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Il sonno era durato fin troppo, dovevo trovare il coraggio di alzarmi, lavarmi, vestirmi ed andare via, il lavoro mi aspettava... se solo potessi farlo... Questo letto non era il mio, anche se ormai erano settimane che ci stavo sopra. Non che fosse sporco o scomodo, infestato di acari o con le lenzuola lise; era la struttura che non era familiare, poi quest’ odore di ospedale e sofferenza difficilmente si cancella. Quando sei in dormiveglia, con i tubi nella braccia e con la mente sconnessa, la razionalità non è presente.
Voglio morire, ma questo paese non me da la possibilità.
Terzo tentativo di ammazzarmi: fallito, stavolta mi ero spezzato entrambe le caviglie.
Come il pomeriggio che uscito dalla clinica, mi avevano dato per morto, appena realizzai, mi misi a piangere. La signora con la falce stava venendo a prendermi, dunque. Ricordo bene anche troppo, la spirale distruttiva in cui finiii, intere notti passate fuori, con la pioggia, il freddo. Le albe viste dai finestrini appannati della macchina, quel buon profumo di pulito. Droghe anche pesanti, notti brave e mattine spente, piste di coca, diverse le puttane, stavo facendo quello che avevo sempre fuggito. Pomeriggi a letto a smaltire sbornie colossali con mal di testa da guinnes La cartella con le analisi, una malattia degenerativa si stava prendendo il mio cervello. Una parte del corpo non rispondeva più, mi facevo pipì addosso, portavo il pannolone e sbavavo come un neonato, che fine schifosa, che vita di merda. Ho cercato un prete, non che sia credente, forse l’ ho cercato per timore, mi ha riempito di retorica che a stento posso vedere un crocefisso senza provare disgusto. Ho chiamato mio padre, ma non si è fatto trovare, poco male non è stato mai presente, ma sta per perdere un figlio, non una scommessa alla Snai. Mio fratello viene ogni giorno, leggo nei suoi occhi un dolore costante. Ogni tanto l’ occhio sinistro mi da qualche problema, mi cala la vista e divento cieco. Non mi ricordo come giorno è, il mio peso si aggira sui quarantasette chili, son così pelle e ossa che una spugnatura può uccidermi. Sto morendo in un letto che non è mio e nessuno saprà chi ero. Non ci saranno più domeniche affollate, giornate accaldate, porte aperte e zerbini sulla soglia. Finirà il rispetto, passerà la voglia, rimarrà il disprezzo. Ciò che resta, quel che rimane è sapere che non mi farai più del male, la sola certezza del giorno che avanza più un pallido raggio di sole che illumina la stanza. Maledico me stesso, la tua bieca arroganza, il tuo schifoso ego da bisbetica puttana. Vita infame, vita bastarda. Mi hai tolto il sorriso, la voglia di vivere, il grasso dalle guance, il senso del gusto e la parola. La capo reparto è diventata una presenza quotidiana, mi ricorda mia madre, “ Mamma dove sei? ” Hanno messo al muro dei quadri o delle foto, non lo so, faccio molta fatica a capire. Sono stanco, davvero, sono stanco. Le medicine via flebo mi danno benessere, ma so già che non durerà. Morirò è certo, morirò nel peggior dei modi, conscio del dolore e della sofferenza che proverò. Il piede sinistro è di fatto morto, non lo sento e non posso muoverlo. Appena questa bestia toccherà i polmoni sarà la fine dei giochi Sarà affannoso, cercherò un respiro, ma non lo troverò, mi sentirò soffocare, una fine lenta, inesorabile. Spero di morire nel sonno, di non morire solo, ho paura e mi vergogno. Fratello mio, grazie per essermi stato vicino, per avermi fatto da padre. Vorrei dirti di più, ma non riesco. Madre mia, ti perdono per le mancanze, ti perdono per non esserci stata. Padre mio.....non mi hai conosciuto.... Il bip del monitor, una sirena di ambulanza. Una fitta strana, un letto di sudore e sofferenza. Ecco ciò che resta, Tu vita, bisbetica puttana. |
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