Montagna Sacra 20 anni prima
Ci incamminammo ancora una volta gli uni legati agli altri, tenendo i piccoli al centro della colonna. La neve era caduta abbondantemente quella notte, e noi affondavamo fino alle ginocchia. Per i piccoli principi il cammino risultò estenuante, eppure, ebbi modo di ammirare il loro coraggio, perché seppure esausti, non diedero mai segnali di debolezza.
La nostra faticosa marcia nella neve durò per buona parte della mattinata, ma quando riuscimmo a venirne fuori, decisi che era ora di andare a caccia. Lasciammo dei compagni di guardia alla famiglia reale e ci avviammo. Tutti quanti noi avevamo bisogno urgente di cibo.
In quelle condizioni così estreme, non era certo facile trovare qualche preda da cacciare. Per questo una volta individuata, non potevamo permetterci di fallire il colpo.
Eravamo in tre armati di archi e lance. La nostra mira era considerata da tutti infallibile.
Ognuno di noi grazie all’ addestramento durissimo e selettivo, aveva la capacità di amalgamarsi perfettamente alla natura che ci circondava. Ognuno di noi era in grado di diventare parte della natura stessa scomparendo, mimetizzato in una macchia boschiva, un tronco d’ albero, o addirittura un animale della stessa specie cacciata, grazie a un provvidenziale camuffamento.
Avevamo avvistato un alce di montagna dal grande palco palmato. La carne di quell’ esemplare adulto sarebbe risultata sicuramente troppo coriacea per i nostri piccoli, ma mi dissi che essendo la stagione degli amori, quel grande maschio ci avrebbe condotto dalle femmine e dagli esemplari più giovani dalle carni tenere e succulente. Decisi così di seguirlo, non prima però di esserci messi controvento, e non prima di aver mimetizzato il nostro aspetto, con fronde e piccole corna legate sulla testa. Le stesse corna che il maschio era abituato a vedere nel branco e che noi avevamo recuperato dai resti scheletrici di animali morti da parecchio tempo. Dopo aver coperto il pallore dei nostri visi sporcandoli con il fango guardai i miei compagni. Con le coperte di lana grezza legate sui dorsi, il travestimento era perfetto, e anche se l’ alce si fosse accorto di noi, in mezzo alle ombre naturali del sottobosco, sarebbe risultato difficile non scambiarci per qualche creatura silvestre.
Così iniziammo a seguire l’ animale.
L’ alce venne allarmato parecchie volte da qualche rumore sospetto provocato da noi, e ogni volta aveva smesso di brucare, drizzando all’ improvviso il testone e, allungando poi il lungo collo elegante, cercava di captare ogni segnale di pericolo. Ma noi eravamo entrati a far parte della natura circostante risultando pressoché invisibili, cosicché il maschio ogni volta era tornato tranquillamente a brucare, e a dirigersi con il piccolo trotto verso il resto del branco.
Lo seguimmo in silenzio finché non arrivammo a una piccola radura dove ci apparve improvvisa un’ immagine paradisiaca. Una piccola mandria, formata dalle femmine con le corna aggraziate e dai manti color caramello, con accanto i piccoli voracemente attaccati alle mammelle gonfie di latte.
Immagini di quiete e di serenità dopo tante travagliate vicissitudini. Incoccai una freccia nel piccolo arco da combattimento, non senza chiedermi se fosse veramente giusto quello che stavo per fare.
Scacciai quel pensiero molesto adducendo a me stesso che se non l’ avessi fatto le persone che mi era state affidate avrebbero patito gli stenti. I più piccoli avevano bisogno di nutrimento al più presto. Fu così che adocchiata una giovane femmina senza cerbiatto accanto, presi la mira.
La freccia partì con un sibilo, che risuonò nel silenzio e fece allarmare il resto del branco, ma era troppo tardi. L’ alce da me colpita stramazzò al suolo e io le corsi accanto.
Era ancora viva e commisi l’ errore di soffermarmi a guardarla negli occhi lacrimanti.
Ero consapevole, sin da piccolo, di possedere un dono naturale. Ero in grado di percepire le emozioni degli animali e di tutto ciò che riguardava il mondo vegetale. Questo perché ero convinto che persino gli alberi, i fiori e addirittura un filo d’ erba, avessero cognizione del mondo in esistevano, fossero cioè, a loro modo, creature senzienti. Nello sfiorare una pianta captavo le vibrazioni che emanava e percepivo il piacere o il dispiacere che essa avvertiva al mio tocco.
