Alle prime luci dell’ alba, Liborio fu svegliato dai raggi del sole che filtravano dalla piccola finestra della cella, illuminando proprio il suo viso. Con la voce impastata chiese al carabiniere Finocchiaro che era rimasto di guardia per tutta la notte, un po’ d’ acqua. Ricordava vagamente ciò che era accaduto la sera prima, sapeva che aveva esagerato con il vino e che poi aveva avuto uno scontro verbale con i carabinieri e che in seguito lo avevano portato in cella.
Si rese conto così, di aver combinato proprio un bel pasticcio e se la madre si era infuriata solo per delle pecore, immagginiamoci adesso cosa avrebbe fatto alla notizia che lui aveva trascorso la notte in una cella della caserma dei carabinieri. Sicuramente sarebbe andata su tutte le furie e lui non riusciva ad immaginare cosa gli avrebbe detto. In un modo o in un altro, per evitare danni peggiori, doveva venirne fuori. Ma quello che lui ignorava completamente, erano le esternazioni che aveva urlato in faccia ai carabinieri, non rammentava nulla di quello che aveva detto.
Finocchiaro gli porse una bottiglia d’ acqua dicendogli: “ Ti si arruspigghiatu? Ti jé passatu u vinu?”
Liborio ancora sotto gli effetti dell’ alcool lo guardò come se avesse voluto ucciderlo e rispose: “ Iu nun mi ricordiu nenti ri chiddu chi succediu?”
Il carabiniere continuò: “ Ah nun ti ricordi nenti? Mali… facisti… facisti danni.”
Il maresciallo Calogero arrivò trafilato, voleva vederci chiaro, le farneticazioni dell’ uomo non lo convincevano affatto, c’ era qualcosa di strano, anche se era in uno stato d’ ebbrezza non avrebbe mai detto cose lontano dal suo vissuto… Poi quello che maggiormente lo preoccupava era la sua vicinanza al barone, uomo di tutto rispetto e soprattutto in vista nel piccolo paese e nei dintorni. Così rivolgendosi ai suoi sottoposti ordinò: “ Avimu ri chiamari u baruni, avi sapiri tuttu.”
Don Vincenzo fu avvisato subito e il tempo di vestirsi che era già in paese, non disse niente a nessuno, non ce n’ era motivo, era un uomo al suo servizio ma ugualmente preoccupato per l’ evolversi degli eventi e che forse il suo caro Liborio c’ entrasse qualcosa con tutto ciò che era avvenuto negli ultimi tempi.
Entrò in caserma agitato e rivolgendosi al carabiniere Costa gli disse: “ Comu mai aviti arrestato Liborio? Nzoccu fici?”
Costa provava soggezione per quell’ uomo importante e rispettato e con titubanza rispose: “ Vi fazzu parrari cu u maresciallu…”
Il Comandante gli fece le scuse per averlo incomodato e poi gli raccontò ogni cosa, ma tralasciò quello che Liborio aveva detto, lo fece volutamente per evitare che chiunque potesse intralciare le sue indagini.
Don Vincenzo si scusò per il suo comportamento dicendo che era la prima volta in tanti anni che si era ubriacato così tanto da perdere il controllo e aggredire qualcuno, poi chiese al maresciallo se l’ avrebbero rilasciato. Questi rispose: “ Mi dispiace ma nun pozzu, avi rittu cosi gravi ai mia carabbineri, avi opposto resistenza… pi quà lchi jornu u tenimu cu nuatri accussì gli passano i grilli dalla tì esta.”
Il barone gli chiese se poteva vederlo ma Calogero gli disse che era meglio di no e aggiunse che glielo avrebbe fatto vedere all’ indomani.
A Don Vincenzo non restò altro da fare che andarsene, decidendo che non avrebbe fatto parola con nessuno dell’ accaduto, non voleva che Liborio finisse sulla bocca di tutti, infangando così anche il suo nome.
Intanto Liborio sembrava un leone in gabbia, andava avanti e indietro, impaziente della decisione del maresciallo.
