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L'incontro

Amore

I

Settembre 2003 - Sabato, ore 17.50

Camminava con passo spedito, zigzagando agilmente tra i passanti che procedevano in senso contrario, veloci e distratti, istintivamente capaci di non urtarsi l’un l’altro e di guadagnarsi lo spazio necessario per avanzare ciascuno nella propria direzione il più rapidamente possibile.

L’appuntamento era per le diciotto e mancavano solo dieci minuti. Il vento gelido le sferzava il viso accaldato per l’agitazione e la costringeva a socchiudere gli occhi per poter guardare dinanzi a sé. Strinse il collo del cappotto intorno al mento e il tepore della piccola striscia di pelliccia le accarezzò le labbra.

Aveva accettato di incontrarlo, dopo tanti anni di silenzio da parte di entrambi, senza una precisa ragione.

La telefonata era arrivata d’improvviso, del tutto inaspettata e con carattere di urgenza.

-Sì, pronto?-

-Ciao, sono io. Come stai?-

Mentre camminava tra la gente frettolosa e ignara, tentava di convincere se stessa di aver fatto fatica a riconoscerne la voce.

Non aveva forse risposto alla domanda con un’altra domanda?

- "Io" chi, prego?! -

- E dai! Sono Daniele! Non dirmi che non mi riconosci. Allora, come stai?-

Erano seguiti i soliti convenevoli e poi, senza mezzi termini, la richiesta di incontrarsi, quando e dove lei volesse, per parlare un po’ di loro due, dopo tanto tempo.

Per la durata dell’intera telefonata si era imposta di mantenersi tranquilla, indifferente, quasi si trattasse davvero di un cliente qualunque che le chiedeva un appuntamento di lavoro, un incontro come tanti altri per cui bisognava soltanto sfogliare l’agenda, tutto qui.

- Non sono sicura che questo incontro possa avere un esito significativo. Mi pareva che tutto tra noi fosse già stato definito tanto tempo fa .-

E lui dall’altro capo del filo, con una tranquillità che la innervosì – Adesso mi meravigli. Non eri tu che ripetevi sempre “non è mai troppo tardi per aprire un nuovo capitolo nel libro della vita?”-

Le si annebbiarono gli occhi e nelle gambe le corse l’ adrenalina, proprio come tanto tempo addietro.

- D’accordo! – sentì la propria voce come dall’esterno – Vedo che non c’è altra soluzione che assecondarti. Ti sta bene domani alle diciotto al Caffè vecchio? -

- Perfetto! Sarebbe andato bene dovunque, ma il Caffè Vecchio è davvero perfetto. Ciao, ti abbraccio.

Posò meccanicamente il telefono al suo posto, controllando il respiro come se questo semplice esercizio fosse in grado di regolare i battiti accelerati del cuore e di riordinare i suoi pensieri.

Sulla scrivania gli oggetti e le carte, scritte di suo pugno, apparivano estranei, senza senso.

Possibile che fosse trascorso così lungo tempo dall’ultima volta? Le pareva ieri.

In bagno si guardò impietosamente nello specchio, esaminando con occhio clinico le piccole rughe che le segnavano il viso.

Gli angoli della bocca, leggermente rivolti in basso, davano al viso un’espressione un po’ triste. Provò a sorridere, per sollevarli, e una serie di minuscole linee a raggiera si disegnò ai lati degli occhi.

Rise di sé. Quell’esame ai raggi X era quantomeno ridicolo. Il tempo regola i propri ritmi sui singoli, trascorre allo stesso inesorabile modo per tutti, per chi vorrebbe fermarlo e per chi, al contrario, vorrebbe farlo rotolare via al più presto, masso pesante di un pendio scosceso.

C’era stato un momento - mesi? anni?- in cui le era parso che tutto si fosse bloccato, come in un assurdo stand by. Lo stesso risvegliarsi ogni giorno appariva inspiegabile, un fenomeno meccanico di una Natura indifferente, che perpetua se stessa, incurante della volontà degli insignificanti esseri che la compongono.

Ma poi la medicina infallibile del tempo aveva avuto i suoi effetti e si era resa conto di essere ancora viva, di potersi ancora muovere per forza di volontà, malgrado qualche ingranaggio fosse saltato.

Un po’ più faticosamente, certo, con qualche sussulto di tanto in tanto, ma nel complesso era tornata al dovere di vivere.

Provò a guardare il tutto con ironia; in fondo poteva risultare addirittura divertente rivedersi adesso con un volto diverso, sentirsi parlare con voce mutata, ritrovarsi vicini dopo tanta distanza, con la forza e la fermezza di chi ha lavorato tanto duramente per lasciar decantare l’amaro del rimpianto.