Non avrei mai immaginato, però, quello che mi accadde nel momento in cui la femmina, ormai agonizzante, sollevò il lungo collo ferito verso di me e mi scrutò come se volesse raggiungere la mia anima. In quell’ istante ebbi la sensazione che mi domandasse il motivo della mia ferocia.
Quei pozzi scuri e liquidi, colmi di lacrime e di dolore, mi fecero stringere il cuore in una morsa.
Ero un guerriero duro, addestrato all’ autodifesa ma, soprattutto, a infliggere la morte durante i combattimenti ma, in quel momento il mio cuore era senza corazza, privo di ogni elementare difesa e i miei occhi si velarono di pianto.
Non avrei voluto, ma avevo sei piccole vite che mi attendevano, affamate e speranzose.
Distolsi lo sguardo con l’ animo in subbuglio e preso il coltello la finii, non senza essere dilaniato dal naturale rimorso che coglie una parte dei cacciatori quando infierisce sulla preda con il colpo mortale e io ancor di più.
I miei compagni si accorsero del mio disagio e forse lo compresero o forse no. Non lo so! So soltanto che ognuno evitò di parlare e proseguimmo la caccia.
Tornammo all’ accampamento con due animali legati sui dorsi. Con quella scorta di carne la nostra compagnia poteva sfamarsi per lungo tempo.
Il nostro ritorno fu salutato da urla di giubilo, e la festa improvvisata si prolungò davanti a un falò approntato per tenerci al caldo e per arrostire la carne.
I bambini mangiarono a sazietà, e si ripresero un po’ dalle fatiche del lungo viaggio ma, sul far della sera, ricevemmo l’ennesima doccia gelata.
Questa volta il pericolo ci colse impreparati, perché la manovra di accerchiamento, fu portata a termine senza nemmeno un ringhio.
Ci guardammo l’un l’altro sbigottiti, i lupi ci avevano preso in trappola un’altra volta.
Lo riconobbi all’istante. Era lo stesso capobranco che avevamo affrontato prima che la valanga li facesse fuggire. Evidentemente avevano seguito le nostre tracce, ed erano stati attirati dall’ odore della carne arrostita.
Rimanemmo immobilizzati in una posa statica. Nessuno tra noi osava fare alcuna mossa brusca e non tentammo di lanciarci sulle nostre armi, per non suscitare, inevitabilmente, la reazione istintiva dei temibili predatori.
Il tempo sembrò cristallizzarsi. Presagivo l’attacco con tutti i sensi all’erta. In quel momento ero in grado di contare tutti i respiri e i ringhi del capobranco.
Concentrai allora la mia attenzione sullo splendido animale, sapendo bene che tutto dipendeva da lui.
Per un attimo mi balenò l’ idea che per mettere in atto una tattica così perfetta occorreva una grande astuzia e allora scrutai negli occhi il grande lupo con audacia e attenzione. Avvertii all’ istante una scossa. Avevo già provato quella strana sensazione poche ore prima ma, ancora una volta ne rimasi sorpreso.
Quella che avevo davanti era una creatura senziente, molto intelligente e astuta e l’ idea un po’ folle di poter comunicare con lei, mi colse alla sprovvista lasciandomi sbigottito.
Era davvero possibile che un uomo potesse comunicare con un lupo? Si trattava di un pensiero bizzarro, ma l’ urgenza mi pressava e non persi nemmeno un attimo di più a pormi domande banali.
Mi rilassai, cercando la calma interiore essenziale per quello che mi apprestavo a fare e cercando di escludere tutto ciò che mi circondava. Il lupo percepì subito il cambiamento in me, forse per la postura assunta, forse per il mio sguardo, fatto sta che il suo portamento si adeguò al mio. Le sue fauci si chiusero e smise di ringhiare.
Continuai a fissarlo negli occhi, senza mostrare ostilità o brama di sfida. Mi parve che fosse in grado di percepire la mia volontà di dialogare e allora gli palesai tutta l’ umiltà recepita in quei lunghi anni di addestramento, pur tuttavia, senza voler apparire subalterno e senza mostrare timore.
