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Non so chi sono

Fantasy




Apro gli occhi e mi guardo intorno. Non capisco dove sono, potrebbe essere un ospedale, sicuramente lo è.

Sono sola nella piccola cameretta bianca, circondata da apparecchi d’ ogni tipo e nel braccio sinistro ho una flebo che scende lentamente. Con fatica cerco il campanello. Voglio parlare con qualcuno. Si lascia così una che si suppone non stia bene? Finalmente lo vedo, ma sta proprio nel lato sinistro e non voglio fare manovre pericolose. Con voce quasi normale chiamo l’ infermiera, che per fortuna mi sente e viene subito dentro alla cameretta.

Mi chiede come mi sento, se mi fa male qualcosa, io le rispondo di no, per fortuna non mi fa male niente, o meglio si, mi fa male la testa, ma... non ricordo cosa sia successo, non ho la minima idea di chi sia io, come mi chiamo e perché mi trovo in un ospedale...

L’ infermiera capisce subito che ho perso la memoria, almeno per il momento e mi spiega che ho avuto un incidente con la macchina, che è andata completamente distrutta. Chi l’ ha vista non avrebbe scommesso che l’ autista fosse rimasto vivo....

Nessuna di queste spiegazioni avevano acceso qualche luce nel mio cervello, mi disse pure che ero sola al momento dell’ incidente, e nella mia borsa avevano trovato i miei documenti. Mi chiamo Rita Citerei, ho trentacinque anni e sono disoccupata. Erano tre giorni che mi trovavo in un ospedale di Bologna; il personale si era preoccupato di telefonare al numero che avevano trovato in mezzo alle mie carte, ma nessuno aveva risposto.

Andiamo bene! pensai. I casi erano due: o non avevo nessuna famiglia che si preoccupasse per me, oppure a nessuno interessava la mia sorte.

Strano però, non ero disperata per questo, presi la cosa molto alla leggera, pensando che prima o poi mi sarei ricordata di tutto.

Dopo una mezz’ ora entrò un medico che vedendomi mi disse subito:

Vedo che si sta riprendendo benissimo, malgrado la brutta botta che ha preso nella testa. Non ricorda ancora nulla?"

Era un medico molto carino, giovane e simpatico, cosa volevo di più? Feci una smorfia con la bocca e (mentendo per tenerlo ancora vicino a me) dissi:

"Veramente, anche se lei dice che mi sto riprendendo benissimo, mi sento la nausea e giramenti di testa".

"E’ normalissimo, replicò lui, strano sarebbe che non avesse questi sintomi. Ora cerchi di riposare, poi più tardi verrà l’ infermiera a provarle la pressione e metterle un’ altra flebo".

Un’ altra?” domandai io, già pentita di aver detto una bugia. Ero patetica, aver paura di una flebo era il colmo!!

"Cosa vuole che sia? dentro ci farò mettere qualcosa per i sintomi che mi ha detto. La saluto e le auguro una notte tranquilla, buona sera".

Ben mi sta! pensai. Meno male che non dissi che stavo malissimo, cosa mi avrebbero fatto altrimenti?

Passai abbastanza bene la notte e quando venne l’ infermiera mi disse che mi avrebbe levato la flebo e che se volevo, mi avrebbe accompagnata in bagno. Io risposi subito di sì e facendo uno sforzo mi sedetti sul letto con le gambe a penzoloni.

L’ infermiera vedendo che non avevo difficoltà a muovermi mi disse che sicuramente il medico non avrebbe esitato a mandarmi a casa...

Solo in quel momento mi resi conto che per me, tornare a casa, non aveva senso. Quale casa? Dove? Con chi? Per la prima volta mi sono sentita dentro tanta paura e grande angoscia e scoppiai a piangere come una vera cretina! L’ infermiera mi guardò spalancando gli occhi e portandosi una mano alla bocca! Dio, cosa aveva detto! Avrebbe dovuto tacere, e ora l’ avrebbero ripresa sicuramente.

Aspettai con ansia l’ arrivo del medico, erano già le undici e non si era ancora visto. In quelle ore di attesa la mia mente cercava disperatamente di ricordare qualcosa, magari un piccolo dettaglio... ma niente di niente. Non era facile affrontare ora la vita, da dove dovevo incominciare se non avevo nemmeno una minima pista?

Come se avesse letto nei miei pensieri sentii la voce del medico che entrando in quel momento disse subito che potevo rivestirmi e siccome era ora di pranzo mi invitò ad andare con lui. Ero molto pallida e nel mio viso c’ erano i segni di una grande preoccupazione.

Andammo a mangiare in un posto molto carino, ma quasi non toccai il cibo. Allora Ernesto, cioè il Dott. Ernesto Conte, mi disse che dovevo sforzarmi a mangiare se volevo affrontare la difficile situazione e che saremmo subito andati dai carabinieri per spiegare l’ accaduto.

Dopo un’ ora di domande d’ ogni tipo, il Comandante dei Carabinieri mi disse che avrebbero fatto tutte le indagini possibili per scoprire la mia provenienza, che non dovevo preoccuparmi perché casi come il mio, ne avevano risolti parecchi.

Uscimmo dalla caserma dei Carabinieri molto più sereni, ma ora si presentava un altro problema, nel mio portafoglio c’ erano pochi euro e non sarebbero stati sufficienti per andare in albergo. Ernesto mi disse che, se stavo pensando alla sistemazione notturna non c’ erano problemi, il suo era un grande appartamento di tre stanze e c’ era tutto il posto del quale avrei avuto bisogno.