Poi chiese a Finocchiaro: “ Senti a mia, cu rissi ri tantu gravi pi è sseri chiuso intra sta gabbia?”
Il carabiniere: “ Daveru nun ti arricurdi nenti? Avi rittu troppu cosi…”
E non aggiunse altro lasciandolo nella più completa disperazione.
Don Vincenzo tornò a casa ed incontrò nel giardino la marchesa che stava facendo colazione, questa appena lo vide gli chiese: “ Niputi mo, unni si andato accussì prestu e da sulu, nun ccè Liborio?”
Lui: “ Mannai (mandai) a Liborio a Torre Spina, u paisi vicinu ri ccà pi accattari li muntuni, o megghiu pi virì ri si ci sunnu chiddi chi vogghiu iu…”
A Carolina non sfuggì il tono della voce con cui aveva le aveva risposto, sembrava che avesse dovuto inventare lì sul momento quella risposta, ed infatti gli disse: ” Picchì nun si annatu cu iddu?”
La curiosità della zia cominciava ad infastidirlo tant’è che le rispose seccato: “ Avì a da fari.”
E si allontanò al pascolo.
Carolina disse a voce alta: “ Ma unni si finito? “ Disgrazziatu comu u patri.”
Non si accorse della presenza di Cicca che aveva ascoltato tutto, ed era ancora più in apprensione in quanto non aveva potuto avvertire il barone dei piani criminali dei due. Si affrettò a rientrare in casa con l’ accortezza di non essere vista dalla donna. Le faceva paura, sapeva che sarebbe stata capace di tutto, anche di ucciderla se solo avesse saputo che lei aveva scoperto chi era in realtà Liborio.
In giornata e con la massima urgenza doveva trovare il modo di parlare con Don Vincenzo in giornata.
Nel frattempo nella cascina, di buon’ ora i galli con il loro canto avevano svegliato come ogni mattina Assuntina, la quale si apprestava ad affrontare l’ ennesima giornata di duro lavoro ed anche se lei portava bene gli anni, gli acciacchi iniziavano a farsi sentire, il dolore alle ossa era diventato più acuto e faceva fatica a portare qualsiasi peso: anche un secchio di granturco, da dare ai polli, per lei era diventato pesantissimo. Nino appena la vide si offrì di aiutarla e ne approfittò per informarla che con Rosalia avevano intenzione di fissare la data delle nozze.
Assuntina disse: ” U sai chi ancù ora semu pi luttu, vì ero?”
Nino: ” Nun vogghiu mancari ri rispì ettu, ma i tiempi sunnu maturi e nun pozzu cchiù stari.”
La donna a sua volta gli rispose: ” Ninu pi casu avi scantu (paura) ri Bruno? Cu mia po’ parrari quetu.”
A quel punto il ragazzo aprì il suo cuore e le confidò i suoi timori ed il fatto che si era accorto che per Rosalia, Bruno non gli era affatto indifferente e per non perderla, voleva affrettare i tempi. Le confidò che l’ amava pazzamente ed era disposto anche a sacrificare la sua vita per lei e la piccolina, inoltre, non le avrebbe fatto mancare nulla donandole una vita serena.
Assuntina: “ U sacciu ca si ‘ n bonu omu, ma chi ti pozzu riri? A lu cori nun si cummana. Sulamenti parra cu idda e fissati u jornu de matrimoniu.”
Nino per niente rassicurato dalle sue parole assentì e s’ avviò ai campi. Anche Rosalia si era svegliata e dopo aver sistemato la piccola scese in cucina, trovò la zia intenta a preparare i suoi biscotti preferiti, quelli che le faceva sempre sua madre, la guardò con affetto e gratitudine, lei non era stata solo una zia ma si era comportata come se lei fosse stata sua figlia. Le era riconoscente per tutto e non voleva darle altri dispiaceri, avrebbe sposato Nino anche se non lo amava se queste erano le volontà della zia, ossia vederla ammogliata con un brav’ uomo che le voleva bene e non le avrebbe fatto mancare nulla.
