"Vo-le-vo an-da-re un al-tro po-chi-no!!! " , dissi singhiozzando ai miei genitori (avevo quattro o cinque anni) , mentre scendevo dal treno locale che, proveniente da Napoli, era arrivato alla stazione della mia cittadina: sapevo che avrebbe continuato la sua corsa.
Chissà perché, ma fin da piccolo nutro un amore incondizionato per i treni, più che per ogni altro mezzo di trasporto. Forse, più del treno in sé, mi hanno sempre attratto inconsciamente i binari, quelle rotaie parallele che permettono al mezzo di procedere sempre sulla stessa via, senza possibilità di improvvisazione. Viaggiare in treno (e, in subordine, in tram, o in filobus) accoppia il piacere della visione del mondo circostante alla sicurezza di non sbagliare mai strada, di sentirsi protetti dal percorso predeterminato.
Ho viaggiato in treno in quasi tutta l'Italia e in un po' d'Europa occidentale. Ho visto le terre rosse del Portogallo e, di notte, la Spagna ancora franchista (sembrava che il nero del regime si rinforzasse a contatto col buio della notte) . Ho ammirato le valli svizzere e la selvaggia Camargue, il languido e morboso fascino di Venezia che aumentava avvicinandosi al Piazzale Roma, e il fervore di Parigi avvertibile già tanti chilometri prima...
Gli occasionali compagni di viaggio (e noi stessi, per loro) sono una categoria particolare di umanità: ci si abbandona a volte a delle confidenze che non faremmo neppure al nostro vicino di casa (perché sappiamo che non li vedremo più) , e si scambiano gli indirizzi ben sapendo che li utilizzeremo semmai una sola volta; conservo ancora una cartolina di un avvocato di Alessandria e un'altra di un professore rumeno di filologia romanza abitante alle Canarie.
Ricordo quell'anziano signore britannico che, sul tratto Londra-Dover, mi spinse finalmente a mettere in pratica il mio stentatissimo inglese che, nonostante vari anni di studio, è sempre rimasto alquanto scolastico. Nella mia mente c'è ancora quella conversazione di quattro ore, da Nizza alla Spezia, con un critico cinematografico (ogni estate andava in Provenza, e riempiva la sua valigia di libri di cinematografia, mentre la moglie imbottiva la sua di erbe aromatiche) , strenuo sostenitore, al contrario di me, della grandezza dell'arte di Totò: nonostante la sua indubbia competenza, non riuscì a convincermi. Ricordo pure, tra gli altri, quell'avvocato italo-americano diretto a Firenze, con la moglie, per andare a trovare la figlia studentessa d'italiano, il quale, non so quanto ingenuamente, si mostrava convinto che tutti noi Italiani fossimo eternamente grati agli Stati Uniti, soprattutto a causa della "liberazione" : dovetti faticare parecchio -e non credo di averlo persuaso- per cercare di fargli capire che le cose non stavano proprio così...
Naturalmente, bisogna mettere in conto anche compagni di viaggio dei quali si farebbe volentieri a meno, come quel carcerato omicida in licenza premio che si accomodò nel cuore della notte nel mio scompartimento, o come quell'invadente famigliola napoletana eccessivamente espansiva, e con tanto di bambini frignanti al seguito, diretta in Calabria (in quel caso mi fu possibile una "fuga all'inglese" in un altro scompartimento) .
Per le donne conosciute sui treni, poi, possono senz'altro valere alcuni versi della nota poesia di Antoine Pol, "Les passantes" , musicata da Brassens e cantata anche da De André: "Je veux dédier ce poème (...) / A la compagne de voyage / Dont les yeux, charmant paysage / Font paraître court le chemin / Qu'on est seul peut-Être à comprendre / Et qu'on laisse pourtant descendre / Sans avoir effleuré la main. "
"Volevo andare un altro pochino"... Come anche per gli altri mezzi di trasporto, l'effetto benefico del viaggio (anche breve) in treno potrebbe derivare dal prodotto di due fattori negativi: l'incognita dell'attraversamento dello spazio e l'inesorabile perdurare del nostro viaggio nel tempo; come in matematica il prodotto di due numeri negativi è un numero positivo, così il prodotto del viaggio potrebbe essere di segno positivo, con l'aggiunta, per il treno, che il percorso obbligato fatto in compagnia di tante altre persone, tutte diverse da noi, ma in quell'occasione così simili a noi, rafforza il sentimento dell'ineluttabilità e dell'uguaglianza del destino umano.