Il millenovecentosettantaquattro è stato un anno particolarmente drammatico per Gerardo per due diversi motivi, apparentemente slegati tra loro ma significativamente emblematici: la morte prematura del padre avvenuta durante l’austery e una ridicola giustificazione scolastica.
Ma, procediamo per ordine.
Suo padre morì all’ età di sessant’ anni, in un freddo giorno di gennaio, dopo una grave malattia dovuta alla silicosi , durante il periodo in cui il governo italiano impose al paese un risparmio obbligatorio dell’ energia, in seguito all’ aumento repentino del greggio nel 1973. Furono introdotti nuovi limiti di velocità e, soprattutto, venne vietato l’ uso di ogni mezzo di locomozione con motore nei giorni festivi.
Gerardo, che all’ epoca aveva diciassette anni, visse la perdita del padre, minatore ed ex partigiano della Brigata Majella, con indicibile angoscia.
Dopo l’ allestimento della camera ardente, le notti insonni, le onoranze funebri, la celebrazione della Santa messa a suffragio e la tumulazione della salma al cimitero, Gerardo tornò a scuola, soltanto tre giorni dopo la scomparsa del padre, con il cuore infranto dal dolore.
Al funerale avevano partecipato tutti gli abitanti del paese, i reduci della Brigata Majella e tante altre persone che erano arrivate ad Amardolce dai paesi limitrofi in macchina, dopo aver chiesto l’ autorizzazione alle autorità competenti.
Gerardo entrò in classe, dove i suoi compagni lo accolsero con un imbarazzante silenzio per omaggiare, in modo spontaneo, la dipartita del padre, e si addormentò con la testa sul banco, per la stanchezza.
Gli insegnanti in quegli anni erano molti rispettati dagli alunni, perché svolgevano un ruolo di prim’ ordine nella società coeva, e, a volte, purtroppo incutevano loro paura e timore.
Il professor Michele Paolino, docente d’ inglese, che tutti a scuola chiamavano Il Generalissimo per omaggiare “l’ ultimo grande dittatore vivente del mondo libero”, entrò con veemenza in classe e tutti gli alunni, tranne Gerardo che dormiva profondamente, si alzarono in piedi in attesa che il professore ordinasse loro: “Sit down, please!”
Il docente si sedette, con la sigaretta sulle labbra guardò in direzione di Gerardo e, senza proferire parola, aprì il registro classe e cominciò a scorrere con l’ indice i nominativi della classe.
Gli alunni rimasero in piedi, pietrificati dal terrore che l’ insegnante potesse interrogarli perché aveva la nomea d’ attribuire voti molto bassi nella sua materia, anche se alla fine dell’ anno scolastico si prodigava affinché i suoi alunni fossero promossi a giugno.
“ Di Paolo, interrogato!”,disse con un ghigno beffardo, stampato sulle labbra.
Gli alunni continuarono a rimanere sugli attenti in attesa che l’ insegnante concedesse loro il permesso di sedersi.
“Sit down, please!”, urlò il professore guardando l’ alunno che stava dormendo.
Gerardo aprì gli occhi, trattenne a stento uno sbadiglio, si alzò celermente e si mise sugli attenti.
“Allora, Di Paolo, vuoi giustificarti?”
Il professor Michele Paolino, nonostante le sue idee fascistoidi, concedeva agli alunni la possibilità di giustificarsi, qualora tale “ giustificazione fosse stata legittima e circostanziata”.
Gerardo guardò il suo insegnante d’ inglese con disinteresse, come se non capisse il significato delle sue parole.
Il docente prese la penna e scrisse un voto sul registro di classe.
“ Di Paolo, ti metto due!”.
Gerardo rimase in piedi perché gli alunni che prendevano un brutto voto in inglese dovevano rimanere in piedi per tutta l’ ora della lezione.
Il comportamento dell’ insegnante era molto criticato dagli altri docenti e dal preside della scuola ma nessuno di loro si opponeva al suo comportamento perché, paradossalmente, gli alunni nutrivano “un’ incomprensibile ammirazione nei confronti di questo insegnante dispotico, ma sostanzialmente giusto”.
Molti degli alunni che aspettavano in piedi l’ arrivo dell’ altro insegnante guardavano Gerardo con ammirazione perché non si era giustificato pur avendo a disposizione una motivazione valida per farlo.
Nel frattempo, il professor Michele Paolino che aveva incontrato nel corridoio un bidello che era stato al funerale del padre di Gerardo e che lo aveva messo al corrente della morte del Partigiano, si rese conto della gaffe madornale che aveva commesso e rientrò precipitosamente in classe.
Gli alunni che erano ancora in piedi accolsero l’ insegnante d’ inglese con mal dissimulato stupore perché temevano che potesse essere tornato per fare un’ ora di supplenza.
Il professor Michele Paolino si accese una sigaretta e fece un discorso che rimase scolpito nella mente di Gerardo per tutta la vita.
“Chiedo scusa pubblicamente a Gerardo Di Paolo perché non ero stato messo al corrente della dipartita del padre, ma mi rammarico del fatto che nessuno dei suoi compagni di classe abbia sentito il bisogno di farsi interrogare volontariamente o di dirmi il motivo per il quale non avesse voluto usufruire della giustificazione.”
Da quel fatidico giorno, Il Generalissimo cambiò completamente atteggiamento nei confronti di Gerardo e lo rispettò fino al giorno del suo Esame di Maturità durante il quale arrivò fino al punto di aiutarlo nella stesura di una lettera commerciale in inglese.
Ci sono parole e silenzi sospetti che non si dimenticano, perché sono legati a degli avvenimenti che hanno cambiato il corso della nostra vita e, a volte, l’ hanno pesantemente condizionata.
Oggi, a quasi quarant’ anni dalla morte del padre, Gerardo, che è insegnante di francese, concede due giustificazioni ad alunno per quadrimestre e non chiede loro mai di alzarsi quando entra in classe.