Cosicchè anche lei quella mattina parlò con Assuntina dicendole: “ Zia haju deciso di fissare u jornu du matrimoniu… Chi ni riri?”
Assuntina leggermente sollevata dalla notizia della nipote: “ Beni figghia mo, si chiustu jè chiddu chi vvoi…”
La nipote la guardò con sospetto pensando come mai la zia le avesse fatto questa domanda: “ Picchì mi fati chista dimmana, cì ertu chi jè chiddu chi vogghiu.”
Assuntina: ” Allura sta beni puru a mia.”
La discussione finì così con i dubbi e le incertezze di Rosalia e le perplessità della zia…
Quella mattina dovevano portare le uova a Catarina, una povera donna che aveva la figlia Nuccia, la quale si era ammalata di una forma grave di anemia mediterranea, e aveva bisogno di mangiare almeno un uovo fresco tre volte la settimana, così Assuntina chiese a Rosalia di recarsi in paese per sbrigare questa commissione. Lei ubbidì, anche se ne avrebbe fatto volentieri a meno, non amava andare in paese e sopportare gli sguardi curiosi dei pettegoli di turno. Ma non sia mai che avrebbe rifiutato una richiesta della zia, quindi prese il paniere e s’ incamminò lunga la via. Aveva appena percorso un breve tratto di strada quando incontrò Salvuccio con il suo asino, questi si trascinava con fatica, non solo per il peso di alcune balle di fieno legate sulla groppa dell’ animale, ma anche e soprattutto perché era molto vecchio. Salvuccio lo tirava con forza ma l’ asino si era impuntato e non voleva schiodarsi dal punto dove si era fermato.
L’ uomo imprecava: “ Maledetto sceccu (asino), vvoi caminari, si no ti portu o macello…”
Nonostante i suoi sforzi non ci fu verso di smuoverlo, quando vide a Rosalia la salutò e le chiese: “ Salutamu a vossia, pozzu addunannari a vuatri ‘ n favuri? O pà isi stati jennu? “
Rosalia rispose: “ Si jè ‘ na cù osa chi pozzu fari…”
Salvuccio continuò: “ Haju purtari chiste balle ri fieno a commì entu di Santo Spirito… Si parrati cu Don Anselmo e gli diciti si po’ accurriri unni i frati pi riri chi iu stainnata nun pozzu iri picchì u sceccu nun voli caminari.”
Rosalia rispose che sarebbe andata in chiesa a parlare con il sacerdote ma solo dopo che aveva consegnato le uova a Catarina, detto questo si salutarono.
La ragazza arrivò presso l’ abitazione della donna e dopo aver attraversato il cancelletto la chiamò: “ Catarina… Catarina sugnu iu, Rusalia, vi purtai l’ ova frische pi Nuccia.”
Dopo un po’ la sentì scendere le scale per andare ad aprirla, quando Rosalia se la trovò davanti le fece una gran pena, il viso scarno e preoccupato, gli occhi di chi non dorme da mesi e infossati per il pianto: “ Biniditta figghia trasi… trasi chi ti fazzu u café.”
Rosalia: ” Vi arringrazziu ma vaiu apprimurato (di fretta), chiste su l’ ova, comu sta Nuccia?”
Catarina con le lacrime agli occhi rispose: ” Nun sta beni, ma quantu vi haju ri rari?”
” Nenti, nenti vi li manna zia Assuntina cu tanti saluti.”
Rosalia se ne andò ma con un peso sul cuore, le dispiaceva per Nuccia ma anche per la madre. Solo chi lo è già, può capire cosa significa vedere un figlio soffrire e non poter fare nulla per aiutarlo. Con questi tristi pensieri si recò in chiesa e la trovò aperta come sempre, Don Anselmo voleva che in ogni momento della giornata, chiunque volesse recitare una preghiera, doveva trovare aperta la porta della casa del Signore.
