Capitolo 6
In quella cucina, tra fagiolini da pulire e Giovanni che pare sempre sonnecchiare, adesso è Sergio che domanda, a Irene -E tu? Che madre sei?
Poi però gli dispiace un po’. Irene ha dovuto venire via dai suoi.
Irene sembra sorpresa, ma è solo un secondo, chiude un momento gli occhi, deve essere tornata un attimo a casa.
- Quando erano piccoli, ho passato degli anni bellissimi, grazie a loro. Sono stata una giovane mamma davvero contenta. Poi la vita è diventata… più complicata, ma loro hanno continuato a contare tanto, per me. Volevo amarli e lasciarli liberi, liberi nel pensiero, soprattutto, voglio dire… Non so se sono riuscita, lo dovrebbero dire loro. Pensando ai miei figli, devo dire che tante volta mi sono chiesta se facevo differenze d’ amore, tra loro due, ma non penso. Solo, forse, mi sono sentita con più facilità affine a lei, mia figlia. Lei è tante cose che ammiro. La guardo come persona, e mi piace riconoscere alcune cose di me, che però mi sembrano tanto migliorate, arricchite. E certo è così, in lei ci sono tanti altri geni, no?
Irene sorride dell’ aria un po’ stupita che ha assunto Sergio, lui non pensava che potesse spiegarsi così bene, non in italiano.
- Tant’è vero che ho spesso pensato che lei assomigli molto alla madre di mio marito, sua nonna paterna. Una donna, che purtroppo è morta piuttosto giovane, a cui ho voluto tantissimo bene, a dispetto della leggenda che bisogna per forza odiare… come dite voi? la suocera, mi sembra. Comunque mia figlia è una ragazza molto… aggraziata, ma non intendo dire per il suo aspetto, non solo almeno. E’ davvero serena, del tutto priva di risentimenti, di durezze. Alla meschinità riesce sempre a trovare riparo, alla rabbia lei guarda sempre con occhi disarmati.
Certo anche la sua vita non è rose e fiori, ma è come se lo fosse. Vuole avere il sole dentro, e ce l’ ha. Quando era più piccola naturalmente io e suo padre avevamo paura per lei, sempre assetata di vita e apparentemente così indifesa. Suo padre ancora adesso vorrebbe chiuderla, tenerla al riparo… io invece ho capito che la sua sintonia con la vita è una forza che non può essere chiusa. Anzi, vorrei averla io.
Con mio figlio invece è più difficile comunicare. Mi sento unita a lui, lo stesso, ma abbiamo molti meno argomenti, cose in comune… Devo proprio impegnarmi per trovarlo amabile, vorrei scuoterlo, lui sta sempre zitto. Anche se penso che amare è accettare una persona per come è, lo stesso vorrei cercare di cambiarlo un po’… Naturalmente penso che sarebbe per il suo bene, che forse potrebbe essere più felice… come se io ne sapessi poi così tanto, di come essere felice. Solo che non mi sembra che la felicità possa maturare nel silenzio, nel non saper comunicare niente di sé. Un errore che anche io ho fatto tante volte, a dire il vero.
Anche Irene tace di colpo, a sua volta sorpresa di aver parlato così, in un modo che ha lasciato trapelare molti dei suoi pensieri.
E’ Giovanni che decide che è tempo di finire le chiacchiere. Nonostante non guardi e non senta, sembra irritato, e comincia il suo oscuro rimbrotto, Irene sa che è un richiamo.
Sergio si scuote, guarda l’ ora, il buio che si affaccia già da parecchio dalla finestra con le tende aperte.
-Ciao Irene, è stato un piacere parlare con te, ci vediamo domani. Ciao papà- e si prende la giacca, ma si capisce che gli dispiace andare via. In effetti lui pensa che, come sempre, Giovanni deve imporre la sua presenza, è sempre stato così da quando lui, Sergio, è nato.
Irene veloce sta mettendo via i fagiolini, liberando il tavolo, servirà presto la cena a Giovanni. Gli sorride ancora, sembra volerlo incoraggiare a non prendersela, lo saluta:
-Arrivederci Sergio, a presto.
Fuori è salita la nebbia, le serate cominciano ad essere davvero fredde, pensa salendo in macchina, sta finendo novembre.