Fu in quel momento che lo vidi trasalire e arretrare di un passo. Era sconcertato e confuso, probabilmente più di quanto lo fossi io. Non si aspettava un simile comportamento e, per parecchi secondi, si limitò a studiarmi.
I miei compagni iniziarono a dare segnali di impazienza. Non capivano ciò che stava accadendo e guardavano al branco con la smania di uccidere. Anche i lupi mostravano nervosismo, ma si limitavano a tenerci sotto controllo, in attesa del segnale di attacco da parte del capobranco.
« Hui, che succede?» mi domandò Tien, forse allarmato dalla mia apparente inerzia.
« Tieni tranquilli gli uomini. Non muovetevi!» gli ordinai. Lui provò a obiettare, indicandomi la cerchia di lupi famelici, ma io insistetti: « Fidatevi di me, come avete sempre fatto!» gli dissi con tono pacato. Lui, seppure sconcertato, annuì e con un cenno deciso mise a tacere i dubbi e le perplessità dei compagni.
Io e la belva continuammo a esaminarci. Aveva seguito con attenzione il dialogo intercorso tra me e il mio gregario e sembrava approvare la mia autorità. Poi lui fece un passo avanti e i nostri spiriti entrarono davvero in contatto.
Per me fu come ricevere l’ ennesima scossa. La sua essenza era di natura selvaggia, molto diversa dalla mia avvezza alle regole, alla disciplina, allo studio e all’ addestramento, eppure, pur essendo così diversi, trovai lati compatibili tra noi. Entrambi eravamo abituati al comando ed entrambi avevamo a cuore la salute e la salvezza del nostro branco.
Ricordo che persi la nozione del tempo.
Gli trasmisi le immagini dei suoi cuccioli affamati, inermi e indifesi, in balia delle intemperie e dei predatori. Gli trasmisi il suo istinto alla difesa della sua famiglia e lui parve capire, che le ragioni che lo portavano a inseguirci e a predarci, erano le stesse che guidavano me e i miei compagni a difenderci. Gli trasmisi la mia determinazione a uccidere, pur di difendere ciò che mi era stato affidato e che mi era caro.
Non saprò mai come, ma ci intendemmo, simili a due creature della stessa specie e lo convinsi a desistere dall’attacco. So soltanto che infine ordinai ai miei uomini di lanciare l’ altra carcassa al branco quindi, il grande lupo, con un alto ululato si congedò da noi.
Lasciammo il loro territorio pagando il nostro tributo, ma mai in vita mia fui più felice di averlo fatto. Non li vedemmo più, anche se avrei giurato di sentire i loro ansimi seguirci per un bel po’ di tempo. In quei giorni mi piacque creder che il grande lupo grigio ci avesse concesso una scorta.
Ricominciammo la nostra discesa a valle, rinfrancati nello spirito, sebbene non avessimo più scorte di cibo. In compenso eravamo vivi e avremmo sempre potuto cacciare in seguito.
Scendere fu molto più complicato del previsto, visto che in certi punti eravamo costretti ad aggirare gli ostacoli rocciosi, con grande dispendio di tempo e di energia.
Ma quando all’improvviso ci trovammo davanti a un crepaccio, senza alcuna possibilità di aggirarlo, la maggior parte di noi fu preso dallo sconforto.
Tien mi fu subito accanto e insieme ci affacciamo oltre il ciglio. « Che facciamo?» domandò « Non possiamo tornare indietro!»
« Non torneremo indietro!» risposi deciso e scrutando con attenzione l’ ostacolo.
La spaccatura non cadeva del tutto in verticale e vidi che a un’altezza di una decina metri al di sotto di noi, si trovava un passaggio abbastanza largo, che si perdeva poi nella macchia boschiva. Decisi d’ istinto: « Lo supereremo formando una sorta di catena umana, abbastanza agevole per permettere la discesa ai bambini e all’ imperatrice.»
Lui mi guardò con aria interrogativa. Non capiva.
« Mi appenderò con i piedi al ciglio e mi lascerò penzolare e con le braccia sosterrò un compagno che penzolerà a sua volta sostenendo un altro e così di seguito, fino ad arrivare a toccare il fondo.»
«È una manovra molto ardita, Hui. Il peso degli uomini graverà tutto sulle tue braccia e le tue gambe. Sei sicuro di potercela fare?»
“ Bella domanda!” pensai « Hai qualche altra idea?» domandai a mia volta indicando il cielo colmo ancora una volta di nubi tempestose.
