva la sua tenda bianca d'organza, scriveva e lo amava, scriveva e intrecciava i loro destini. Alla fine di settembre, quando alla luce abbacinante dell'estate si stava sostituendo la dolcezza dei colori d'autunno concluse la sua storia. Raccolse i suoi fogli, li allineò e pianse, il cerchio si era chiuso, ora loro erano lì, tra quelle pagine, per sempre. Scese le scale della cantina ed andò a prendere una bottiglia di vino rosso, la ripulì della polvere e l'aprì lasciando il prezioso liquido rubino mescolarsi con l'aria. Si fece una lungo bagno ed indossò un abito bianco, leggero, di pizzo di sangallo, scese in cucina a piedi nudi e si versò del vino: "Alla nostra Storia" sussurrò piano. Bevve un sorso di quel nettare odoroso e chiuse gli occhi. Sobbalzò quando sentì bussare piano alla sua porta. Un colpo, pausa, due colpi, pausa: sapeva già chi c'era là fuori.

Andò ad aprire la porta con il cuore in gola, e la delusione le si dipinse sul volto e sugli occhi accesi quando nella luce del tramonto vide la figura che si stagliava non era quella desiderata e temuta bensì quella del fratello Matteo.

"Cosa ci fai qui?" gli chiese ancora stupita .

"Ho una lettera per te" le rispose Matteo senza aver il coraggio di guardarla negli occhi.

"Versati un bicchiere di vino, lo sai dove sono i bicchieri, vado a mettermi le scarpe" gli urlò dalla camera accanto, era un modo di prendere tempo, in realtà Giulia amava restare a piedi nudi e con Matteo aveva confidenza anche se si erano scontrati più volte. Si chiese cosa potesse volere, per un istante aveva sperato che...

Respirò a lungo prima di tornare di là: Matteo era voltato e stava sorseggiando lentamente il vino, aveva le spalle contratte e sobbalzò quando Giulia lo chiamò.

"Matteo, non mi aspettavo una tua visita, anzi a dire il vero non mi aspettavo alcuna visita, come mai da queste parti?"

Matteo si girò lentamente e la squadrò da capo a piedi, si soffermò sulla curva del suo collo, sui capelli bagnati, sul viso abbronzato e senza trucco: "Ti trovo bene, Giulia, il tempo per te sembra essersi fermato".

"Dimmi cosa ti porta qui Matteo, non sei certo venuto per una visita di cortesia, non sapevo che tu fossi in paese, quassù arrivano poche voci ed io mi circondo di silenzio" Giulia parlò con decisione.

"Sono solo latore di un messaggio, anzi di una lettera: è di Giovanni, me l'ha lasciata l'anno scorso, mi ha chiesto di fartela avere oggi, il giorno del suo compleanno. Qualunque cosa sia accaduta tra noi, Giulia, ti prego di perdonarmi, sono stato duro con te, con voi, ma oggi... la vita, mi ha aperto gli occhi, a badilate, ed ora ho compreso. Grazie per il vino, a presto" ed uscì a grandi falcate senza che lei avesse il tempo di rispondere.

Giulia era rimasta esterrefatta, sembrava quasi che Matteo le stesse chiedendo scusa. Guardò la lettera appoggiata sul tavolo: "La leggerò dopo" pensò.

Giulia sapeva che in quella lettera avrebbe trovato tutte le risposte alle proprie domande, forse sarebbe stata libera, libera dopo, forse no. Non aveva paura non aveva paura di ritrovarsi ancora affranta dalla mancanza, era trascorso un anno, un anno senza i suoi baci, le sue carezze, i suoi “ ti amo”, un anno senza quei palpiti del cuore che le facevano tremare le vene dei polsi, un anno senza la sua pelle fusa a quella di lui. Aveva pianto, aveva urlato, era partita ed aveva girato il mondo fino a consumare le scarpe, aveva scoperto che quell'uomo non sarebbe più riuscito a toglierselo dal cuore, troppo amore, troppa passione, troppa fusione di anime e di corpi, era tornata ed era ancora sua, lo sarebbe stata per sempre e quello che contava, quello che lui aveva portato nella sua vita e nella sua anima era fissato indissolubilmente alle Parole del suo romanzo: decise che non avrebbe letto quella lettera, non importava più, la lasciò sul tavolo della cucina ed uscì a camminare sul sentiero che attraverso un bosco l'avrebbe portata fino alla scogliera a picco sul mare.

