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Stavo pedalando con una certa energia per gustarmi meglio quella sensazione di libertà. Il vento che ti scombina i capelli, che ti scarruffa anche le idee. Quella strana sensazione dove tutto intorno a te diventa veloce e poi lento. Poi lento e di nuovo veloce. Il senso di fatica nelle gambe, il sudore fra le scapole, il respiro affannoso. D’ un tratto la ruota posteriore si inceppò al telaio e mi ritrovai con il sedere per terra. Mi cadde la borsa, il cellulare, il portafoglio ed alcuni spiccioli. Non fu una caduta troppo dolorosa, ma più che sufficiente per lacerarmi i pantaloni, sbucciarmi le ginocchia e graffiarmi le mani. Per fortuna nulla di rotto. Ottima performace da pera matura. Un po’ rossa in volto, mi alzai e sedetti sulla panchina di marmo, il ginocchio frizzava. Mi sentivo come un eroico cavaliere delle leggende Arturiane, disarcionato dal suo fedele destriero. Dal nulla apparve ‘ sto essere lunghissimo, senza dire una parola mi porse una bottiglietta di acqua, mi rese cellulare, portafoglio e spiccioli caduti, si diresse alla bicicletta. Lo guardai aggrottando le ciglia. Pensai fosse uno dei tanti stranieri. Vestiva trasandato con accostamenti bizzarri. Si mise seduto per terra come se fosse la cosa più normale di questo mondo. Senza curarsi della morchia, afferrò la catena, dette una sistemata alla ruota, serrò il bullone e fece girare la moltiplica. Prese il manubrio e lo raddrizzò. "La porti da un biciclettaio, vada piano che altrimenti finisce un’ altra volta a pelle d’ orso." Disse a voce molto bassa senza toni sarcastici. La mise sul cavalletto e si congedò. Parola, mi girò la testa, non capivo quello che era successo. Lo guardai allontanarsi. Sembrava sbucato dal nulla. Passava fra la gente come se fosse aria. Rimasi sorpresa, forse anche un po’ scocciata, ma incuriosita. Mi aspettavo facesse qualche battuta o si mettesse a farmi il filo. Nulla. Nada. Rien. Vidi per terra un tappo copri obbiettivo, gli era caduto dalla tasca. Zoppicando come il dottor House gli corsi dietro. Non mi resi conto di quanta distanza coprì con poche falcate, arrivai da lui paonazza, dolorante e accaldata. " Ehi, tu, scusa, gli toccai il braccio, hai perso questo ". Si fermò. Era altissimo, gli arrivavo si e no al petto. Si alzò i Rayban è mi guardò. Aveva degli occhi di un colore che non avevo mai visto, marrone chiaro con sfumature di verde. "Ti volevo ringraziare, ma ti sei defilato subito. Non mordo, se avevi timore". Piazzai la frecciatina. " Si lo so, scusami. Sono un po’ indigesto, il tuo stomaco non approverebbe, poi comuque non si può fermare il vento". Sorrise. E li accadde una cosa quasi irreale. Il fluire del tempo venne meno, a tal punto da rendere quell’ attimo eterno. Restammo li, in piedi, a guardarci, senza dire una parola... Tornai alla realtà dopo l’ ennesimo tuono. Mi restano memorie talmente vivide da fare ancora male, ancorate ed annodate al fondo del pensiero. Attimi vaghi, indefiniti momenti di piacere mentale e fisico. Son passati mesi, tanta acqua sotto i ponti. Impegni, festività, nuovi incontri che il sole mattutino ha sciolto come tenebra; e poi basta poco e ripiombo nel ricordo mai svanito, mai appassito di come vivevo quel periodo. "Ti sei andato a prendere un angolo buio ed hai portato la luce, folle titano". Già che ormai ero immersa nella piena dei turbamenti emotivi, aprii il bigliettino del nostro primo natale insieme. Mi dette il regalo guardadomi con gli occhi lucidi, celati dagli occhiali un pò appannati.
[....siam quelli che non si arrendono mai, che vanno in mille pezzi senza far rumore per non disturbare. I pochi che vale la pena avere vicino. Siamo i migliori, pieni di imperfezioni, ma con il cuore puro...] Con amore
Mentre il cielo s’ imbruniva, un’ emozione mi sfiorò la pelle...
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