Nei giorni seguenti Sergio fu molto impegnato a scuola. C’ erano i colloqui generali con i genitori ed altre riunioni tra insegnanti. Affrontava quegli impegni con spirito di sopportazione, perché da molti anni aveva smesso di credere nella validità sia degli uni che degli altri. La frustrazione più grande che riportava dai discorsi fatti con i parenti, aveva a poco a poco preso forma in un pensiero preciso che non riusciva più a levarsi dalla testa. A nessuno importava più, ammesso che fosse mai importato, della conoscenza in senso generale: la scolarizzazione, il proseguimento degli studi era visto praticamente dalla totalità dei genitori, e conseguentemente anche dai loro figli, come uno strumento atto a trovare un’ adeguata sistemazione nella vita, possibilmente ben remunerata e soddisfacente sotto l’ aspetto materiale.
Non c’ era spazio per alcun idealismo, Sergio sapeva che i genitori – per lo più madri, ovviamente – degli studenti della terza gli avrebbero chiesto consiglio sulla scuola da intraprendere in base all’ identificazione di un percorso volto al lavoro, unica meta agognata. E questo a tutti i livelli, sia per i ragazzi che avevano capacità e volontà per andare al liceo, che per i più modesti iscritti agli istituti tecnici o professionali. Quasi nessuno si domandava in quale ambito di conoscenza il proprio figlio trovasse la propria personale maggior soddisfazione, la migliore espansione della propria personalità. La conoscenza era vista come puro mezzo. Per molto tempo aveva cercato di spiegare che poteva essere diverso, che certo il pensare al lavoro futuro era importante, ma che quegli anni erano comunque preziosi per il bagaglio di formazione personale che potevano rappresentare… Adesso, laconico, si limitava ad esprimere le attitudini dei ragazzi, i loro risultati e le loro difficoltà, non aveva più voglia di parlare al vento.
Verso sera, piuttosto stanco perché comunque erano sempre pomeriggi di molte più parole di quelle che avrebbe voluto spendere, prima di rincasare passava da Giovanni. Non nascondeva a se stesso il senso di piacere che provava all’ idea di incontrare Irene. Contava su quel piccolo momento di distensione che la presenza di lei gli avrebbe procurato, era anche stupito di trovarla sempre paziente, apparentemente serena del tipo di vita che stava conducendo, che pure non poteva non pensarle… sapeva anche che Augusta in quei giorni era spesso lì, una sera la incontrò, stupendosi perché lei andava da suo padre quasi sempre al mattino.
Non aveva suonato il campanello, ormai Irene sapeva che prima o poi sarebbe arrivato, non le creava disagio. Entrò in cucina e, appunto, trovò anche Augusta. Sedeva un po’ rigidamente accanto al padre, gli rivolse un’ occhiata interrogativa: - Ti aspettavo molto prima
Irene, dopo averlo salutato con gentilezza, si era girata verso i fornelli. Poi si scusò, disse che avrebbe approfittato della loro presenza per sbrigare alcune piccole faccende personali, così Sergio e Augusta rimasero soli con il padre. Sergio era infastidito, ancora una volta sentiva ingiusto quel doversi giustificare di qualche cosa, cui ogni volta sua sorella lo costringeva, in qualche modo.
- Avevo i colloqui con i genitori, ho finito dieci minuti fa – disse stancamente, ma la stanchezza era per la ripetitività delle situazioni della sua vita, come gli incontri con sua sorella.
- Cosa ti sembra di questa nuova ragazza?
Augusta le chiamava sempre così, anche se non erano quasi mai ragazze: era il suo modo per stabilire una barriera tra lei e loro, anche se avevano magari la sua età, a volte erano state anche più vecchie di lei.
-Mi sembra brava, attenta. Mi sembra che papà sia contento
-Per quello che te n’è sempre importato, di papà…
Giovanni come al solito era assorto nel suo mondo, ma pure a Sergio parve di cogliere un sussulto nei suoi occhi, ma forse non era vero. Non disse niente, comunque. Avevano discusso molte volte, spesso litigato con mille pretesti, quelli non mancavano mai nella forzata gestione comune della materialità della vita paterna. Non più, si disse Sergio, non più: non le avrebbe mai più spiegato che lui si sentiva vinto e ripiegato dal senso del dovere nei confronti di suo padre, che non aveva mai amato e dal quale non si era mai sentito amato. E questo era un dato di fatto che nessuna delle cose che avrebbe potuto ripetergli Augusta, avrebbe mai modificato. D’ altra parte, quanto sarebbe stato più facile, se lo avesse amato, era il primo ad ammetterlo, a capire la forza negativa che l’ amore mancato aveva sprigionato nella sua vita, anche fino ad un certo punto intossicandola…
Si limitò a chiedere a sua sorella: - E a te, cosa sembra di Irene?
Gli parve che lei lo guardasse stupita, ma apposta aveva nominato Irene con familiarità, non voleva più subire intimidazioni da sua sorella.
-Mah- lei alzò le spalle – direi che può andare.
Sergio non ricordava che avesse mai manifestato una parola, se non di entusiasmo, almeno di piena accettazione per qualcuna delle signore che si erano occupate di Giovanni.