Lui seguì il mio sguardo e scosse il capo.
In quel momento, l’ imperatrice mi venne accanto e quella fu una delle poche volte che avvertii la carezza sulla pelle della sua voce e del suo sguardo. Maylinn mi guardava negli occhi e sul suo viso lessi tutta la preoccupazione che provava: « Hai già corso molti rischi per noi, comandante e io te ne sono grata. Ma ora ti vedo esausto e provato, come tutti, del resto. Sei sicuro che non esiste altro modo per superare questa voragine?»
Cara, dolce Maylinn! Se avessi potuto l’ avrei stretta tra le braccia e baciata. La sua inquietudine era sincera. Quella giovane donna, colei che in quel momento non vedevo più come sovrana e che con il suo modo soave e discreto aveva conquistato il mio cuore, era sinceramente preoccupata per me.
Le sorrisi e trattenni a stento il desiderio folle di afferrarle le mani delicate e porvi un bacio, ma la fissai intensamente dichiarandole con lo sguardo la mia devozione.
Lei percepì la mia profonda emozione e annuì senza distogliere il suo ma condividendo la stessa emozione.
Furono istanti magici, che sarebbero potuti durare in eterno se Tien non avesse manifestato la sua presenza strappandoci dall’ incanto.
Volsi il capo, confuso, e le indicai il vuoto spiegandole ciò che intendevo fare: « Il crepaccio non è del tutto verticale, come puoi vedere, mia signora. Quel minimo di pendenza che ha ci permetterà un po’ di appoggio e il peso complessivo sarà per me e per gli altri meno greve da sostenere.»
Quando riportò la sua attenzione su di me si era ripresa, tornando a essere l’ imperatrice: « Fai quel devi, comandante! Noi ci fidiamo di te!» terminò, tornando dai suoi bambini.
Tornai a guardare il mio compagno e lo vidi scrollare la testa. Il suo sguardo era severo. Compresi che aveva percepito la mia emozione e disapprovava il mio comportamento. Rimandai ogni chiarimento e mi apprestai a spiegare agli altri la mia idea.
« Io sarò il secondo!» disse, offrendosi.
Lo aveva affermato con così tanta convinzione da farmi intendere che non avrebbe accettato contestazioni e anche se avessi preferito che fosse lui ad aiutare i bambini a scendere, accettai di buon grado.
Calcolai che con cinque uomini ce l’ avremmo fatta a formare una catena abbastanza lunga. Diedi l’esempio agli altri, ponendomi come primo gradino a testa in giù, facendo presa con i piedi al ciglio. Il mio corpo in quel modo pendeva pericolosamente nel vuoto.
Cercai di non farmi prendere dalle vertigini. Dovevo resistere, cercando di spronare, con il mio esempio, i miei compagni a fare la stessa cosa. Continuare a lottare senza arrendersi mai al destino che pareva avverso, per cercare di salvare la famiglia reale. Lo aveva giurato nel momento in cui, diventato monaco guerriero, ero stato affidato alla loro salvaguardia.
Se avessimo avuto più tempo mi sarei fatto legare alle caviglie per non forzare troppo sui bicipiti e sulle spalle ma, il tempo, era proprio quello che ci mancava. I bambini stavano soffrendo il freddo da parecchi giorni e dovevamo sbrigarci a scendere di quota se non volevamo che morissero assiderati.
Penzolai, cercando la posizione più giusta e quando mi sentii sicuro feci cenno a Tien di procedere.
Si trattava di una manovra assai delicata. Se qualcuno di noi avesse ceduto la tragedia era inevitabile.
La stazza di Tien equivaleva la mia. Entrambi eravamo alti e ben piazzati fisicamente e i lunghi anni di addestramento avevano temprato i nostri corpi. Nel momento stesso che posò entrambi i piedi sulle mie spalle dovetti stringere i denti fino a quando, scivolando lungo il mio corpo, si appese alle caviglie.
Quando fu pronto diede il segnale lui stesso a un compagno che ripeté la stessa manovra.
Quando tutti e cinque fummo posizionati uno dei miei guerrieri rimasti in alto scese per primo fino a metà della scala umana, mentre un alto assicurava i bambini a una corda di cui teneva saldamente un capo. Avrebbe accompagnato la discesa dei bambini con un minimo di sicurezza in più.