Si riavviò in fretta i capelli, spingendoli dietro le orecchie con le dita e tornò al suo computer. All’incontro avrebbe pensato poi.

II

Settembre 2003 - Sabato, ore 17.50

Daniele diede un’occhiata, l’ennesima, all’orologio. Le diciassette e cinquanta. Tra dieci minuti l’avrebbe vista entrare spingendo la porta del piccolo caffè e poi, dopo averla richiusa delicatamente alle sue spalle, guardarsi intorno, per rendersi conto di chi ci fosse in quel momento nel locale. Si sarebbe avvicinata al piccolo tavolo accanto al caminetto liberty, e sedendosi avrebbe sorriso, sfiorandogli il dorso della mano con la punta delle dita.

Si provò ad immaginare l’espressione che avrebbe assunto, esplorando con gli occhi il suo viso nel tentativo di leggervi la risposta alle domande che di sicuro le si erano accumulate disordinatamente nel cuore, dal momento in cui, alzando la cornetta, aveva sentito la sua voce.

Forse sarebbe rimasta in silenzio, aspettando che lui parlasse per primo, oppure non avrebbe resistito alla tentazione di parlare lei, accavallando gli argomenti l’uno sull’altro finché lui non l’avesse bloccata, ponendole dolcemente un dito sulle labbra e ripetendole il solito “Calma! Una cosa per volta!”

Diede un’altra occhiata all’orologio. Ancora cinque minuti.

Ordinò un Martini, rigorosamente rosso e con limone. Probabilmente anche lei ne avrebbe ordinato uno, con ghiaccio, come sempre, anche in inverno, e poi avrebbe finto un brivido, stringendo le labbra e socchiudendo gli occhi.

Non era cambiato molto nel locale. Qualche quadro in più, di discreta fattura; il banco bar rinnovato negli accessori, il pavimento in splendido marmo, lucido e terso.

Si volse istintivamente a cercare a destra, il juke box. Straordinario Gigi! L’aveva conservato in perfette condizioni, benché ora avesse soltanto una funzione decorativa.

Nell’ambiente la filodiffusione mandava ottima musica. Rock americano, naturalmente! Il vecchio volpone sapeva come trattare i suoi clienti anche adesso.

Bevve un altro sorso di Martini, assaporandone l’aroma dolceamaro.

Tra pochi minuti la porta si sarebbe aperta, facendo irrompere all’interno un torrente di ricordi.

Si avvicinò al vecchio juke box e con gli occhi corse lungo la scaletta dei titoli: You’ve got a friend, I’ve beenloving you too long, I’m on fire, Starway to heaven, Walk on the wild side…

III

Settembre 1973 – Sabato


- Oggi sei particolarmente in forma; schiacci in maniera imprendibile! Mi sento nello stato d’animo del povero Van der Helm annientato da Massimo Costantini. -

- È solo una questione di effetto. Ho rivisto decine di volte la loro sfida e ti assicuro che il segreto sta proprio nell’effetto che imprime alla pallina. Se tu batti senza effetto, io devo necessariamente prenderla e dunque mi riesce facile anche schiacciarla.

Ma non prendertela, Da’. Il vero campione sei tu. Andiamo a bere qualcosa. –

Lasciarono il tavolo da ping pong, riponendo le racchette nel loro cassetto personale e tornarono al piccolo tavolo vicino al caminetto liberty.

- Gigi, si possono avere due Martini? I soliti, per favore. A Sara con ghiaccio. -

Daniele giocherellava col pacchetto di Marlbhoro, senza aprirlo. Ne avrebbe acceso una solo dopo il primo sorso di Martini. Sara lo osservava in silenzio. Parlavano poco ultimamente. Tutto tra loro sembrava procedere come sempre, in apparenza, fatta eccezione per quei momenti di sospensione, durante i quali percepivano un senso di vuoto, come un’assenza, malgrado fossero vicini l’uno all’altra.

E questa sensazione si avvertiva soprattutto dopo l’amore, anche se il loro desiderio reciproco non aveva subito alcun calo e la partecipazione di entrambi si risolveva sempre nel modo apparentemente più completo.

Dopo restavano distesi l’uno accanto all’altra, tenendosi per mano, lei col capo sul petto di lui, ma in un silenzio ogni volta più lungo.

- Ti va di sentire un po’ di musica? Prendo un paio di gettoni. – Sara lo seguì con lo sguardo mentre programmava le sue canzoni al juke-box , e sorrise non appena le note di Walk on the wilde side cominciarono a diffondersi nell’ambiente.