Per quella sera fu tutto; Augusta presto si accomiatò, ancora una volta investendo Irene di moltissime raccomandazioni che certo le impartiva ogni giorno. Sembrò stupita che Sergio non uscisse di casa insieme a lei, ma che anzi si fosse accomodato su una sedia al tavolo di cucina, dopo essersi versato un bicchiere d’ acqua. L’ ora della cena di Giovanni non era lontana, ma Sergio non aveva voglia di andarsene, e Irene lo guardò con riconoscenza, contenta della sua presenza che alleviava un po’ la noia della giornata.
Così, quella sera, Sergio si fermò proprio a cena, con Giovanni e Irene. Fu quasi per caso, ma in lui era netto il pensiero che niente avviene per caso. Era uscito a fumare una sigaretta, e mentre la notte già precoce di metà novembre diventava buia, aveva chiamato Silvia, dicendole che stava un po’ di più da suo padre. Poi, rientrato in casa, aveva dapprima sfogliato uno dei giornali che aveva con sé, mentre Irene aveva servito la minestrina e il consueto piatto di verdure al vapore con formaggio a Giovanni. Adagio l’ uomo aveva masticato ogni singolo boccone, a volte interrompendo con un gesto come a voler dire di andare più adagio, a volte dimostrando impazienza. Sergio aveva aiutato un po' Irene; intanto scorrevano le notizie del telegiornale dalla piccola televisione. Quello schermo acceso valeva ad attenuare un po’ il senso di intimità che si era diffuso nella piccola cucina, di cui lo stesso Giovanni con un’ espressione particolare del tutto diversa dal solito, sembrava rendersi conto. Irene sorrideva a Sergio, mentre ancora era impegnata con Giovanni parlarono un po’ della cucina del paese di lei.
-Sì, a me piace la cucina del mio paese, ma penso che in Italia abbiate delle abitudini alimentari migliori… un’ attenzione ad un equilibrio tra verdura, pasta, carne, che da noi non esiste. La nostra è una cucina con tanti grassi, povera magari, ma la carne di maiale non manca mai. Mi piace di più come usate gli ingredienti qui: certo è anche per via del clima più caldo, la maggiore facilità con cui potete coltivare verdure a frutta…
-Io non bado molto a cosa mangio, sai… per me il cibo è sempre stato poco interessante. Mi stancano tutti i rituali gastronomici della nostra cultura, arrivo all’ esagerazione di disinteressarmene completamente, quasi per reazione al gran parlare che ultimamente si fa del recupero della tradizione, dei sapori, della cucina del territorio… So che sono temi interessanti, o comunque vanno nel segno giusto di non soccombere alla globalizzazione del gusto, e che noi siamo quello che mangiamo e tutte quelle altre cose giuste che si dicono, ma ugualmente è più forte di me… il cibo mi annoia- ma qui Sergio ha un sorriso improvviso – però, per questa sera, se ti va posso fare uno strappo alla mia regola, e cucinarti la mia specialità… e non importa se è anche l’ unico piatto che so cucinare: pasta mare- monti!
Irene è sorpresa, e anche contenta. Mentre lei rigoverna i piatti di Giovanni, Sergio cerca i pochi ingredienti che gli servono: qualche filetto di acciuga sott’ olio dal fondo di un barattolino in vetro in un angolo del frigo, un paio di patate, la pasta. Mette l’ acqua a bollire, le patate a cuocere a piccoli pezzi insieme alla pasta, salta velocemente in padella uno spicchio d’ aglio con le acciughe. E presto la pasta è pronta, calda fumante dentro la padella … Giovanni pare rassegnato alla novità della serata, Irene ha apparecchiato per loro due nello stesso angolo di tavola dove poco prima ha cenato lui, e come due ragazzi si scoprono affamati e allegramente mangiano la loro pasta.
-Darò anche io un piccolo contributo alla riuscita di questa cena… multi- etnica…- annuncia Irene e in pochi minuti ripassa al fuoco qualche piccolo involtino di foglie di cavolo ripiene di riso e sugo, che Sergio assaggia con piacere, trovandoli buonissimi.
-Quasi quasi cambio idea, sul cibo, mi è piaciuta questa cena…
Sorseggiano ormai il caffè, hanno parlato ancora, Irene gli ha raccontato di quando, da ragazza, aveva fatto per un certo periodo la cameriera in un ristorante prestigioso della capitale, al suo paese, prima di diplomarsi come maestra. Irene è stupita della familiarità che sente con lui, e del costante flusso di interesse per le cose che gli dice, che avverte da parte sua. Del senso del tutto opposto alla solitudine che è abituata a provare, che da questo interesse affiora nel suo cuore.
-E’ proprio tempo che Giovanni se ne vada a letto…-in effetti è passata da parecchio l’ ora abituale di Giovanni, per fortuna lui pare assopito su un lato, e non dà mostra di essersene accorto. Sergio la aiuta, insieme lo portano a dormire, come un bambino, e poi come se la sua assenza in qualche modo creasse tra loro un’ aspettativa nuova indefinibile, si augurano la buona notte, ringraziandosi reciprocamente per la cena, e Sergio se ne va.