Pregavo in silenzio che tutto andasse per il meglio. Il fratellino maggiore fu il primo a scendere e a dare l’ esempio agli altri.
Le sue manine si aggrapparono al mio collo e poi alle spalle e alle braccia assistito dal basso da un guerriero, pronto a intervenire in caso di bisogno. Uno per volta scesero tutti mostrando grande coraggio, anche se, in realtà, sentivo i loro corpicini tremare dalla paura.
L’ imperatrice si legò il più piccolo sulle spalle e scese per ultima.
Avverti il suo peso sulle spalle, e quel tocco mi parve lieve come quello di una farfalla. Maylinn era esile come un fuscello ed agile come un felino. In pochi secondi aveva già toccato il fondo del crepaccio.
Sospirai di sollievo e quando tutti furono in salvo, non fu difficile per noi compiere un balzo acrobatico e atterrare nel terreno sottostante.
Quello fu davvero l’ ultimo ostacolo che la montagna ci pose innanzi. Da lì in avanti, la nostra discesa fu abbastanza agevole. Ne avevamo passate di tutti i colori e non ci parve nemmeno vero di essere fuori pericolo.
Ebbi modo di riflettere sugli avvenimenti di quei giorni, e su quelli che mi avrebbe riservato il futuro.
Il mio sguardo si pose allora sulla schiena dell’ imperatrice che mi precedeva di qualche passo. Ero perfettamente consapevole che per noi non vi fosse speranza, per quel motivo cercavo di godere appieno di ogni attimo che il destino ci faceva vivere insieme.
La discesa per un paio d’ore fu abbastanza tranquilla.
I bambini, passati quei terribili attimi di tensione, avevano ripreso la loro abituale vivacità. Mi rasserenava il suono argentino delle loro voci infantili, e delle loro risatine. Noi adulti li osservavamo con indulgenza e con tenerezza ignorando anche qualche piccola marachella. Si spingevano stuzzicandosi gioiosamente, e sembrava avessero dimenticato tutte le brutte avventure vissute nei giorni precedenti.
Mi deliziavo beatamente per il solo piacere di ascoltarli, quando uno di loro si fermò all’improvviso. Anche se in quel momento pensai a un altro spensierato scherzetto, i miei sensi tornarono all’ erta.
Mi guardai intorno facendo segno ai compagni di fare altrettanto, ma non ve n’ era bisogno. Anche loro avevano percepito il cambiamento e il pericolo incombente.
Feci radunare i bambini e per precauzione formammo il solito cerchio difensivo.
I minuti passarono lenti nel totale silenzio e per un po’ non vedemmo nulla.
Poi, all’ improvviso, ci attaccarono.
Gli uomini, gli stessi che ci avevano seguito fin sul ponte, avevano poi aggirato il burrone, ed essendo più veloci ci avevano preceduti, tendendoci l’agguato.
Erano in tanti, forse una quarantina, e anche molto agguerriti. A giudicare dall’ aspetto sembravano freschi e non erano certo provati come lo eravamo noi. La loro discesa sull’ altro versante era stata sicuramente meno travagliata della nostra e non avevano dovuto affrontare tutte le disavventure vissute dal nostro gruppo.
Ero seriamente preoccupato e in quel momento mi sembrò che il mondo mi crollasse addosso. Disperavo di farcela questa volta. Dieci contro quaranta! Per quanto addestrati e valorosi quanto avremmo potuto resistere alla superiorità numerica?
Con un’ occhiata circolare avvolsi la famigliola in un abbraccio unico e pietoso. Per noi, per loro, le probabilità di sopravvivere erano ridotte al lumicino ma, nonostante tutto, noi monaci guerrieri, ci eravamo assunti un compito delicato e avremmo tentato di portarlo a termine a tutti i costi.
Scambiai un’ occhiata eloquente con tutti i miei compagni e nel loro sguardo e nel loro atteggiamento lessi la mia stessa determinazione.
« Siamo con te!» mi disse Tien e quella frase stava a significare “ Insieme, fino alla morte!”
Ci accingemmo dunque a una strenua difesa.
Avevo già affrontato alcuni di quegli uomini, e sapevo che erano addestrati bene alla lotta, ma non come lo eravamo noi.
Ci attaccarono tutti insieme, come un’ orda di lupi e proprio come mi aspettavo facessero.