- Se avessimo conservato tutte le cento lire che hai regalato a Loo Reed negli ultimi tempi, potremmo farci una vacanza alle Maldive.- disse, non appena fu tornato a sedersi canticchiando “du, dudù, dudù, du dudù du, …”

Rise anche Gigi, posando i due Martini sul tavolo.

- Zitta Sara, per favore. Se non ci fosse Daniele, dovrei gettar via il juke-box. – Poi si allontanò discretamente.

Si guardavano attraverso il fumo delle sigarette accese, col desiderio reciproco di parlarsi, ma rimanendo muti, come bloccati da un segreto timore.

Parlò Sara per prima, guardandolo dritto negli occhi

- Io proporrei di dirci tutto, Dà. Non so tu, ma io non reggo più. Non è così che va di solito tra noi. Io sono te e tu sei me, ti ricordi? Fino a poco tempo fa non c’era bisogno di parlarsi per comunicarci i pensieri reciproci: sapevamo che tu avresti detto esattamente quel che pensavo io e viceversa.

Ma adesso non è più così. Adesso bisogna che tu parli, perché io possa capire ciò che pensi veramente.-

La musica era finita.

Daniele teneva lo sguardo fisso sul posacenere mentre lo faceva girare sul piano di marmo del tavolo con le lunghe dita affusolate.

Tacque a lungo prima di alzare gli occhi sul viso di lei. Rimase a guardarla per un po’, con l’espressione di chi si trova sull’orlo di un precipizio e si accorge che sta perdendo l’equilibrio, che gli sta sfuggendo l’ultimo appiglio che lo teneva sospeso sul vuoto.

Era così bella! e così triste in quel momento che avrebbe preferito non averla mai incontrata.

- Ti ricordi il giudice Minardi? Era lui al telefono l’altra sera, mentre eravamo a casa mia. Bene, lui vorrebbe che io rimanessi a Cremona, dopo i sei mesi di tirocinio. Sostiene che un buon avvocato è quello che in gioventù ha avuto il fegato di distaccarsi da se stesso e dai propri affetti nel momento in cui c’era bisogno di pensare al lavoro più che ad ogni altra cosa.Tra due settimane il tirocinio finirà e dovrò prendere una decisione. E’ difficile, credimi. Lasciarti dopo ogni week end è già un inferno…-

- E la bella figlia di Minardi cosa ti consiglia?-

La domanda, secca e inaspettata, lo colpì come una scudisciata in pieno viso.

- Non è affatto bella, almeno per me e non mi consiglia assolutamente nulla. Linda non è neppure in grado di pensare a se stessa, figuriamoci…- Poi abbassò gli occhi e il ricordo che cercava in tutti i modi di scacciare gli invase la mente...

- Abbiamo bevuto davvero troppo, tutti e due. Adesso è ora di tornare. Tuo padre si starà chiedendo che fine abbiamo fatto, in pieno party. Per favore, Linda, vuoi smetterla di bere e di starmi addosso in questo modo? -

- Ancora un sorso, piccolo, piccolo, poi torniamo. Si sta così bene sulla spiaggia stasera, che ti importa di mio padre, lui non si sarà neppure accorto della nostra assenza. Dai, fammi ballare; la senti la musica? Io la sento…-

- Non ti reggi in piedi e anch’io faccio fatica a tenere l’equilibrio. Torniamo alla villa, per favore, sii buona.-

- Sei stato così bravo oggi, in tribunale. Papà dice che diventerai un ottimo avvocato, se rimarrai ancora un po’ con lui…e con me. Fammi ballare.-

E gli si stringeva addosso, premendogli il seno sul petto, parlandogli sulla bocca, col respiro caldo, profumato di bourbon.

Poteva sentire, attraverso i vestiti leggeri, ogni parte di quel giovane corpo incollato al suo, che gli trasmetteva uno strano, prepotente, incontrollabile desiderio.

Si erano piegati lentamente sulle ginocchia, indebolite dall’alcool, e la sabbia era ancora tiepida.

Sara continuava a guardarlo dritto negli occhi e il suo sguardo era carico di ironica malinconia . Poi continuò:

- Ci conosciamo troppo bene perché tu possa sperare che io ti creda. Linda ha mostrato sin dall’inizio una sfacciata simpatia per te e una chiara insofferenza nei miei confronti. Non avrai dimenticato come è stata sgarbata e scostante quando sono stata ospite di suo padre, due settimane fa! Io penso che lei sia perfettamente in grado di pensare a se stessa, che lo sia molto più di quanto tu non voglia farmi credere.-

Sara aveva ragione, pensò Daniele, aveva ragione eccome!