Ma il giorno dopo sembra voler smentire le considerazioni di Sergio. Fin dall’ alba è stato un sole vivace quello che ha di nuovo scaldato, inaspettatamente, la terra. Ha la tazzina del caffè in mano, dopo un pranzo rudimentale messo insieme con gli avanzi della cena cucinata da Silvia, che anche oggi ha preferito fermarsi in ufficio. Enrico è già sparito in camera sua, accampando una grande urgenza nello studio. Sergio appunto ancora sorseggia il caffè, quando lo sguardo gli cade sul calendario di cucina e un sorriso gli si allarga in volto. Incredibile, è l’ estate di San Martino, pensa, e per un attimo si sente richiamato indietro a quelle letture del libro delle elementari, così affascinanti per lui novello lettore e avido di storie… San Martino da Tours, il povero, il mantello… Da crederci o meno, e quanto aveva desiderato lui crederci a quel tempo, nel giorno dedicato al generoso cavaliere eroe della sua infanzia, il sole era caldo e l’ aria profumata come in primavera.
Decise di andare subito da Giovanni, di non aspettare la sera. Poi sarebbe tornato, e avrebbe corretto le verifiche di grammatica, ne aveva una montagna. Benché avesse abbracciato la moderna scuola di pensiero per cui la grammatica non sarebbe più prescrittiva, bensì descrittiva, a malincuore doveva ammettere che era necessario mantenere un atteggiamento abbastanza prescrittivo, come insegnante, con i suoi allievi, se non voleva che questi sbracassero completamente…
Con sorpresa, sbarcando davanti alla casa paterna, trovò i due, Irene e Giovanni in carrozzina, sulla piccola via antistante la casa, a ridosso del muretto di cinta inondato di sole. Irene gli rivolse uno sguardo stupito, un po’ contento e un po’ preoccupato gli parve.
-Non avevo un termometro, ma mi è sembrato che non fossimo molto lontani dai 20 gradi previsti da Augusta per una passeggiata fuori…
Aveva una luce tra il timoroso e lo scherzoso nello sguardo, probabilmente non immaginava che subito sarebbe arrivato qualcuno di famiglia, alla sua prima coraggiosa uscita con il vecchio, ma nello stesso tempo era fiduciosa che Sergio non disapprovasse l’ iniziativa.
Lui, anzi, ne fu ammirato. Non ricordava di aver mai desiderato di portare fuori suo padre, peggio era quasi certo di non averlo mai fatto. Inoltre constatava come la scarsa pratica nella manovra della carrozzina rendesse l’ impresa particolarmente faticosa per Irene, perciò si offerse di spingerla lui. Lei accettò con naturalezza, si avviarono nella direzione che aveva già intrapreso Irene, verso l’ esterno del paese. Lì la via diventava più larga, il sole dominava la scena, i giardini regalavano qualche tardiva fioritura di rose e gerani, e rare erano le automobili di passaggio.
E’ Irene che comincia a parlare: - Che magnifico giorno di sole… da ragazza l’ estate mi piaceva tantissimo. Mi sentivo davvero molto più viva, era così intensa e ricca di cose, che allo stesso tempo passava in un soffio, e durava una vita… che bello che era.
-Perché parli al passato, non ti piace più?
-Adesso… non è che non mi piaccia. Però tante cose sono cambiate, forse mi sento più a mio agio in inverno, al chiuso. E’ come se la sfida della vita all’ aperto non facesse più per me.
La sua voce si è velata di malinconia, chissà cosa intende con quell’ espressione, la sfida della vita all’ aperto. Però anche Sergio avverte lui stesso di aver vissuto quella frattura, tra l’ età giovanile e il presente. Forse di non sentirsi più in sintonia con il mondo naturale, che un tempo gli aveva dato emozioni.
-Ricordi? Ieri parlavamo dei figli. Poi questa notte li ho sognati, ma non ricordo bene che cosa, di loro. Però mi è venuto in mente un rimpianto, una cosa che ogni tanto mi torna, che non riesco a perdonarmi, anche se può sembrare una piccola cosa.
Sergio la guarda, è sorpreso dell’ immediatezza di quella donna, parla con lui come si conoscessero da tanto tempo
-Il mio rimpianto è questo: mi annoiavo sempre, quando da piccoli mi raccontavano i loro sogni, ma si può? Non mi sembra possibile di non averli ascoltati con devozione… allora che non desideravano altro che mettersi nelle mie mani. Adesso vorrei tornare indietro, vorrei che fossero di nuovo piccoli e che ancora mi raccontassero quelle storie infinite senza né capo né coda… mi sta bene, dovevo immaginarlo che avrebbero smesso di farlo, e avrei dovuto fare vera, non finta, attenzione.
Irene sorride anche un po’, non drammatizza questa mancanza di giovane madre, ma si capisce che le dispiace davvero, non avere più occasione di entrare nelle storie segrete dei bambini, dei suoi figli, aver perso un filo della loro trama…
-Qualche volta è certamente successo anche a me, anche se non ricordo tante occasioni in cui loro volessero raccontarmi i loro sogni… chissà se era perché non ci facevo caso… Però ho sempre cercato di non tagliare i ponti della comunicazione, tra me e loro. Ma nonostante gli sforzi, non è per niente facile comunicare, coi figli... forse non mi sforzo neppure più di tanto, ammetto che io sono sempre perso nei miei voli pindarici...
