Rosalia affrettava il passo, sapeva di essere maledettamente in ritardo, il sole era alto nel cielo, segno che doveva essere mezzogiorno. Era fuori da troppo tempo, la zia e gli altri erano sicuramente preoccupati. Camminava spedita, un passo dietro l’altro e una marea di pensieri che le attraversavano la mente. Poi si ricordò dello sconosciuto incontrato al ruscello e sperò vivamente di non rivederlo di nuovo. Il suo comportamento l’aveva inquietata e soprattutto infastidita. Quel forestiero non conosceva le buone maniere e soprattutto come ci si comportava con le donne di quel paese. Non si rivolge mai la parola ad una sconosciuta e se lo si fa, deve essere fatto con il massimo rispetto ed educazione.
Mentre rimuginava questi pensieri era quasi arrivata nei pressi del torrente, si guardò intorno e sollevata dal fatto che sembrava non ci fosse nessuno, continuò tranquilla il suo percorso, quando ad un tratto sentì qualcuno che la chiamava: " Rusalia... Rusalia... Bì edda carusa, unni scappi? Nun ti vogghiou fari nenti..."
Rosalia si voltò e se lo ritrovò davanti e gli disse con determinazione: " Iu nun parru cu cue nun canù sciu..."
Lui sfoderò un bellissimo sorriso: " Allura pozzu nabbotta rimediare, mi prisintu sunnu lu carabbineri Antonino Privitera... pi sirviri..."
E così dicendo fece un inchino che provocò imbarazzo nella ragazza e la fece arrossire.
Lei irritata ribattè: " Va bè vi siti presentato, allura? Cù osa cancia? Iu nun canusciu u stissu a vuatri. E ù ora haju a jirì... pi scurmu (casa) mi aspettano."
Il giovane esclamò: " Spero tantu ri vì riri a tia arrì eri (di nuovo)..."
Ma la sua richiesta restò senza nessuna risposta e Rosalia si dileguò in un baleno.
Antonino disse fra sé: " Nun mi po’ fuirisinni bì edda carusa, tu si a fimmina di la mo vituzza."
Se esistono i colpi di fulmine ebbene quello di Antonino sembrava essere proprio uno di quelli. Era stato chiamato dal comando del paese per dare supporto in seguito alla situazione che si era venuta a creare e lui era un esperto in indagini difficili come quelle.
La corriera, a causa di un guasto, lo aveva fermato lontano dal paese, il rumore improvviso di ferri che sdridevano tra loro, avevano di fatto bloccato il motore. L’ autista, un uomo grasso la cui pancia superava di gran lunga la cinta dei pantoloni, era sceso per dare un’occhiata e asciugandosi i sudori dalla fronte con un fazzoletto, a causa del gran caldo, aveva imprecato: " Maliditto autobussu ma quannu ti jittanu a li ferri viecchi? "
Di conseguenza aveva fatto scendere i pochi passeggeri, scusandosi per l’accaduto... questi borbottando e con tutti i bagagli, si incamminarono a piedi sotto il sole cocente. Antonino si era distaccato dal gruppo e procedeva da solo e così per rinfrescarsi, allo stesso modo di come aveva fatto Rosalia, si era fermato al torrente. Quella fortuita sosta, gli aveva consentito così di avere la visione angelica.
Dopo circa una mezz’ oretta arrivò in caserma, con la camicia madita di sudore che le si era appiccicata addosso come una seconda pelle. Si presentò a Finocchiaro e con questi entrarono nell’ufficio del Maresciallo.
Il maresciallo Calogero cercava di trovare un po’ di refrigerio con un vecchio ventilatore che mandava a malapena un filo d’ aria fresca, fece accomodare ad Antonino e gli disse quasi infastidito: " A la bona ù ora, ’ n autru picca vi raru pi pirdutu..."
Antonino gli spiegò il motivo del ritardo e con i sudori appiccicati addosso chiese il permesso di potersi lavare. Finocchiaro l’accompagnò nel suo alloggio e ad un tratto Antonino gli chiese al collega: " Pi caso canù sci ’ na certa Rusalia?"
Finocchiaro: " Aù... ancù ora duviri e arrivari e ggià hai canusciutu a cchiù bì edda du paì si."
Antonino insistette: " Allura cchi mi rici ri idda..."
" Ti dicu, lassala pì erdiri jè trù oppu infrucchiata (incastrata) ’ n storie pocu chiari..."
Antonino: " Chi vvoi diri?"
Finocchiaro tagliò corto: " U vedrai tu stissu."
Lo lasciò con la curiosità di sapere qualcosa di più sulla ragazza che in un attimo lo aveva stregato. Rimasto solo nella stanza si versò dell’acqua e si rinfrescò il viso, poi guardandosi allo specchio disse: " Iu nun ti lassu cù rriri, tu si a fimmina ri lu mi cori."
Non smise un attimo di pensarla, chiudeva gli occhi ed era lì accanto, bellissima con i suoi grandi occhi neri, che lo fissava dicendogli prendimi sono tua...