Quando lo vide restò stupefatta, era la metà della persona che conosceva: smagrito, i pochi capelli in disordine, sembrava il fantasma di se stesso. Inoltre, appena si accorse di lei, non la salutò come sempre con affetto, ma con molta freddezza le disse: “ Stainnata iu nun confesso a nuddu…”
Rosalia stupita dal comportamento del sacerdote rispose: “ Iu nun mi vogghiu confessare, sugnu ccà sulu pi vi riri chiddu chi mi hannu rittu…”
Così gli riferì il messaggio di Salvuccio.
Don Anselmo: “ Iu nun vaiu da nudda parti, sunnu malatu.”
Rosalia: “ Chi aviti? Vi viu dimagrito e stancu… Si vi pozzu aiutari…”
Il sacerdote con lo sguardo assente e quasi come se parlasse da solo: “ Nuddu mi po’ aiutari sulu u Criatù ru (Bambinello). Poi aggiunse: “ ‘ Na cù osa a po’ fari otinni tu o cummì entu.”
Rosalia: “ Iu? Ma jè luntanu…”
Don Anselmo: “
A rittu chi mi vulivi aiutari e allura fa chiddu chi t’ haju rittu.”
La ragazza uscì confusa, sicuramente il sacerdote non stava bene, ma per quello che aveva notato era più una questione mentale che fisica. Da quando lo conosceva non le si era mai rivolto in malo modo e soprattutto aveva sempre dimostrato molto affetto e comprensione per lei. Doveva essere successo qualcosa per sconvolgente per farlo star male in quel modo, ma cosa?
In ogni caso aveva accettato di andare al convento e non poteva tirarsi indietro, doveva fare un bel pezzo di strada su per la collina, così non perse tempo e si mise in cammino. Faceva un gran caldo e il vestito, per il sudore, le si era incollato addosso. Si intravedevano le sue belle forme, rese più morbide dopo la gravidanza. Ogni tanto si fermava per riprendere fiato, poi raccolse i suoi lunghi capelli neri sulla nuca, fermandoli con una forcina, mettendo così in risalto i lineamenti del suo viso perfetti ed il collo sinuoso e candido.
Di fianco alla strada scendeva a valle un torrente dalle acque cristalline e fresche, Rosalia si tolse le scarpe e a piedi nudi, per trovare un po’ di sollievo dalla grande calura, entrò nel letto del torrente, poi con le mani prese dell’ acqua e si bagno il collo ed il viso e convinta che non ci fosse nessuno, si voleva bagnare anche le gambe, si alzò la gonna mettendo in risalto le forme perfette, quando ad un tratto sentì qualcuno che sorridendo diceva: “ Santa Rosalia ‘ na fata! “
Il giovane la guardava incantato, non aveva mai incontrato una donna così bella da togliere il fiato. Rosalia spaventata ed un po’ impacciata dall’ improvvisa apparizione nascose velocemente le gambe e a piedi scalzi si affrettò per andarsene… Ma questi glielo impedì mettendosi davanti.
Lei infuriata per la sfrontatezza dell’ uomo urlò: “ Mi faciti passari…”
Tuttavia questi non sembrava per niente intimorito dal suo tono e non aveva nessuna intenzione di lasciarla passare. In un solo attimo lo aveva stregato e non voleva farla andare via. Le si rivolse con garbo: “ Mi diciti almì enu comu vi chiamati.”
Vedendo la titubanza della ragazza aggiunse: “ Si noni nun vi fazzu irimminni (andare via).”
A lei non restò altro che dirgli il nome, così almeno l’ avrebbe fatta passare: ” Rusalia… Rusalia…”
E detto questo riuscì a svincolarsi ed a riprendere il cammino… imprecando contro se stessa: “ Ma talia ‘ n anticchia (ma guarda un po&rsquo iu nun mi imparo mai… Ci fussi ‘ na vù ota chi dicu no… Rusalia ma quannu ti fai disanurata? (furba).