Respirò un'aria dolce che profumava di pioggia, e mano a mano che si avvicinava la mare ed il rombo delle onde le riempivano la testa e l'anima si sentì colmare da una grande pace, l'avrebbe letta dopotutto quella lettera, se lui gliel'aveva scritta era giusto che ne conoscesse il contenuto, ma lo avrebbe fatto poi, quando sarebbe stata pronta, quando il cuore avrebbe smesso di martellarla nelle orecchie ed il respiro si fosse fatto lieve. Aspettò la pioggia che puntualmente arrivò dolce e tiepida portata dal vento di mare, si insinuò tra i suoi capelli sciolti e nelle pieghe delle labbra, sottile, lieve come una carezza. Quando cominciò a rabbrividire si alzò e si avviò verso casa. La lettera era ancora lì, si versò un bicchiere di vino e l'aprì:

"Amore mio" cominciò a leggere " ti vedo sai, mentre ti sto scrivendo, vedo le tue mani che si muovono come se disegnassero arabeschi nell'aria, disegni che solo il tuo cuore può dettare, vedo il tuo viso dolce e quegli occhi così grandi da sembrare laghi illuminati dalla luna, ricordo ancora come mi guardavano, dopo i baci e la passione, dopo i sospiri e la pelle fusa, dopo l'amore che abbiamo reso carne perché non ci esplodesse il cuore... li vedo anche ora, mentre stai leggendo le mie parole e mentre ti domandi cosa voglio dirti dopo tutto questo tempo, quei laghi profondi dove la luce della luna è offuscata da nere nubi, non odiarmi se puoi e leggi fino in fondo se lo vuoi, se quello che sto provando ora nello scriverti ti arriverà anche dopo tanto tempo. Perché ho chiesto io a mio fratello di consegnarti questa lettera solo se tu fossi tornata nella vecchia casa che ci ha visti felici ed in quella stanza dalla tenda bianca d'organza che sembrava danzare al vento dei nostri respiri.

Ti scrivo perché ci sono verità che sono più terribili dell'immaginato e realtà che superano ogni fantasia, perché ci sono scelte che prescindono da noi stessi o forse sono il naturale ed irreversibile destino di persone come noi... cosa siamo noi, Amore mio? Noi siamo due pezzi fusi di un solo cuore che si sono separati all'inizio dell'universo, il nostro destino è rincorrerci e ritrovarci, ogni volta ad ogni vita, il nostro destino è respirare, mangiare, dormire per anni e poi vivere, ferocemente, consapevolmente quando ognuno di noi entra nel cerchio magico dell'altro. Perché tu lo sai questo, vero? Lo senti questo, vero? A prescindere dalle nostre scelte di prima, ogni volta che ci incontreremo ci sarà solo il Noi, da lì e per sempre. Li vedo i tuoi occhi, ora saranno liquidi, i laghi tracimano, e sto piangendo anch'io. sento il tuo dolore e la domanda che ti sfiora le labbra: e allora perché noi sei qui? Perché sei andato via? Perché mi hai lasciata da sola? La risposta è una ed una sola, Anima mia. Quando leggerai questa lettera io probabilmente non ci sarò più, la mia condanna ha un nome ed il suo nome è Morte, nessuna speranza, nessuna possibilità, pochi mesi di vita, cure dolorosissime, incoscienza probabilmente. Non avrei potuto sopportare il pensiero di non riconoscerti, di non poter rispondere alle tue domande, di non riuscire a percepire la tua voce dal buio dove mi sto incamminando, non avrei potuto leggere sul tuo viso meraviglioso la stanchezza, la rassegnazione la paura, la preoccupazione. Non lo faccio per Te, Amore mio, lo faccio per me. Io sono l'uomo con il quale hai fatto l'amore e che ha pianto con te, dopo, tanto era forte l'emozione e la bellezza, io sono quello che ti ha preso in braccio ed adagiato in quella vasca da bagno calda e profumata, con le candele accese ed il vino fino a quando non siamo gelati e siamo corsi a letto, a ricominciare. Io sono quello che ti ha baciato gli occhi mentre dormivi con il sorriso sulle labbra, illuminata dalla luna, bella come una dea ed è andato via. Porterò nel mio buio questa immagine e dal mio buio rinascerò con quell'immagine e ti verrò a cercare, Vita della mia vita, Cuore del mio cuore, ovunque tu sarai”

