Carolina, vedova di un giovane militare morto durante la Seconda Guerra Mondiale, aveva passato tutta la sua vita in compagnia dei suoi gatti che allevava con amore e dedizione. Tanto che per gli abitanti di Amardolce era semplicemente Carolina la gattara.
A volte, durante i giorni più bui della sua esistenza, si era privata di tutto ma era sempre riuscita a trovare da mangiare per i suoi gatti. Davanti alla sua casa, scavata nella roccia di gesso, prima del tramonto, si radunavano decine di gatti d’ ogni razza che aspettavano che la donna portasse loro avanzi d’ ogni genere: spacchetti, sugo, patate, pezzettini di lardo, pane secco ecc.
La donna era amata dagli amardolcesi perché era limpida come l’ acqua del torrente che attraversava il paese e i suoi immensi occhi trasmettevano una sensazione di placido candore.
Per qualcuno era un po’ pazza per via dell’ amore che nutriva nei confronti dei felini, ma tutti concordavano sul fatto che non fosse capace di fare del male neanche a una formica.
Ad ogni gatto randagio affibbiava un nomignolo. Bastava che lei lo guardasse negli occhi per appioppargli il nome che più gli si addiceva. Li chiamava con i nomi più disparati, da “ Garibaldi”, “ Anita”, “ Cavour” a “ Giulio Cesare”, “ Nerone”.
Non sceglieva mai appellativi che potessero umiliare la loro già difficile esistenza.
Con lei, le bestie portavano sempre un nome nobile che li riscattava, almeno parzialmente, dai soprusi e violenze d’ ogni genere che erano costretti a subire per sopravvivere in un mondo sostanzialmente arido e violento.
Durante la notte del 24 dicembre 2011, la data è rimasta impressa nella mente degli abitanti del paese perché ne parlarono anche i giornali a livello nazionale, un ignobile e ignoto screanzato disseminò il paese di polpette avvelenate che uccisero centinaia di cani e gatti randagi.
Il solo felino che sopravvisse alla strage fu “ Picasso”, un gatto bianco come la neve.
Carolina impazzì per il dolore quando seppe che quasi tutti i gatti che aveva adottato erano morti dopo lunghe e atroci sofferenze, e già inferma, decise di ospitare permanentemente “ Picasso” a casa sua per fargli vivere gli ultimi anni della sua vita di randagio, in modo dignitoso.
La malattia si aggravò a tale punto che la famiglia decise a malincuore di rinchiuderla in una casa di riposo dove rimase per due anni prima che un lontano parente, di nome Martino, la riportasse, chiedendo un permesso- orario all’ intransigente direttrice del gerontocomio, ad Amardolce per l’ ultima volta.
Carolina volle rivedere la piazza, le chiese, il cimitero e, prima di tornare alla casa di riposo, chiese esplicitamente di rivedere la casa dove aveva passato più di sessant’ anni della sua vita.
Carolina e Martino rimasero sorpresi quando videro “ Picasso” che aspettava la padrona davanti alla sua casa scavata nelle pietre di gesso, l’ unico vero amico che le era rimasto fedele per sempre...
Il racconto vince il terzo posto al Concorso « Città di Bricherasio 4^ Edizione» - Le vie dell’ Amore: Amore sacro- amore profano, Bricherasio (TO) 22 novembre 2016, con la seguente motivazione: «È un racconto delizioso, commovente, esprime la bontà di una donna che ha dedicato la vita per i suoi amati gatti. La sua figura resta imponente e sovrasta la cattiveria umana, quella che spinge una persona a compiere un gesto sconsiderato di crudeltà disseminando bocconi avvelenati nell’ aerea della colonia felina. Il finale è stupendo, perché mette in risalto l’ amicizia genuina dell’ accoppiata animale- persona umana, incancellabile anche a distanza di anni. Una storia scritta con passione, breve ma intensa, toccante e quasi sicuramente accaduta».