E con questo stato d’ animo arrivò al convento, intorno c’ era un gran silenzio, una pace disturbata solo dagli animali da cortile che razzolavano tranquilli nel prato circostante. Bussò ripetutamente al portone senza ottenere risposta, quando ormai credeva che nessuno la venisse ad aprire sentì dei passi strascicati e qualcuno che apriva lo spioncino per vedere chi fosse.
Era frate Giacomo, il più anziano, che a fatica riusciva a camminare, vedendola esclamò: “ Maronna Santa ‘ na fimmina? Chi faciti ccà? Chistu jè ‘ n cummì entu, nun putiti trasiri.”
Rosalia avrebbe voluto entrare anche solo un momento per bere un bicchiere d’ acqua e riprendere fiato ma il frate era stato categorico, allora gli riferì quanto aveva detto Salvuccio e stava per andarsene quando sentì una voce di bimbo che lo chiamava, Rosalia meravigliata restò in ascolto, era molto strano che ci fosse qualcun altro oltre i frati e soprattutto un bambino. Allora incuriosita fece il giro delle mura di cinta dove nella parte posteriore c’ era un cancello da cui si poteva vedere all’ interno. Fece attenzione per non essere vista e guardò dentro, oltre ai frati intenti a pulire l’ orto dalle erbacce, un bimbo felice correva intorno a loro facendoli disperare. Lo chiamavano Antonio ma a Rosalia venne un atroce sospetto e cercò di avvicinarsi il più vicino possibile per vederlo meglio. Si domandava come mai i frati accudivano un bambino senza dire nulla e perché fosse proprio lì in un luogo dove difficilmente si poteva entrare. Il bambino si accorse di lei e le si avvicinò incuriosito, da quando era stato portato via da Liborio non aveva mai visto una donna. Era molto piccolo, doveva avere più o meno l’ età della sua piccola Rosalia.
Appena gli fu vicino Rosalia non ebbe più dubbi, era il figlio di Saro e Ninetta, gli stessi occhi del padre e gli stessi lineamenti del viso della madre e poi c’ era un altro particolare importante la somiglianza incredibile con la sua bambina essendo fratellastri. Non riuscì a stare zitta e urlò per farsi sentire dai frati: “ Comu mai aviti ccà lu figghiu di Ninetta? Allura?”
Padre Bernardino stupito dalla sua presenza e ancor di più dalla sua domanda le chiese: ” Vuatri chi faciti ccà?”
Rosalia fuori di sé per non aver ottenuto risposta minacciò: ” Uora iu vaiu pi li carrabbineri e dicu tuttu chiddu chi haju vistu.”
A quel punto al frate non restò altra soluzione che andare a parlare con la donna: “ Iu nun sacciu ri chiddu chi parri…’ na sira quà lchi pirsuna l’ avi lassatu avanti u purtuni, nuatri nun sapemu nenti ri chiddu chi succidiu.”
La ragazza: “ Ma vuatri unni viviti? Fù ora do’ munnu? Mmeci ri stari mmenzu a la genti vi stati chiusi rintra chiste quattru mura?”
Poi gli raccontò tutto quello che era accaduto e Padre Bernardino sconvolto nell’ apprendere di tutte quelle morti violente esclamò facendosi il segno della croce: “ Chi u Signuri avi pietà di li iddi anime e chi riposano pi paci.”
Infine aggiunse: “ Aspetta ca, chi vaiu a parrari cu lu Priore, iddu sapi chiddu camu a fari.”
Rosalia era in pensiero, ormai mancava da casa dalla mattina e sicuramente la zia Assuntina era preoccupata dalla sua prolungata assenza. Tuttavia questo che aveva scoperto era troppo importante e non poteva far finta di nulla e poi si trattava del figlio di Saro.
La fecero aspettare un bel po’ finalmente ricomparve frate Bernardino dicendole: “ Lu Priore avi ntinzioni chi lu picciriddu resta cu nuatri finu a quannu sapimu cierti chi jè lu figghiu ri Ninetta e Saro.”
A Rosalia questa decisione le parve saggia e prudente, quindi se ne andò rincuorata che il piccolo era in buone mani.