Si accorse che era buio solo quando si sentì attraversare da brividi di freddo, era rimasta lì, con la lettera lasciata cadere sul grembo e con le parole di lui che le volteggiavano nella testa. Si riscosse e corse fuori lasciando la porta di casa aperta, correva attraversando i sentieri di terra calda che percorrevano le vigne, l'odore dell'erba dopo la pioggia leggera, il ronzio degli ultimi insetti, i grilli che diventavano padroni della notte erano solo un'eco lontana, correva ed il vento le asciugava le lacrime che continuavano a scorrerle sulle gote, vide la casa, salì i tre gradini e cominciò a battere forsennatamente alla porta:

"Ma chi?"..."

La moglie di Matteo le venne ad aprire la porta e le si parò davanti quasi a proteggere la sua proprietà. Giulia guardò oltre la sua spalla, non la salutò né notò il suo sguardo cupo: "Matteo" cominciò ad urlare "Matteo!"

"Ma cosa vuoi tu qui? Non sei la benvenuta!" le ruggì in faccia, Giulia la guardò con uno sguardo talmente feroce che lei istintivamente si fece di parte e Giulia riuscì ad entrare.

Matteo era seduto su una poltrona con la testa tra le mani: "Dimmi dov'è..." gli sussurrò Giulia inginocchiandosi davanti a lui.

"E' morto…" rispose Matteo, piangendo.

"No, non è morto, lo avrei sentito, stai mentendo. Se fosse morto sarei morta anche io, lo avrei sentito. Lui è ancora vivo, dimmi dov'è Matteo, ti scongiuro."

Giulia lo stava scuotendo per le spalle, non alzò mai la voce ma sapeva che Matteo sentiva tutta la sua decisione, che lo avrebbe implorato o minacciato ma si sarebbe fatta rivelare il luogo dove il suo Amore era tenuto.

"Devo andare da lui, mi sta chiamando, ora so cosa mi ha spinta a tornare, cosa ha fermato la mia vita ad un anno fa quando il mio cuore si è congelato, Matteo, credimi, lui mi sta chiamando, dimmi dove posso trovarlo" lo implorò.

Sentì forte la lotta interiore che lo agitava, tra un giuramento fatto al fratello e la forza di Giulia con il suo amore puro, potente, feroce.

Matteo sapeva che non avrebbe potuto resistere ancora a lungo, alzò lo sguardo oltre la spalla di Giulia e vide sua moglie che assentiva col capo: "E' in una clinica in Svizzera, a Nyon, sul Lago di Ginevra, si chiama "Clinique La Metairie, Giulia non...”

Giulia non sentì le ultime parole, come un vento di scirocco era volata via lasciando solo la scia delle sue lacrime ed il suo profumo. Corse a casa, infilò un paio di cambi in una borsa, prese il passaporto, chiuse la casa e si mise alla guida: se avesse guidato per tutta la notte la mattina presto sarebbe arrivata alla clinica.

La strada era un nastro lucido che si dipanava davanti ai suoi occhi, le strisce continue erano come un filo che la trasportava dove si sarebbe compiuto il suo destino, si accorse, e questo la fece sorridere, che dopo mesi finalmente si era sciolto quel nodo duro che le comprimeva lo stomaco, dopo mesi ricominciava a respirare: "Aspettami Amore mio, sto arrivando" lo sussurrava quasi cantando, ora tutto fluiva. Guidò ininterrottamente fermandosi solo per un paio di caffè e per fare rifornimento, non sentiva stanchezza ma una grande pace e tanta gioia, avrebbe disobbedito agli ordini dettati dalla lettera, nulla avrebbe potuto fermarla.

