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Professione sceneggiatore

Sociale e Cronaca

La professione dello sceneggiatore è spesso confusa con quella dello scrittore, in quanto entrambi «producono idee» e descrivono, anche se in maniera diversa, la realtà che li circonda.

Nel bellissimo film Come eravamo (The way we were, 1973) di Sidney Pollack, ambientato a Hollywood durante il maccartismo, il protagonista maschile di nome Hubbel (Robert Redford) puntualizza al regista, che gli contesta di essere un romanziere che non conosce le tecniche cinematografiche e d’essere troppo legato alla sua prosa:

«Io non sono un romanziere, al contrario, io ci tengo a definirmi uno sceneggiatore» ...

Paul Auster, che ha scritto Smoke (Wayne Wang, 1995) e girato Blue in the face (Wayne Wang e Paul Auster, 1995) precisa che «scrivere un romanzo è un processo organico che avviene soprattutto in maniera inconscia, un processo lungo, lento e estenuante. La sceneggiatura è più simile a un gioco a incastri. Scrivere le parole non richiede molto tempo, ma mettere insieme i pezzi può fare impazzire».

Meditando sulla definizione di Paul Auster, la soluzione più ovvia per raggiungere ottimi risultati in campo cinematografico potrebbe essere quella di «sceneggiare» un'opera letteraria, magari, coinvolgendo anche lo stesso autore nella stesura dei dialoghi. In realtà, le cose non sono così automatiche.

Va’ dove ti porta il cuore (Cristina Comencini, 1996), liberamente ispirato al romanzo di Susanna Tamaro, è un melodramma tendenzialmente noioso, dove il tema della «misoginia» sembra essere stato sacrificato sull'altare di una drammaticità, a dire il vero, un po' troppo prevedibile per risultare coinvolgente.

Dal canto suo, Jack Frusciante è uscito dal gruppo (Enza Negroni, 1996), tratto dall'omonimo romanzo di Enrico Brizzi e che ha avuto un grosso successo tra i giovani, si è rivelato un vero e proprio disastro al botteghino. Dopo l'uscita del film, l’autore, che ha firmato la sceneggiatura insieme alla regista, ha rinnegato energicamente la realizzazione cinematografica dell'opera, quando si è reso conto (forse tardivamente, data la giovane età) che il film correva il rischio di «diventare - come scrive Massimo Moscato - una rappresentazione, l’illustrazione animata di un testo, una banale trascrizione filmata».

Ha destato molto clamore sulla stampa specializzata, il rifiuto di Abraham B. Yehoshva, scrittore israeliano di fama internazionale, di firmare la sceneggiatura del film L'amante perduto (Roberto Faenza, 1999) perché, come riferisce il regista italiano, «era rimasto un po' scottato da un precedente adattamento de “L'amante” prodotto da Golan&Globus per la TV israeliana di cui non era affatto soddisfatto».

Dal suo punto di vista, Peter Hyams ha cercato di andare controcorrente scrivendo il romanzo Hanover Street, tratto dalla sceneggiatura del film Una strada, un amore (Peter Hyams, 1979), ma il risultato conseguito è così scadente da fare impallidire lo stesso lungometraggio che, a dire il vero, è un mero «tentativo di risuscitare un tipo di melodramma vecchio stile, con eroismi, tormenti e finale moralista».

«L'autore della sceneggiatura - scrive Agenore Inorocci, in arte Age - è come il guardiano del faro: tutti vedono il faro ma nessuno vede lui.» Lo «scénariste», insomma, deve essere in grado di sviluppare la storia che intende raccontare all'interno di un contesto psico-sociologico attendibile e caratterizzare i personaggi, che ruotano attorno ad essa, attraverso l'alternarsi dei dialoghi, la descrizione dei paesaggi, la delineazione degli ambienti e la collocazione storica in cui sarà girato il film.

«Per entrare in una storia è necessario rinunciare a se stessi, per un po’» e ricordarsi che le sceneggiature più belle sono quasi sempre quelle che riescono a coinvolgere lo spettatore senza travolgere il suo modo di «pensare la realtà». Il successo planetario di La vita è bella (Roberto Benigni, 1997) è dovuto anche alla bravura attorica dell'autore che è riuscito a rendere poetica un'opera drammatica che, in fin dei conti, poteva essere interpretata in mille altri modi. Ma a chi sarebbe venuto in mente di ambientare un film «comico» di fine millennio, in un campo di concentramento nazista?



Sergio Melchiorre 03/12/2010 16:57 1 1135

Creative Commons LicenseQuesto racconto è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons: è possibile riprodurla, distribuirla, rappresentarla o recitarla in pubblico, a condizione che non venga modificata od in alcun modo alterata, che venga sempre data l'attribuzione all'autore/autrice, e che non vi sia alcuno scopo commerciale.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«Ho dedicato molti anni della mia vita a scrivere sceneggiature...»

Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Non sono un esperto di cinematografia, ma ritengo (come del resto sostiene lo stesso autore del brano) che le trasposizioni cinematografiche dei romanzi si risolvano quasi sempre in un mezzo fallimento, e ciò forse soprattutto per un motivo molto semplice: la lettura fornisce immagini del romanzo impercettibilmente diverse alle menti di ogni lettore, che lo interpreta ciascuno a suo modo, mentre il film ha un aspetto per forza rigido, dovuto alle scelte dello sceneggiatore, del regista, del modo di recitare di ogni attore, ecc.»
Antonio Terracciano

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