Entrammo.
Ci accolse il classico odore di incertezza, di lacrime, speranze, dolore e battaglie.
I volti trasformati, distorti, gli occhi incavati, le schiene piegate.
I miei screzi con Paola in questo luogo erano talmente inutili che anche a pensarci avrei fatto la figura del demente. I problemi che la maggior parte delle persone si fanno per cavolate, qua si rompono contro il muro del silenzio e della rassegnazione.
Ragazzi giovani più di me, lo stomaco si richiuse come una persiana.
Leggere le riviste era impensabile, la testa era altrove. Presi il lettore mp3, magari un po’ di musica poteva aiutare.
Mio padre ansimava.
Lo aiutai a togliersi il cappotto, la sciarpa ed il berretto, cadde la parrucca....mi bloccai...
" Toh guarda, mi è scappato il gatto dalla testa, corri Ighe prendilo o finisce che si perde " esordì.
Risi, ma gli occhi erano carichi di lacrime.
Arrivò Lucia, la capo reparto, aveva in mano un fascicolo. Chiese il cognome e accennò un sorriso.
" Il dottor Zanghi sta visitando, appena si libera, Vi vengo a chiamare".
Ringraziammo.
Intanto nel corridoio, dalle porte della corsia sentivi i lamenti, il brusio indistinto, gli infermieri che correvano su e giù come tante piccole formiche. Un carrello emergenza spinto con forza. Suoni e odori che non scordi mai.
Smaniavo e non stavo un attimo fermo.
" Siamo pazienti, Matteo, dobbiamo pazientare, tanto anche se avessimo fretta a che serve? " disse toccandomi il ginocchio.
Passarono infiniti minuti... sbucò Lucia dall’angolo come un coniglio dal cilindro " Venite il Dottore può ricevervi "
Sette passi, sette schifosi fottuti passi.
"Avremmo saputo il destino di questo cancro, la fine o meno di mio padre, l’inizio dell’ennesimo calvario "
I piedi andavano da soli, per fortuna avevo il 47 non sarei caduto, ma avevo le gambe un po’ ballerine.
Ci fece accomodare.
"Come va? La vedo un po’ ingrassato, Ben. Allora ci son buone notizie, la massa si sta riducendo, siamo sulla buona strada. Oggi farà questa applicazione, se le cose proseguiranno così, potremmo operare".
Non mi ricordo bene il discorso, il mio cervello si stava spegnendo lobo dopo lobo.
Mi restano dei frammenti molto confusi, parole tipo "buone", "buona strada " operare".
Alla domanda di mio padre " ma allora sono guarito? " tornai lucido.
Il dottor Zanghi rimase spiazzato più di me
" Dottor Matteucci, stiamo provando a contrastare la malattia, Lei sta reagendo bene, le analisi lo dicono. La massa si è ridotta, oggi la speranza è più concreta. Ci vuole tempo, non so dirle il futuro, magari stasera esco di qua e mi investono".
Io e mi padre ci scambiammo un’occhiata delle nostre, nessuno disse nulla, ma la voglia di rispondere a tono era pronta.
Entrò un infermiera "Andiamo Dottor Beniamino".
Il dottor Zanghi mi prese il braccio, voleva parlarmi, abbracciai mio padre "a dopo vecchia roccia ".
Matteo siediti.
"Ormai vieni qua da quasi un anno e mezzo, hai visto bene lo spettacolo triviale che viene trasmesso.
Ci basiamo su percentuali, sperimentazioni, cure, ogni cosa che possa arrestare, bloccare, fermare il cancro. Ti potrei raccontare tutte le favole del mondo, ma la verità è una: non lo sappiamo nemmeno noi.
A distanza di anni con tutti i passi in avanti ed indietro che ha fatto la medicina, non siamo capaci di curare un raffreddore, figurati un tumore. Tuo padre è un altro sfortunato paziente, ne vedo a centinaia. Ieri abbiamo perso due ragazzi. Uno di sei anni e uno di ventitre. Se ne sono andati in poche settimane, a casa ho un ragazzo di vent’anni. Secondo te come mi sento? Devi dare sostegno, sei tu che dovresti supportare tuo padre, non viceversa."
Il "vaffanculo doc" era pronto e bello caldo sulla lingua, poi riconsiderai.
La sua uscita per quanto onesta e chiara, mi dette noia.
"Sì dottore, certo immagino siamo dati, numeri, palline nell’urna, polvere interstellare, mi risparmi ‘sta paternale. Lo so per conto mio, ma è una riposta che non mi serve. Giustamente, ne vede più di me, dal suo punto di vista " è solo un paziente ", ma per me no.
Quando non mangia, non si alza, non ce la a stare in piedi o quando rimette la cena e dice " Ighe lasciami morire " che diavolo mi invento? Vederlo con la febbre alta, sconnesso dal mondo, senza sapere a quale santo votarmi, senza sapere se passerà la notte, se la mattina dovrò chiamare le onoranze funebri.
Ribadisco, per lei è un paziente come tanti, per me è mio padre. Non è facile, ce la sto mettendo tutta, ma le notti in bianco le faccio io, mica lei " risposi fra il contrariato, l’offeso e lo scortese.
" Stai calmo, lo vedo che è dura, ma rifarsela con il muro di casa non serve. Guardala con positività, da un altro punto di vista, le cose son cambiate. Tuo padre non è nelle stesse condizioni di quando è venuto la prima volta. Sì, ha perso qualche chilo, ha perso i capelli, ha perso tanto, ma è ancora vivo."
Mi alzai, stavo per esplodere, provai ad accennare un mezzo sorriso. Rifeci quei sette schifosi passi, fermandomi sulla soglia: "Lei me lo chiama vivere Doc? ".
Chiusi la porta ed andai in corridoio senza attendere la sua risposta.