- Daniele – la voce di Linda era incrinata dal pianto. – Dobbiamo vederci. Ho bisogno di parlarti subito, prima che arrivi Sara. -

- Cosa c’entra adesso Sara? – le aveva risposto con tono duro – Si era d’accordo che Sara sarebbe stata tenuta fuori da ogni problema. Quel che è successo tra noi due deve morire con noi. È stato un errore e lo sai bene. Avevamo deciso di dimenticarlo insieme come insieme l’avevamo commesso.-

Aveva sentito un singhiozzo dall’altro capo del filo, poi di nuovo quella voce piagnucolosa che lo irritava tanto

- D’accordo, sì, ma ora c’è un problema,grosso,non so come dirtelo…-

- Vuoi parlare, per favore?!-

- E’ che io…credo di essere incinta. -

Daniele non la guardava. Con le dita aperte spingeva indietro i capelli, a liberare la fronte, come pettinandoli. Era un gesto che Sara conosceva bene, che gli aveva visto fare mille volte, che amava fare anche lei , come in un gioco. – Fatti pettinare- gli diceva e poi gli afferrava i capelli e li tirava dolcemente, per fargli piegare indietro il capo e per baciarlo cento volte dappertutto, sulla fronte spaziosa, sugli occhi, sulla bocca, sul mento.

Nel caffè erano entrati nuovi avventori. Un gruppo di ragazzi con zaini a tracolla e chitarra in mano occuparono gli ultimi tavoli liberi, ordinando coca e birra.

Subito due ragazzine in minigonna e fasce colorate sulla fronte si avvicinarono al juke-box, gettonando Venceremos e Vientos del pueblo degli Inti-Illimani. Poi tornarono ai tavoli, sedendosi sulle ginocchia dei loro ragazzi e giocando a passarsi di bocca in bocca il fumo di una sigaretta.

Adesso Sara sembrava distratta, totalmente presa da quel gruppo di ragazzi che, al ritmo delle bellissime canzoni andine, innestavano la loro lotta per l’emancipazione giovanile su quella ben più sofferta e disperata del popolo cileno, dopo il tragico golpe di Pinochet.

Daniele inspirò profondamente, trattenendo il respiro per alcuni secondi, come in una forzata apnea; poi, tutto d’un fiato

- Linda aspetta un figlio da me, Sara, e non intende abortire. -

IV

Settembre 2003 - Sabato, ore 18.00

Prima di voltare l’angolo della grande Banca Nazionale del Lavoro, Sara si fermò per qualche attimo. La tentazione di tornare indietro era forte, ma altrettanto forte era il desiderio di percorrere gli ultimi metri di marciapiede che la separavano dal caffè Vecchio.

Entrò nel Tabacchi, pur sapendo che il pacchetto di Marlbhoro era quasi pieno.

Avrebbe comperato delle caramelle alla frutta. L’importante era fermarsi un attimo ancora.

Nella vetrina a specchio dell’interno si diede un’ultima occhiata di sfuggita. I folti capelli rossi, un po’ scompigliati dal vento, le davano un’aria giovanile e facevano risaltare sul pallore del viso gli occhi di un verde cupo, grandi e malinconici.

Non l’avrebbe guardato negli occhi, si disse, come aveva promesso di non fare mai più quel pomeriggio di tanti anni prima, così vivo nel suo cuore e nella sua memoria...

Settembre 1973 – Domenica

Lo squillo del telefono risuonava insistentemente, ad intervalli regolari, nella casa silenziosa.

La inseguiva dovunque: in cucina,in camera da letto, dentro la doccia, sotto il getto caldissimo dell’acqua, in cui avrebbe voluto affogare.

Ma non voleva staccare la spina. Lui doveva sapere che lo sentiva e che non avrebbe risposto mai più.

In quei primi momenti, dopo la verità, aveva provato una rabbia tanto violenta che ogni altra emozione ne era stata come fagocitata.

La divorava un odio violentissimo nei confronti di quella donnetta meschina e apparentemente insignificante, che si era rivelata la più navigata delle puttane. Le pareva che lo stesso profondo disprezzo, lo stesso insopportabile disgusto, che abitava il suo animo invadendolo totalmente, si estendesse all’uomo che fino a ventiquattr’ore prima considerava l’unico grande amore della sua vita.

Non aveva voluto dargli neppure l’opportunità di spiegarsi. Cos’altro c’era da sapere?