Ma il suo sogno ad occhi aperti fu bruscamente interrotto dal brigadiere Costa, il quale lo chiamò per una convocazione urgente del maresciallo. Si presentò nel suo ufficio in ordine con la divisa che le dava un aspetto distinto ed autorevole: " Comandi..." Disse mettendosi sull’attenti.
Il Maresciallo rispose: " Comodo... comodo ... siediti..."
Dopodiché lo mise al corrente di tutta la vicenda nonché degli sviluppi delle indagini.
Antonino ascoltò la storia che si fece ancora più interessante quando sentì il nome di Rosalia, adesso capiva le parole di Finocchiaro, la ragazza era in qualche modo invischiata in tutta questa brutta vicenda anche se indirettamente.
Gli parlarono anche di Liborio e di ciò che aveva farneticato sotto l’effetto dell’alcol. Antonino si mise a loro completa disposizione, promettendo che avrebbe fatto tutto il possibile per venire a capo del mistero.
Nel frattempo Rosalia era arrivata alla cascina, sapendo che avrebbe sicuramente trovato la zia furiosa, difatti questa alle prese con i fornelli si lamentava con la piccola come se fosse in grado di capire: " Uora siè nti a mia quannu agghica (arriva), chista carusa tropp’ assai fa chiddu chi i pari... Jè ri stainnata chi manca... mancu u pensierio to‘..."
Mentre borbottava arrivò Rosalia che sentendola le disse: " Pirdunu a mia, ma jè sucessu ’ na cù osa..."
E le raccontò tutto, Assuntina anche se furiosa avrebbe voluto tirarle i capelli tuttavia comprese che non era stata colpa sua quindi si calmò, dicendole: " Cunza a tavula chi Ninu e Brunu stannu pi arrivari..."
Rosalia d’ impeto abbracciò quella zia burbera ma in realtà con un grande cuore e questa sorpresa dallo slancio della nipote: " E chi sunnu ste smancerie, spicciati fa chiddu chi t’ haju rittu."
E si voltò per non farle vedere i suoi occhi che brillavano per l’emozione. Essere abbracciati con tanto affetto per lei era il più bel regalo che Rosalia potesse farle. Non avendo figli suoi, lei rappresentava il suo mondo e l’amava più di ogni altra cosa. Per pranzo aveva preparato un’insalata di riso alla siciliana, con tonno, olive nere, pomodori secchi sott’ olio, mandorle grezze, scorza di limone, capperi sotto sale... un piatto ideale per l’estate, poi le " patate vastase" che erano una ricetta del trapanese ma conosciuta anche in quelle zone, una pietanza semplice. Aveva tagliato le patate a rondelle poi messe in una teglia e cotte al forno, insieme a delle fettine di cipolla, pomodorini e origano. Aggiungendo a fine cottura la mozzarella e così pronto lo portò in tavola. Assuntina era molto brava in cucina ed era apprezzata da tutti gli ospiti della casa che mangiavano con appetito qualsiasi cosa lei preparasse.
Dopo poco arrivarono i due uomini con l’umore ancora più nero, entrambi avevano il broncio e non si rivolgevano la parola, segno che anche quel giorno avevano litigato. Assuntina stanca del loro comportamento disse: " Beni ù ora manciamu, ma duoppu vi haju parrari a tutti rui. "
Nino consapevole che la sua gelosia stava rovinando il rapporto anche con Assuntina si fece ancora più tetro e una forte rabbia iniziava a risalire come la lava di un vulcano apparetemente spento.
Bruno d’ altra parte era contento di poter finalmente confessare il suo amore per Rosalia e di dire alla zia che si era accorto che anche lei provava qualcosa nei suoi confronti. Ma spesso la presunzione acceca e non fa vedere oltre l’apparenza, infatti in realtà ignoravano quello che la donna gli avrebbe detto.
Rosalia alla richiesta della zia si preoccupò, non voleva che si creassero altre tensioni e temeva che le parole di Assuntina provocassero altri danni allargando la voragine dell’astio fra i due. Alla fine si allontanò per far dormire la piccola e la zia restò sola con Nino e Bruno.
" Beni, beviamoci chistu cafè mentri parru a vuatri, allura chista storia jè durata fin trù oppu, Brunu tu u sai chi Rusalia ntra picca si marita cu Ninu... quinni si ti si fattu ’ n pinzeru, chiddu jè sbagghiatu, Ninu si canusci a Rusalia u sapi chi si prumì ette quarchi cù osa la mantiene... Rittu chistu ognunu avi stari o so postu e abbasta chisti liti. Mi ntè nniti? "
Con il tono di chi ha imparato a impartire ordini e da donna siciliana dal carattere risoluto, zittitì i due ragazzi che anche se avessero voluto replicare non ne ebbero il coraggio, né Nino né tanto meno Bruno. Così a testa bassa e rispettosi verso quella donna che sembrava più un uomo, assentirono e ritornarono nei campi.