Non poteva restare a letto, doveva assolutamente alzarsi.
Il mattino era ancora giovane. L'ansia che aveva dentro era già in movimento.
Oggi sarebbe stata una bella giornata, ma, nonostante tutto, Camille non riusciva a tranquillizzarsi.
Si lavò il giovane viso e pettinò i lunghi capelli neri e ricci. Camille poteva essere considerata una bella donna, anche se i suoi occhi verdi rivelavano un'inquietudine interiore che creava una sorte di timore alle persone vicine.
Oggi avrebbe finito il ritratto di ragazza a cui stava lavorando da diversi mesi e che aveva intitolato "L' Orfana".
Le rimaneva la parte più importante, finire gli occhi cercando di donare alla protagonista del ritratto uno sguardo arrabbiato, come arrabbiata era lei nei confronti della vita così aspra e troppo dura.
Non era un autoritratto, ma parecchi tratti somatici della sua "Orfana" avrebbero potuto ricordare Camille. Preferiva immaginare il soggetto del dipinto come la sorella che aveva sempre desiderato e che mai aveva avuto.
Al contrario, la vita le aveva regalato un fratello (se regalo poteva essere definito) acido e astioso come la madre. Anche per questo Camille era molto arrabbiata e le voci che giornalmente le tenevano compagnia la inducevano a quell'odio che non riusciva a sconfiggere.
Odiava la madre così egoista e menefreghista, ma amava il padre, debole vittima del volere altrui.
Nonostante il quadro fosse quasi finito, questo evento le procurava una profonda tristezza.
Generalmente Camille arrivava alla fine di ogni sua opera stanca fisicamente, sopraffatta mentalmente, con l'unica voglia di liberarsi del quadro, ma questa volta si sentiva diversamente. Ormai si era abituata a convivere con la sua creatura. La salutava quando usciva da casa, le dava il buongiorno e la buonanotte, mangiava di fronte a lei, si vestiva ammirando la sua ipotetica sorella, ma sapeva che il quadro doveva essere venduto, soprattutto per una come lei economicamente dipendente dal suo lavoro di pittrice.
"Come può essere triste la vita degli artisti la cui fama e ricchezza vengono spesso regalate dopo la morte e mai in vita. Ma in fondo cosa sono fama e ricchezza se si è comunque destinati a morire?" pensò fissando la tela colorata.
Improvvisamente le voci iniziarono a procurarle odio nei confronti di tutti coloro che avrebbero ammirato il quadro, persone sconosciute desiderose solo di scavare negl'intimi segreti dell'artista, senza sapere nulla di Camille, pittrice e donna. Avrebbe voluto nascondere il quadro al mondo intero, curarlo come si cura una sorella minore desiderosa di affetto e protezione.
"Chissà se quest'opera mi regalerà l'immortalità terrena" riflettè mentre puliva il pennello e nel momento stesso in cui finì di dipingere il colore degli occhi capì che aveva "costruito" un capolavoro.
Immobile fissò la sua orfana e ne comprese tutta la bellezza e il fascino.
"Come può l'uomo creare tanta bellezza?" si chiese.
Camille non credeva in Dio, ma era difficile pensare che il mondo fosse solo opera dell'uomo. Spesso le capitava di sentire una strana forza interiore, come una guida, che le faceva dipingere ciò che la mente non avrebbe immaginato.
A volte creava sfumature di colore talmente improbabili e luminose da non capire dove trovasse così tanta ispirazione. Non era genialità, Camille non si sentiva un essere superiore, ma solo una sorta di "medium" della pittura.
Allora prese una decisione che avrebbe cambiato il corso della sua storia di artista.
Decise di non firmare il quadro con la lettera C, come solitamente faceva, e come unico segno dipinse l'effigie di un piccolo serpente uguale a un tatuaggio che aveva visto al polso di un ragazzo che le piaceva.
Nessuno avrebbe potuto ricondurre questo quadro a lei, non avrebbe avuto più fama e immortalità, ma l'orfana avrebbe conservato un segreto che solo Camille poteva conoscere.
L'orfana sarebbe rimasta sua per l'eternità.