Si era alzata, prendendo le sue cose, si era persino accesa una sigaretta prima di uscire, senza una parola, da quel bar e dalla sua vita.

Il telefono squillava ancora. Sara si avvolse nell’accappatoio, accese lo stereo e inserì la loro canzone, alzando il volume al massimo, per coprire quel driin maledetto e per dare fondo, una volta per tutte, alla sua disperazione.

Si gettò di peso sul divano, dove tante volte avevano fatto l’amore, e si rannicchiò in posizione fetale, come faceva quando da piccola aveva paura del buio.

E finalmente il pianto liberatorio.

Settembre 2003– sabato ore 18.00

Accese nervosamente la terza sigaretta. Erano le diciotto e si era aspettato che Sara fosse già lì.

In genere tra i due la più puntuale era sempre stata lei e spesso avevano riso di quella strana mania della puntualità, che non rientrava negli standard del comportamento femminile.

Che avesse deciso di non andare all’appuntamento? Doveva metterlo in conto, trattandosi di Sara. Più di una volta le aveva affettuosamente rimproverato la sua intransigenza nei confronti di se stessa e degli altri.

- E’ questione di sfumature – le diceva con dolcezza, nel tentativo di ammorbidire la durezza di certi suoi aut aut . –Esiste anche il grigio, Sara, non c’è solo il bianco o il nero nella tavolozza della vita. La tua tendenza a dividere il mondo in due parti, l’una contro l’altra armata, mi pare a volte una sorta di mania. I tempi di Mani sono ormai lontani; non puoi rimanere, per la minima sciocchezza, nella fase primordiale della lotta tra il Bene e il Male. Io credo che un po’ di tolleranza per le debolezze umane non guasti mai. E credo anche che ogni errore abbia davanti a sé e dietro di sé un nugolo di buone ragioni, che dovremmo valutare, prima di emettere la sentenza. -

Sara gli rispondeva invariabilmente che ci sono cose per cui funziona solo la logica binaria: Per i sentimenti, ad esempio, il “così così”, il Dubbio e l’Incertezza sono come dieci zollette di zucchero nel caffè del diabetico: il risultato è il coma.

Spense la sigaretta, indeciso sul da farsi, se aspettare ancora lì seduto o uscire a prendere una boccata d’aria, aspettando che lei arrivasse.

In quel momento vide il barista che lo indicava suo ad un ragazzetto di una diecina di anni, coi capelli gelatinati e una grossa sciarpa sfrangiata stretta intorno al collo.

Il ragazzo gli si avvicinò con un’aria circospetta da agente speciale dei servizi segreti di milioni di film e posò sul tavolo, davanti a lui, un bigliettino da visita bianco, senza intestazione. Poi corse via velocemente, senza una parola, prima che Daniele potesse chiedergli qualunque cosa.

Prese la piccola busta e l’aprì, mentre un’ansia sottile gli accelerava il battito cardiaco.

Una sottile catena d’oro scivolò dall’involucro, cadendo sul piano di marmo avvolta su se stessa.

- Vorrei regalarti un anello, Sara, che ne dici? Volevo farti una sorpresa per il compleanno, ma so cosa pensi degli oggetti simbolo. Io però vorrei regalarti comunque qualcosa che ti faccia sentire la mia presenza sempre, notte e giorno, anche quando siamo lontani l’uno dall’altra. Una cosa che ti stia sulla pelle, come una carezza. -

Lei aveva riso teneramente, con gli occhi lucidi di felicità. L’amore si deve dire, si deve dimostrare, avevano sempre sostenuto, e questa di Daniele era un’altra prova di quanto fossero simili e innamorati.

- Se proprio non posso fare a meno di portarmi dietro un totem, allora mi piacerebbe che fosse un braccialetto d’oro, ma semplice, sottile, leggero, quasi invisibile. Lo porterò finché tu sarai me e io sarò te. -

Si alzò in fretta, dopo il primo momento di disorientamento, e corse alla porta.

Fuori l’aria gelida gli sferzò il viso e gli punse gli occhi con innumerevoli spilli, costringendolo a socchiuderli.

Ma fece in tempo a vederla, mentre saliva sul taxi, con quei suoi movimenti lenti ed eleganti, le lunghe gambe fasciate da calze di seta nera, il volto rasserenato, disteso in un lieve sorriso.


Silvana Poccioni 03/12/2010 07:19 1 1188

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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«Deliziata ed estasiata da questa storia d'amore complicata e stravolta da un evento inatteso. A distanza di tanti anni il tentativo di recuperare il passato si rivela dolcemente disperato. Racconto piacevolmente romantico e ben scritto.»
carla vercelli

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