Era stanca, non ce la faceva più. Dopo giorni passati in sella al suo cavallo aveva bisogno di un po’ di riposo e così pure il suo destriero che non aveva mai smesso di obbedire ciecamente ai comandi della ragazza che lo montava.
Era ormai trascorsa più di una settimana da quando si era messa in viaggio, costretta alla fuga da un’incursione di barbari nel suo villaggio. Al pensiero di cosa avvenne in quel triste giorno, che segnò per sempre la sua vita, le si riempirono gli occhi di lacrime: c’erano donne e bambini che urlavano ovunque, case incendiate che sembravano tizzoni ardenti e uomini feriti al punto tale da essere irriconoscibili finanche a sé stessi.
Avevano saccheggiato tutto, si erano impossessati di qualsiasi cosa, compresa la dignità delle persone. Quando quell’orda di selvaggi si affacciò all’orizzonte, le sentinelle di ronda alle porte del villaggio, misero in guardia quante più persone poterono, ma la furia con la quale fecero irruzione, fu così improvvisa che solo Saulina riuscì a mettersi in salvo.
Quando li vide arrivare, stava ritornando dalla sua abituale passeggiata nel bosco dove era solita raccogliere le erbe medicamentose che la nonna le aveva insegnato a riconoscere e che sarebbero servite a guarire coloro che le si rivolgevano per essere curati.
S’accorse subito della gravità della situazione, ma chiedere aiuto al villaggio più vicino era impensabile, le ci sarebbero volute 2 settimane di viaggio prima di poterlo raggiungere, e quei vandali avrebbero concluso la loro opera di sterminio da lì a qualche ora.
Dunque non le restò che fare altro che assistere impotente a quello scempio, per poi scappare il più lontano possibile da quell'orrore.
“Perché?” - si chiese Saulina con la voce rotta dal pianto. “Perché il mio popolo ha dovuto subire tutto questo?
La nonna era solita dire che chi semina vento raccoglie tempesta, ma la mia gente è sempre stata buona ed ospitale nei confronti dei viandanti di passaggio, dunque per quale diabolico disegno è stata assegnata loro questa tragica fine?
Non posso credere che un Dio buono e giusto abbia ricompensato la nostra generosità con questo macabro epilogo. Se è vero che esiste un Dio, mi risponda perché io non lo riconosco più!
Non so più quale sia la verità, non so più fino a che punto la saggezza sulla quale si reggeva del mio popolo sia effettivamente attendibile.
Se ascoltassi i loro insegnamenti infatti, dovrei ammettere che in tutto questo vi è una forma di giustizia che esula dalla mia ragionevole comprensione. Ma se prendessi in considerazione una simile ipotesi, dovrei ammettere che l’essere magnanimi sottintende una forma di colpevolezza il cui prezzo viene saldato in termini di vite umane. Dovrei ammettere che per dipingere il suo quadro, Dio si è servito di un rosso molto particolare, e che anziché adoperare pennelli e colori, ha preferito utilizzare il nostro sangue.
E’ dunque questa la Verità? … “
Saulina stava per formulare mentalmente la conclusione delle sue riflessioni, quando uno sconosciuto le si avvicinò chiedendole: “Ti senti bene?”.
Lei a tutta prima sobbalzò per l’inatteso intervento, ma non appena si riebbe dallo spavento, gli rispose: “Sì, grazie, sto bene” e nel dirglielo non badò troppo alla forma, né si curò che potesse accorgersi che non aveva alcuna intenzione di fare conversazione e tantomeno di raccontargli la ragione del suo pianto.
Lo sconosciuto le si sedette accanto ...e quel che successe in seguito è ancora oggetto degli interrogativi più assillanti di Saulina.
Le prese il volto tra le mani e le parlò con la voce del tuono, trasmettendole quella serenità che solo la consapevolezza di essere intensamente amati sa infondere. Le lesse il cuore scrutando nella profondità del suo spirito aiutandolo a venire a galla.
“Cosa vorresti che facessi per te?” le chiese, come se con quella domanda implicitamente stesse dichiarando di potere fare qualsiasi cosa, come se in quella domanda fosse contemplata la risposta al malessere di Saulina.
Capì il suo pensiero e le disse: “Dubita di me se vuoi, ma non dubitare mai di quello che il tuo cielo interiore ti sussurra.
Hai lasciato la speranza sul bordo dell’immensità, un’immensità il cui fondo è insondabile, ma la cui luce si trova dentro, non in cima, affogata nella luce che sta in alto.”
Saulina sapeva bene cosa intendeva lo sconosciuto, pur non capendo come le sue parole, per certi versi enigmatiche, potessero arrivarle dritte al cuore. Come poteva parlarle così se non avesse saputo chi era.
“Già ma tu chi sei?” Domandò lei d'istinto.
“Io sono colui che ha parlato alle pietre e queste m'hanno lapidato, sono colui che ha insegnato ai sordi ad ascoltare e questi m'hanno imbavagliato, sono colui che ha osservato la notte per permetterle di vedere il giorno e questa m'ha oscurato. Ma ecco che tu mi siedi accanto e non temi la mia ingombrante presenza. Abbracciami, senza riserve, perché io sono il tuo dolore più dolce la cui congiuntura con la gioia più amara fa di te il mio alito di vita.”