Sergio guarda Irene, non è sicuro che lei abbia capito ma Irene annuisce a tranquillizzarlo. - Forse poi, ma non so se questa è una scusa che mi fabbrico io per mia comodità, pare che i figli maschi, e i maschi in genere, siano pochissimo portati alla confidenza, soprattutto coi genitori... Mi sembra di vederlo anche da tanti amici dei miei figli che circolano giorno e notte per casa “ mia”. Mi pare che tutti siano molto sobri nel parlare di se stessi. Forse... una delle classiche differenze fra uomo e donna? Comunque io dai miei figli riesco a tirar fuori le parole col contagocce, e solo dopo veri e propri interrogatori degni dei più abili investigatori. Penso che in tutte le domande e nelle eventuali risposte i ragazzi sentano dei giudizi latenti, che, anche quando non c'è nessuna intenzione di fare, esistono lo stesso. Anche in classe, me ne accorgo, coi ragazzi di scuola, anche se loro sono poco più che bambini, si può dire.
-Tu ti ritrovi nei nel modo di essere dei tuoi figli?
Sergio pensa un attimo. - Nei figli bene o male ci si proietta, secondo me. Si vive magari il desiderio che possano vivere e realizzarsi anche in cose che magari avremmo desiderato e a noi non è riuscito realizzare. A me, razionalmente almeno, nel senso che ci sono delle parti di noi stessi che magari inconsciamente ci dominano…, per i miei figli non desidero assolutamente niente, almeno relativamente ad ambizioni, successi, realizzazioni varie. L’ unico desiderio che veramente ho è che possano adattarsi ed arrangiarsi nella complessità della vita in modo sereno, col minor sforzo possibile. Poi magari inconsciamente posso desiderare anche altre cose, quelle che magari ho sentito mancare a me. Per certi aspetti, di cui io mi sono sentito deficitario, ma già sento che la loro vita ed il loro modo d'essere è migliore del mio...
-Anche io penso spesso questo, che sono migliori di me. Solo, vorrei che Marin, mio figlio, fosse più aperto, più solare. La sua riservatezza spesso mi addolora, mi ha creato delle ansie, ho paura di avergliele anche fatte pesare
-Tutti abbiamo pensato, in un modo o nell’ altro, di poter cambiare le persone che amiamo. Ci sembra sempre di desiderarlo per il loro bene. Ma… alla fine amare è accettare una persona com'è. Può anche essere legittima l'idea di aspettarsi dei cambiamenti, ma questo credo che sia separato dall'amore. E poi non credo sia facile che le persone cambino per pressioni esterne, al limite dall'esterno si può cercare di dar conoscenza delle cose. Ma il vero cambiamento credo non possa che essere interiore. Uno cambia perché ne sente il bisogno dentro di sé, sempre che abbia i mezzi per farlo; pretendere un cambiamento è in un certo senso rifiutare una persona per quello che è... io per esempio mi chiudo a riccio di fronte alle pretese degli altri di cambiarmi.
Irene gli lancia un’ occhiata penetrante, forse si chiede chi abbia cercato di cambiarlo. Pensano entrambi che non nominano mai Silvia, la moglie di lui, e Carlo, il marito di Irene. Forse per questo Sergio aggiunge, quasi come un pensiero ad alta voce – Ma forse io non avrei nemmeno il diritto di parlare tanto dei miei figli. In fondo, chi se ne è sempre occupata di più, è stata mia moglie. Chissà se lei ascoltava il racconto dei loro sogni?
Irene lo guarda grata, le fa piacere che lui abbia notato quella sua confidenza di poco prima, il suo piccolo rammarico.
Ancora una volta è Giovanni a dare un segnale per il cambio di passo della situazione, tra loro. Da semi- addormentato, com’ era, sulla poltrona a rotelle, improvviso con un tremito della mano annuncia la sua irrequietezza. Da sotto il basco di lana ben calcato sulle orecchie che gli ha fatto indossare Irene, con fatica cerca di girare lo sguardo su di loro, Irene premurosa lo interroga – Giovanni, vuole tornare a casa?
D’ altra parte il sole è già meno forte, fa più fresco. Il segno della mano di Giovanni li convince a rientrare, con dispiacere lasciano quella strada tranquilla, ritornano. Ad entrambi sembra di aver lasciato un luogo piacevole, quello delle loro parole, per ritrovare le solite mura di casa.