Sono giorni che mi sveglio con questo nome in testa. Ruth. Solo un nome, non ha viso, occhi, orecchie, non ha un sorriso particolare, non ha un corpo. O forse sì ma non mi sono mai domandata se sia esile o robusto, longilineo o no. Si può perdere traccia di una persona mai incontrata? Si può pensare esistente una persona mai conosciuta?
Due settimane fa, nei miei soliti giri fuori dal paese collinare dove vivo o meglio sopravvivo a sentimenti di invidia o gelosia o più in generale di cattiveria umana, anzi per la precisione ad una trentina di chilometri dal mio paese, mentre ero a fare spese, mi sono accorta di questa strana presenza. Cominciai mentalmente a chiamarla così: Ruth. Non arrivò cenno di disapprovazione.
Il mio nome è troppo lungo ed anche nella versione “ Rosy” mai autorizzata, decisa forse da un singolo e affibbiatomi poi dalla folla, con quel prolungato sostare sulla “ o” lo rende un nome più lungo di quanto in realtà non lo sia. “ Rooosy” . Oltretutto, lo storpia pure.
Ruth invece è uno schiaffo, un punto, uno stop.
Un nome corto che a pronunciarlo non richiede alcuno sforzo, che era nato così senza che ci avessi pensato più di un istante.
Forse distratta, forse soprappensiero, le labbra pronunciarono quel nome in modo interrogativo. Ruth?
E lei: si?
Ci siamo ritrovate a fare la strada insieme ad entrare nei negozi guardando di sfuggita le vetrine a sostare su una panchina, ad osservare i passanti, lamentarci per il caldo, a ricordare il passato. Un passato però a lei sconosciuto. Al tavolo di un bar o al ristorante, io finalmente in ozio con un grande appetito che dopo gli antipasti numerosi e stuzzicanti, già scemava. Era il profumo del mare col rumore della risacca che giungeva fin sopra la terrazza, era l’ odore della terra, dei suoi frutti a saziarmi.
Instancabile, entusiasmata solo da chilometri di strada, senza fare niente di così straordinario, partendo all’ alba e vedendo sorgere il tramonto.
Cosa avevo visto, dove ero stata in uno di quei giorni peregrini… Se me lo avessero domandato, non avrei saputo rispondere.
Forse non ero stata in nessun posto. Non avevo visto nulla che non vedessi tutti i giorni. Ma la vita era con me, mi parlava, mi ascoltava, faceva progetti, sognava e forse mi illudeva e, nel momento in cui me ne rendevo conto, sorridevo.
Sono solo ricordi. E forse questo vortice di pensieri mi schernisce, come a voler dire: vedi, ora hai smesso di vivere…
Ora cammino con passo svelto. Sempre indaffarata con tante cose a cui pensare. Le mie sortite sono sempre legate a delle incombenze. Con i soliti panni addosso. Nell’ armadio ci sono vestiti che non ho mai indossato, vestiti che mi vanno stretti, altri che avrei sfoggiato una ipotetica sera in una mia ipotetica storia di una ipotetica vita diversa.
Ma ora mi siedo dove capita, sistemo alla meglio le buste della spesa, sudo alla minima fatica.
E Ruth non mi guarda, a lei non interessano i miei abiti e pensa alla stessa mia maniera che fra la gente è meglio passare inosservata.
Niente vestiti appariscenti, niente rossetto, rimmel, ombretto, smalto.
Quanto tempo sprecato dalle donne in cose inutili! Perché ci vuole tempo per addobbarsi con tutto questo bel po’ di cose.
Si, ho detto addobbarsi, volutamente, come si trattasse di un albero di Natale ricco, sontuoso, carico di palle e palline non necessariamente sferiche, di luci e fili d’ argento e oro. E fili di colore rosso. Non può mancare il rosso, almeno per come la penso io. E in tutto questo folklore i bei rami verdi, seppelliti sotto il peso.
Il sole mi brucia le gote e penso alla delicatezza della mia pelle, alla fragilità capillare, alle scarpe chiuse che mi ostino a portare il più a lungo possibile per non dover mettere in mostra quei piedi che per me sono solo piedi, per gli altri oggetto di esame. Unghie senza smalto, l’ alluce leggermente valgo, lo sforzo del passo in discesa che lascia fuoriuscire troppo dalla scarpa la punta del piede, davanti.
Cammino decidendo prima il tempo da dedicare ad ogni cosa. Perché terminate le spese ho solo voglia di tornare a casa.
Una casa dove amo ritornare, dove ho perso molte cose e ne ho conquistate altre, una casa che per tanto tempo sembrava non mi appartenesse.
Ruth è con me ma già so che come varco la soglia lei scompare.
Ed io la cerco ugualmente, ho bisogno che mi aiuti a ricordare. Non i posti dove siamo state insieme. Ma le vite vissute in pochi istanti, la spensieratezza e l’ allegria immotivata. Non siamo state in nessun posto, abbiamo vagato con il pensiero, ci siamo allontanate troppo. Un rintocco in piazza proveniente dal campanile ci riconduce all’ ora.
L’ ora del percorso all’ inverso, l’ ora del rientro a casa. Per me, solo per me.
Ruth, appena sulla soglia di casa, sparisce.
Mi ha promesso che tornerà stasera, se avrà tempo, dopo i piatti lavati, la biancheria stirata e riposta nei tiretti, dopo i miei starnuti, un morso ad una mela e un grissino, un sorso di rosso.
Tornerà per guardarmi mentre dipingo una tela. Io non so dipingere, ma lei sì e forse lo farà per me. Ed io riuscirò a far tacere questa voglia di piangere che mi prende all’ improvviso .
Un desiderio irrefrenabile di marmellata mi porta lontano da ogni altro pensiero.
Ruth mi osserva e mi dice che stasera i miei occhi non bruceranno.