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La serranda si sollevò rumorosamente incuneando, all'interno del garage, un intenso fascio di luce che, come un potente riflettore, illuminò la prima donna della scena: una Yamaha da strada, nuova fiammante, sulla cui carena risaltava l'aerografia di un diamante attraversato da un raggio di sole. Era la moto più elegante e lussuosa che si potesse immaginare: spiccava in tutto il suo splendore, come un gioiello principesco sulla cuspide di un diadema regale, la cui ricchezza andava oltre al mero valore economico poichè impreziosita da quello affettivo. "Buongiorno bambina mia, spero ti sia riposata, perchè ho tutte le intenzioni di farti emozionare quest'oggi". Questo era quanto Annouk si immaginava che la motocicletta le dicesse nel vederla equipaggiata della sua splendida ed avvolgente tuta da corsa. Con un gesto disinvolto Annouk raccolse i lunghi e fluenti capelli rossi in una morbida coda di cavallo che nascose accuratamente sotto il casco, premurandosi di allacciarlo sotto il mento. "Ecco, ora sono pronta!" pensò, e nel montare in sella afferrando il manubrio con fermezza, si avviò verso il caldo torrido di un focoso pomeriggio estivo. Un giro di chiave, mano alla frizione, la prima inserita e via a tutto gas ... Una marcia dopo l'altra la linea immaginaria dell'orizzonte andava focalizzandosi in un unico punto, mentre la mezzeria della strada veniva cancellata dalla velocità, per essere ridisegnata dallo scintillante riverbero del sole sull'asfalto. Era come se la moto fosse l'estensione stessa dell'anima di Annouk che, nell'incapacità di bastare a sè stessa, aveva trovato in questo mezzo il suo essenziale completamento. Sembrava quasi che tra di loro si fosse instaurato un rapporto simbiotico all'interno del quale Annouk e la Yamaha diventavano una cosa sola. In groppa alla vita tutto sembrava scorrere al rallentatore, mentre l'adrenalina saliva a mille sospinta dal battito del cuore pulsante di 170 cavalli. Per Annouk quello rappresentava un modo per evadere, poichè l'aggressività con cui la moto catturava i chilometri, traduceva il suo desiderio di fuga dalla realtà. Nell'alternarsi di rettilinei e di curve, la tensione si scioglieva in estasi, piegandosi sulle ginocchia della passione, per assecondare la direzione della libertà. In quei momenti Annouk assumeva la totale consapevolezza di sé dimenticandosi di tutto il resto e, nel controllo assoluto del bolide roboante, cavalcava, domandola, l'onda crescente delle emozioni. Quando andava in moto, la mèta non era un traguardo da raggiungere, nè il motivo per mettersi in viaggio, ma una continua ricerca di nuove sensazioni tutte da scoprire. E quando percorreva le infinite gallerie, attraversava i lunghi ponti e valutava la scelta delle direzioni da seguire, sentiva subito che qualcosa dentro di lei stava cambiando e neppure gli inevitabili incidenti di percorso avrebbero minato la sua volontà di arrivare. Alla fine della giornata si rendeva conto che nonostante tutte le piccole angosce, tutto ciò che contava veramente riusciva a renderle insignificanti, permettendole di addormentarsi sfinita, ma soddisfatta. Per Annouk la cosa più bella era svegliarsi quando cominciava a spuntare la prima luce, mentre la schiena, le braccia e le ginocchia le chiedevano, con la voce del cuore, di rimettersi in sella. A quel richiamo lei proprio non sapeva resistere, e si faceva trovare sempre pronta, pronta a ricominciare una nuova giornata che avrebbe segnato per sempre la sua vita: perchè sognare, pensare, ridere, piangere...facevano parte della sua mèta, una mèta che non richiedeva un solo motivo per andarci ma era costellata da mille ragioni per esserci. Durante una delle sue folli corse, le si affiancò una Honda CBR 1000 RR del 2010 che percorse con lei un breve tratto di strada. Tra loro si instaurò immediatamente una sintonia perfetta che non aveva niente a che vedere con lo spirito di competizione che coinvolge solitamente i centauri. Le moto viste dall'alto sembravano flettere sul cordolo della strada come dita flessuose nell'atto di avvicendarsi a pizzicare le corde di una chitarra. Erano graffianti come incisioni rupestri, scie inafferrabili di colore che, zigzagando tra gli ostacoli, imprimevano sulla strada il nero pece delle gomme. Entrambe sapevano riconoscere il momento giusto per staccare l'altro, sfruttando reciprocamente la scia di percorrenza, acquisendo in tal modo maggiore velocità. Sembrava di assistere ad un duetto perfettamente sincronizzato. Poi d'un tratto, così come era apparsa, l'Honda CBR si dileguò nel nulla, permettendo però ad Annouk di scorgerne la targa: GB12969. Ma il particolare che catturò la sua attenzione, incuriosendola, fu lo stemma: il caratteristico paio d'ali, simbolo emblematico della casa costruttrice, era stato modificato con sembianze angeliche, al centro del cui petto brillava un radioso diamante attraversato da un iridescente raggio di sole. |
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