"A regazzì, si nun te levi... "
Ancora sono ben presenti nella mente queste parole, le prime che ascoltai in romanesco, alla Stazione Termini (avevo cinque o sei anni, e andavo in treno, con mio padre e mia madre, da Napoli a Pesaro; in attesa della coincidenza mi ero messo al centro di un marciapiede, per ammirare chissà quale treno, ed impedivo così il passaggio al facchino, un omaccione che guidava il suo mezzo elettrico) . Era la prima volta che vedevo Roma (la sua stazione ferroviaria) , quella Roma in cui avrò in seguito qualche occasione di tornare.
Quante Roma nella mia testa! La Roma dei concorsi pubblici persi per un pelo, quella della casa di mia cugina nei pressi di San Giovanni in Laterano, la settimana passata all'Ospedale Militare del Celio per lievi disturbi utili ad ottenere un bel congedo per malattia, la Roma delle gite scolastiche (che si concludevano immancabilmente al parco di divertimenti dell'EUR) , quella immaginata lontanissima all'età di tre anni (mia madre, per togliermi l'abitudine, che ancora conservavo, di tenere il ciucciotto in bocca, me lo aveva sottratto, facendomi credere che me ne doveva arrivare uno nuovo dalla capitale) , la Roma di certi amici dei vent'anni, che dicevano di andarsi a prendere, per passare il tempo, un caffè nella città eterna, percorrendo l'autostrada Napoli-Roma (andata e ritorno) in una serata o nottata, la Roma raggiunta apposta per vedere una mostra con i libri appartenuti a Jorge Luis Borges, la Roma delle economiche trattorie a due passi dalla stazione, utili per mangiare in attesa di cambiare treno...
Non tutte le città della Campania hanno la stessa origine, e la mia cittadina, circondata dalla greca Napoli, dall'etrusca Acerra e dall'osca Nola, può vantarsi di essere di origine romana (il territorio fra Napoli e Nola era conteso dalle due città, e Roma, all'inizio della sua potenza, inviò furbamente delle truppe che, col pretesto di pacificare le due contendenti, colonizzarono quel territorio; in seguito i soldati romani, come ricompensa per la pensione, ottenevano dei pezzetti di terra nella zona, dove passavano il resto della vita) . Forse non per caso il cognome più diffuso nella mia cittadina è Romano (ultimamente, a causa dell'immigrazione dal capoluogo, probabilmente superato da quello dei discendenti dei figli illegittimi dei soldati spagnoli che, nel Cinquecento e nel Seicento, si accoppiavano con alcune popolane napoletane di non difficilissimi costumi, Esposito) . Con un po' di fantasia posso dunque immaginare di respirare un'infinitesima parte dell'aria di Roma anche rimanendo a casa...
Chi ama la letteratura gusta una città, forse più che visitando i suoi monumenti o gli scenari naturali, attraverso la sua lingua, e il romanesco, così greve e disincantato, tipico di una città che ne ha viste di tutti i colori, ma che nondimeno conserva un sentimento di profonda, anche se un po' scanzonata, umanità, è presente, a parte tanti film non sempre eccelsi, superbamente, secondo me, in "Roma" di Federico Fellini, in particolare nella trascinante scena della cena ai tavoli in mezzo alla strada delle modeste trattorie sul finire degli anni Trenta.
Il Belli, Trilussa, certo, ma ci vuole forse un forestiero per penetrare a fondo nell'anima di una città e della sua parlata. Fellini era riminese, e il milanese Carlo Emilio Gadda ce ne dà un esempio a mio modo di vedere insuperabile nel romanzo "Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana" .
"A regazzì, si nu te levi... " (e quante volte, nella vita, sarò costretto a sgomberare dei marciapiedi per permettere il passaggio di esigenze più importanti delle mie! ) resterà sempre per me la personale carta d'identità fonetica di Roma.