Caro diario,
da quando ho ricevuto la cartolina precetto militare, la mia vita è letteralmente cambiata.
I miei diretti superiori mi hanno improvvisamente buttato nell’ arena, dove sono diventato un gladiatore e mi allenano a pronunciare quotidianamente la fatidica frase:
"Ave cesare morituri te salutant".
Analizzando lucidamente (si fa per dire) il comportamento psico- sociologico dell’ ambiente militare in cui mi trovo a vivere da quasi sei mesi, mi viene in mente un aforisma di Nietzsche che recita:
“Bisogna avere in sé il caos per partorire una stella che danzi”.
Nella caserma, dove faccio il militare di leva, spesso sono gli ordini impartiti dagli ufficiali e sottufficiali che creano il caos e, in certi casi, anche l’ anarchia più totale.
Oggi, per esempio, è stata una giornata ricca di avvenimenti insignificanti:
- Un’ ora di “reazione fisica” all’ alba, prima di fare colazione;
- un lunghissimo viaggio in camion per andare a sparare in montagna;
- mezz’ ora di fila, a mezzogiorno, davanti alla mensa della caserma, per andare a mangiare un pasto “buono e abbondante”;
- un pesante addestramento in un gelido hangar.
La nostra caserma è simile al carcere civile menzionato nel film “ Gang” (1974) di Robert Altman dove tutto è rallentato da impercettibili pulsazioni metafisiche e da un apparente benessere formale.
In un angolo della mensa militare, vicino al bancone della distribuzione dei pasti, troneggia un cartellone scritto a caratteri cubitali:
“Le tracce del tuo passaggio danno la misura della tua educazione”
(Saggio cinese)
In teoria, la nostra caserma è di tipo operativo, ma secondo la mia modesta opinione, ha più le caratteristiche di un carcere “logistico- pulitivo- punitivo”, perché insegna ai “topi” più la disciplina e le “corvè s cucina” che l’ addestramento alle armi convenzionali.
Tutte le azioni quotidiane che i commilitoni compiono meccanicamente, dall’ addestramento formale all’ alza bandiera, sono basate sulla subordinazione, dal vertice alla base per mezzo di una gerarchia piramidale devastante, nei confronti di una serie innumerevoli di stelle e stellette, per far sì che ogni graduato scarichi le proprie responsabilità sugli altri e ne tragga, se possibile, tutti i meriti.
Ieri notte ho montato la guardia sull’ altana dove, un mese fa, un giovane militare si è tolto la vita sparandosi un colpo di Garand in bocca.
È stata una nottata terrificante perché cercavo di capire le motivazioni, talora il suicidio ne avesse bisogno, che hanno spinto un ragazzo di 20 anni a togliersi la vita.
La divisa che indosso mi pesa terribilmente: è come se avessi addosso un sacco di patate e nient’ altro.
L’ unica cosa che mi riscalda il cuore, annichilito dalla noia mortale che scandisce il tempo, è il contatto umano che resiste, nonostante l’ assurdità della “ naia”, tra alcuni commilitoni che si stringono attorno a certi valori ideali della vita come l’ amicizia, la tolleranza e, soprattutto, il rispetto reciproco.
Di questi momenti inutili, passati all’ interno della caserma a roderci il fegato, non rimarrà quasi niente o, forse, soltanto il ricordo di tanti giovani militari, come me, che entreranno nella vita di tutti i giorni, con la convinzione che vi hanno trascorso “ i giorni più brutti degli anni più belli” della loro esistenza.