L'alba la sorprese che era arrivata sul lago di Ginevra, tutto sembrava tinto di rosa ed una leggera nebbiolina avvolgeva le strade silenziose e le ville che costeggiavano la riva, uno stormo di anatre prese il volo improvvisamente disegnando un cuneo nel cielo, le loro ali sembravano dorate nella luce tenue di quella magnifica mattina. Respirò tutta la bellezza che stava osservando, fissò i particolari con gli occhi dell'anima, glieli avrebbe portati, gli avrebbe raccontato del suo viaggio, della pianura e dei monti che aveva attraversato, della neve che ancora incappucciava il Monte Bianco, della roccia che incombeva su alcuni tratti di strada e che sembravano volerla avvolgere e racchiuderla.

Alla reception un'infermiera cortese le chiese di attendere, dopo poco arrivò un medico e la invitò a seguirlo.

"La situazione del signor... é stabile ma disperata, ha reagito bene all'operazione ed alle cure ma versa in uno stato di amnesia che riteniamo irreversibile, lo abbiamo dovuto tenere in coma farmacologico per molti mesi e... beh, credo che rimarrà in queste condizioni fino a quando il suo corpo sarà in grado di reagire, non ci sono speranze, siamo arrivati ad operare troppo tardi"

"Posso vederlo?" chiese Giulia.

"Certamente, è in giardino con un'infermiera, prego, si accomodi, abbiamo ricevuto da parte della sua famiglia l'autorizzazione a farla entrare"

Il medico la accompagnò fino ad una grande vetrata che dava su un patio e poi su un viale alberato oltre il quale si intravedeva il lago che a quell'ora brillava in pieno sole. Il giardino era di un verde meraviglioso e la sensazione che l'avvolse fu di pace e di silenzio, il cuore di Giulia tremava, si diresse verso le figure che le aveva indicato il dottore, man mano che si avvicinava distinse l'infermiera seduta su una panchina ed al suo fianco una sedia a rotelle con un uomo che le volgeva le spalle e sembrava guardare il lago. Fece un cenno di saluto all'infermiera e gli andò davanti. Gli occhi le si riempirono di pianto quando vide il suo viso smunto e ben rasato, i capelli erano totalmente bianchi, le mani abbandonate ed lo sguardo perso chissà dove, ma era lui, era lui, il suo Amore ed era vivo.

Anima mia..." gli sussurrò prendendogli delicatamente le mani e poggiandosele sul viso:

"Anima mia, sono arrivata, sono da Te e non andrò più via"

"Giulià! Giulià" oramai la conoscevano tutti lì e molti pazienti si erano affezionati a quella ragazza che andava ogni giorno lì alla Clinica ed illuminava quel giardino bellissimo con il suo sorriso. Giulia portava la vita là dentro, perché Giulia sapeva raccontare le Storie. Ogni giorno portava la vita che aveva incontrato fuori e quella del tempo vissuto, della sua infanzia, sapeva raccontare dell'odore del mare, della luna piena sui filari di vite, della stanza dove dormiva con lui, raccontava il suo amore e giorno dopo giorno mentre teneva la sua mano e sentiva il suo polso accelerare mentre gli sussurrava il suo amore, si accorse che molti pazienti si avvicinavano e restavano a pochi passi ad ascoltarla.