Io lo guardai riconoscente e sorridendogli gli domandai come avrei potuto ricambiare tutto il disturbo che gli stavo dando. La sua risposta mi piacque ancora di più: mi fece capire che se si era preso questo impegno lo avrebbe portato fino in fondo, che a lui non piacevano le cose a metà e che io non dovevo ricambiare assolutamente nulla!

Così incominciò per me una nuova vita, una vita strana, una specie di limbo, vivendo sotto lo stesso tetto di un medico che, inutile negarlo, mi piaceva un sacco, ma che non sapeva chi fossi io, né se poteva fidarsi di me.

Passarono altri tre giorni, finalmente il suono del telefono mi fece sobbalzare dalla poltrona dove ero seduta. Era il Comandante dei Carabinieri che voleva vedermi subito perché aveva delle notizie per me. Il cuore prese a battermi fortissimo, mille cose passarono per la mia testa, mi facevo, da sola, mille ipotesi: e se fossi stata sposata? se avessi avuto dei figli? Insomma, era inutile stare li a spremersi il cervello. La cosa migliore da fare era quella di andare subito alla stazione dei Carabinieri.

Chiamai Ernesto che mi spiegò che in quel momento era molto occupato con un paziente grave, mi consigliò di prendere un tassì e di non preoccuparmi perché lui mi avrebbe raggiunta al più presto

Seduta davanti al Comandante, non potevo nascondere la mia impazienza. Lui se ne accorse e, per mettermi a mio agio, mi spiegò che aveva per me solo buone notizie. Avevano indagato e saputo che un uomo mi stava cercando, era il mio fidanzato, l’ impresario Silvio Dacini che sarebbe arrivato tra pochi minuti per portarmi a casa sua. Quel nome non mi diceva niente e pensai che se veramente mi avesse cercata, sicuramente avrebbe saputo subito quello che mi era successo. Non sapevo perché, ma quella notizia invece di tranquillizzarmi, mi agitò ancora di più.

Il Comandante dei Carabinieri aveva un’ espressione soddisfatta. Io rimasi in silenzio, senza mostrare alcuna emozione, e una paura assurda incominciò a invadermi tutta.

Effettivamente, dopo poco tempo, l’ elegantissimo signor Silvio Dacini fece ingresso nell’ ufficio del Comandante e appena mi vide, esclamò: "Rita! Tesoro! Che spavento mi hai fatto prendere! "

Non feci in tempo a rispondere che vidi a Ernesto venire verso di noi. si avvicinò a me sorridente ed io gli presentai il mio "fidanzato". Quest’ ultimo non gli diede nemmeno la mano, lasciando Ernesto con la sua distesa e, prendendomi per un braccio, facendomi male, salutò il Comandante e mi trascinò fuori, verso la sua macchina. Questo lo fece in un modo sgarbato, mi spinse sul sedile chiudendo lo sportello con forza. Hei!!! Che modi sono questi?" Gli domandai molto arrabbiata.

Lui mi guardò quasi con odio dicendomi che ero la solita poco di buono! Che mi erano bastati pochissimi giorni per "mettermi" con il bel dottorino. Continuò sostenendo che gli avevo fatto fare una figuraccia davanti a tutte le sue amicizie, sparendo con la macchina senza fargli sapere dove mi trovassi! Una rabbia sorda mi accese il viso fino a farmelo diventare rosso come un peperone. Ma chi si credeva di essere con quella prepotenza e quell’ aria di superiorità che non sopportavo! Gli urlai di farmi scendere subito da quella macchina, ma lui accelerò ancora di più arrivando davanti ad una lussuosa villa, scese in fretta, mi tirò fuori con la stessa violenza di prima e mi portò fino all’ ingresso, poi, con uno spintone mi fece entrare in casa buttandomi a terra.

Fu proprio in quel preciso istante che, come per incanto, mi si aprirono tutti i sensi, la mia testa ricordò chiaramente un episodio molto più violento: il suo corpo sopra il mio e le sue braccia e mani che come una morsa, immobilizzavano le mie. Io, che con tutta la forza di cui ero capace cercavo di divincolarmi, finché la mia mano toccò qualcosa di pesante e con un gesto fulmineo lo colpii alla testa.

Lui cadde di lato senza muoversi, mentre il sangue gli usciva copioso. Spaventata a morte mi alzai con fatica, corsi fuori e presi la sua macchina parcheggiata davanti alla casa. Per fortuna lasciava sempre le chiavi inserite, così con uno stridore di gomme me ne andai guidando come una pazza, fu allora che ebbi l’ incidente andando fuori strada...

Ora mi ritrovavo nelle stesse condizioni, ma questa volta si sentivano echeggiare le sirene dei carabinieri e a me sembrò di udire la musica più bella del mondo! Con loro c’ era anche Ernesto che aiutandomi ad alzarmi dal pavimento mi strinse nelle sue braccia calde e protettive spiegandomi che, per fortuna, il Comandante aveva capito al volo le brutte intenzioni di quel tipo, e così dicendo, mi strinse ancora più forte sussurrandomi: "Tranquilla, ora ci sono io..."








Franca Merighi 10/12/2020 09:27 3 715

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Bellissimo racconto che si legge tutto d’un fiato, il lettore è curioso e desidera sapere come va a finire questa storia che è in bilico tra fantasia e realtà. C’è un sottile filo invisibile che separa la fantasia dalla realtà, la Poetessa e Scrittrice ha saputo districarsi bene nel dipanare la storia.»
Sara Acireale

«Commovente ho gli occhi lucidi... Grazie dolcissima Franca e ti auguro a casa tua...»
Fadda Tonino

«Una storia coinvolgente e meno male che è Fantasy! Se fosse stata vera sarebbe stato un vero incubo da non augurare a nessuno. Per fortuna, nel finale, tutto si risolve. Letta con attenzione. Brava Franca.»
Vivì

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