La sera in cui Mario la incontrò, durante un reading letterario, organizzato dall’ ARCI di Varese, non la riconobbe immediatamente.
Guardava quella donna tetraplegica, seduta su una sedia a rotelle metallizzata che si avvicinava con sorprendente disinvoltura e gli chiese: “ Non ti ricordi di me?”
I ricordi, a volte, vengono rimossi dalla quotidianità degli eventi e gettati inesorabilmente nelle acque limacciose del passato, ma basta una parola, uno sguardo, un tic, per farli tornare prepotentemente a galla.
Fu così, che riconobbe quella donna misteriosa che aveva agitato il suo sonno per lungo tempo, gli rimbalzò nella mente come la biglia d’ acciaio di un flipper impazzito.
Gli tornarono improvvisamente in mente gli abiti che indossava, quando insegnavano nella stessa scuola, all’ inizio degli anni ottanta: camicette maliziosamente sbottonate, che lasciavano intravedere due seni acerbi e prepotenti, jeans scoloriti aderentissimi, che magnificavano il suo fisico da modella cinematografica, e soprattutto scarpe con i tacchi a spillo che coronavano la sua bellezza.
Il suo sguardo malizioso e i suoi lunghi capelli neri, che arrivavano fino al suo fondoschiena sognato, completavano il quadro vivente di una donna “ bella e impossibile”.
Quando arrivava la mattina, sempre in anticipo, il suo profumo francese, emanava nell’ aria della Sala Insegnanti un effluvio inebriante che turbava la componente maschile del Corpo Docenti e faceva andare su tutte le furie quella femminile.
Ma il suono spietato della prima campanella, spezzava l’ incantesimo e lei scompariva misteriosamente con la sua borsa di pelle di coccodrillo, lasciando nell’ aria l’ inconfondibile fragranza.
L'uomo si era informato su di lei e seppe per caso, da un perspicace supplente di matematica appena arrivato dalla Sicilia, che la donna, che turbava il sonno di tutti i maschietti della scuola, veniva chiamata comunemente “La vedova bianca” perché, pur essendo ufficialmente sposata, suo marito era perennemente assente per lavoro.
Il modo in cui veniva chiamata quella donna misteriosa e affascinante rafforzò in lui una curiosità morbosa che, con il passar del tempo, lo faceva vivere in uno stato di trance comatoso.
La osservava a debita distanza per il timore di non frantumare, in mille pezzi, quell’ alone di mistero che “La vedova bianca” riusciva a cospargere attorno a sé, come fossero petali di fiori.
Un giorno, dopo aver aspettato invano per quasi una settimana che “La vedova bianca” gli rivolgesse la parola o lo degnasse di uno sguardo, Mario prese il coraggio su due mani, si avvicinò a lei, mentre stava correggendo dei compiti in classe, con un lapis blu e rosso, e provò a parlarle ma nessun suono uscì dalla sua bocca contratta e asciutta.
Il sabato seguente, l'uomo ricevette un telegramma dal Provveditorato agli Studi e accettò una supplenza annuale in un'altra scuola per cui dovette lasciare a malincuore la sede scolastica, dove era stato supplente temporaneo, ma alla quale era particolarmente affezionato perché aveva conosciuto quella donna così affascinante e misteriosa, che mai si sarebbe immaginato di incontrare.
Negli anni che seguirono, Marco si portò appresso il ricordo della “Vedova bianca”, ma dopo qualche anno rimosse quella piacevole sensazione dalla memoria perché incontrò la donna che sarebbe diventata sua moglie e che gli avrebbe regalato due meravigliosi figli.
Ora lei era lì e gli chiedeva: "Ti ricordi di me?"
“Certo che mi ricordo! Abbiamo insegnato nella stessa scuola nel 1984. Tu sei…”
“ Sono La vedova bianca!”, rispose la donna con una spontaneità disarmante.
La donna si rese conto del malessere in cui versava Marco e, con lo stile che la contraddistingueva dalle altre donne, porse la mano all’ uomo che non riusciva a spiccicare una parola.
“ La vedova bianca!” manovrò la sua sedia rotelle, con un’ armonia sorprendente e aggraziata, e scomparve in mezzo alla folla, lasciando nell’ aria circostante il suo inconfondibile profumo esotico.