Man mano che passavano i giorni a Giulia sembrava che la vita ricominciasse a scorrere, era felice e non si domandava la ragione di quella felicità

"Chi ha Fiducia e Fede nella Vita, può fare miracoli" le diceva sempre la sua nonna e Giulia ai miracoli ci credeva, Giulia credeva ed aveva fiducia nella Vita e sapeva che se avesse trovato la chiave avrebbe innescato una magia, intanto trascorreva interi giorni con lui, lo accudiva e lo accompagnava a passeggiare: "Guarda lassù Amore mio, guarda quella nuvola, assomiglia ad un delfino, ti assomiglia sai? Tu che sai cavalcare, come lui, le onde. Devi credere, e presto ci torneremo al mare e se mi terrai per mano verrò fino al largo con te, fino a dove il sole si immerge prima di lasciare il cielo alle stelle"

La fiducia di Giulia era incrollabile, la forza inesauribile, le Storie continuavano a fluire. Giulia aveva fatto amicizia con Nadine, una giovane infermiera, con la quale aveva deciso di dividere l'alloggio, sarebbe tornata a casa per qualche giorno, avrebbe sistemato qualche faccenda e poi sarebbe tornata a Nyon per restarci, il figlio di un'anziana paziente le aveva offerto un lavoro da cameriera al suo ristorante e Giulia si sentiva avvolta dai miracoli.

"Giò, Amore mio, mi dovrò assentare per qualche giorno, torno, te lo prometto, pochi giorni per sistemare alcune faccende e poi resto con te per sempre, lo so che mi senti, ti vedo annaspare oltre questa lastra di ghiaccio dalla quale non riesci ad emergere, come nei Mari gelati del Nord, sei lì che cerchi una via d'uscita per emergere e quando la troverai io sarò lì ad aspettarti"

Giulia lo salutò con un bacio lieve sulle labbra e si allontanò, non si accorse che Giovanni aveva mosso le dita di una mano e che una lacrima gli scorreva lenta sulle sue guance scavate.

Il viaggio di ritorno a casa le sembrò lunghissimo, oramai si sentiva a casa solo su quel piccolo sprazzo di lago dove la sofferenza e la speranza si intrecciavano strettamente, dove qualcuno guariva e qualcuno moriva, dove, nel silenzio di quel giardino, aveva intrecciato le sue Storie alla vita di quelle persone. Ripensò ai giorni con Giovanni, al suo viso scavato, ai capelli precocemente bianchi, alle mani che non stringevano mai le sue, eppure, quando gli accarezzava i polsi, sentiva il battito che accelerava, Giulia aveva un sogno, anzi un incubo ricorrente, vedeva Giovanni nuotare sotto quella lastra di ghiaccio ed intuiva dal movimento delle labbra che la stesse chiamando ma lei non riusciva a romperla e lui veniva trascinato via dalla corrente, ma doveva lottare con tutta la sua forza, con tutto il coraggio anche se a volte avrebbe solo voluto rannicchiarsi in posizione fetale e addormentarsi per mesi, per anni, come lui. Si riscosse, no, non doveva avere quei pensieri, se la sua Fede avesse vacillato Giovanni non avrebbe mai trovato un varco per tornare da lei.

"Giulia, devo parlarle" la voce del dottore era grave, era tornata dopo circa una settimana e non vedeva l'ora di andare a riabbracciare Giovanni.

"Mi... mi dica dottore é successo qualcosa di grave?" Giulia tremava mentre faceva quella domanda.

"In effetti sì, qualcosa di totalmente inaspettato, inspiegabile, ma forse è il caso che veda lei stessa, vada pure, Giulia, bentornata"

Giulia corse via senza avvedersi del sorriso che aleggiava sulle labbra del dottore, corse nella camera di Giovanni ma la trovò vuota, forse era in giardino, quel giorno il sole scaldava l'aria e sembrava primavera, corse con il cuore in gola, un presentimento al quale non osava dare nome si stava impossessando della sua anima, lo vide, era sempre seduto sulla sua solita carrozzina, rivolta verso il lago, arrestò la sua corsa, si avvicinò lentamente: " Giovanni..."

Lui girò piano la testa, aveva gli occhi vigili, la stava guardando davvero: "Giulia"...


Annamaria Barone 27/04/2014 18:40 3570

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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assai scorrevole e ben stilata,m'è piaciuta molto (rita iacobone)



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Le poesie che hanno partecipato al Premio di Poesia Scrivere 2011, con tutte le opere partecipanti ed i vincitori

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Anno: 2012 - ISBN: 9781471686214


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