Finché ci fu abbastanza distanza facemmo uso delle catene da combattimento, che lanciavamo come bolas o abbattevamo come sferze sui corpi dei nemici e, considerata l’ abilità e la mira, ne abbattemmo subito parecchi. Ma erano in tanti e quella loro superiorità rischiava di schiacciarci in una manciata di minuti. Oltretutto, avevamo la preoccupazione dei bambini. Il cerchio difensivo intorno a loro non doveva assolutamente allargarsi troppo.
Quando non fu più possibile usale le catene da combattimento sfoderammo i bastoni e me la ritrovai accanto all’ improvviso! Maylinn si era messa al mio fianco brandendo una delle nostre armi e fronteggiava il nemico con espressione impavida e di sfida.
Bella come una dea e determinata come una Walkiria!
Ci scambiammo un’ occhiata, ma io ero confuso. Cosa aveva intenzione di fare?
« Anche io sono con te, comandante!» scandì con un piglio indiscutibile.
« Maylinn…» mormorai, ma non ebbi il tempo di proseguire perché entrambi ci trovammo costretti a respingere l’ attacco di due nemici. Ero preoccupato per lei e con la coda dell’ occhio la osservai combattere, pronto a intervenire.
Parava, stoccava e infliggeva bastonate come uno di noi. Si intuiva che aveva ricevuto un addestramento e combatteva come una veterana. Era agile e fluida nei movimenti e nello stesso tempo precisa e determinata, non solo a difendersi ma anche a prevalere sull’ avversario. Nonostante fosse molto più esile dell’ altro balzava di qua e di là con la stessa grazia di una libellula, ma schivando e colpendo con la giusta energia, quindi con poche stoccate si liberò dell’ assalitore.
Per me fu altrettanto semplice prevalere e questa volta la guardai con profonda ammirazione. Lei sorrise, con il volto appena arrossato dalla fatica ma con negli occhi un’ espressione maliziosa. Era felice di avermi sorpreso ma poi ci ritrovammo impegnati in un altro combattimento e la persi di vista. Ogni tanto la sentivo gridare, un po’ per la foga che metteva nel battersi ma qualche volta perché veniva colpita e in quei momenti il mio cuore cessava di battere.
Parecchie volte fui sul punto di intervenire per aiutarla, ma lei riusciva sempre a cavarsi d’ impiccio da sola e non potei che ammirarla per questo.
Nella confusione, ogni tanto ci ritrovavamo vicini e, in quelle occasioni, combattevamo proteggendoci a vicenda, spalla a spalla, come avrebbero fatto due camerati affiatati, anzi, a onor del vero, in un paio di occasioni fu proprio lei a evitarmi ferite mortali.
Tenemmo testa bene al nemico, mettendone fuori combattimento subito, almeno una decina con i bastoni, quando non fu più possibile usare quelli combattemmo a mani nude.
Pare incredibile, eppure, la nostra forza e determinazione, sommati al duro addestramento, risultarono vincenti. Gli aggressori caddero come mosche.
Guardai con orgoglio i miei compagni che si stavano facendo onore. Di quel grosso manipolo di manigoldi, in poco tempo ne rimase in piedi solo una ventina e con nostra somma meraviglia, li vedemmo dileguarsi nella macchia boschiva.
Non mi illusi, come credo non si illusero gli altri, perché non emisero grida di giubilo per quella ritirata, ma solo sospiri di sollievo per la momentanea fase di riposo.
Avevamo tutti il fiato corto! Il rumore dei nostri afflati si confondevano e si condensavano in nuvolette che si espandevano per aria. Maylinn era ancora al mio fianco.
Aveva combattuto come una leonessa combatte per difendere i suoi cuccioli ed era degna di tutta la mia ammirazione.
Avrei voluto esprimere l’ emozione che sentivo ma le circostanze me lo impedivano. Mentre Tien mi si avvicinava, riuscii solo a mormorare un ringraziamento: « Ti sono grato, mia signora. Senza il tuo intervento avrei corso un brutto rischio.»
Era sudata, trafelata e con i capelli in disordine eppure, nessuna mi era mai parsa tanto bella quanto lei in quel momento.
Come al solito annuì dolcemente e mi sorrise: « Hai fatto lo stesso per me e i miei bambini e sono io a doverti eterna riconoscenza, comandante.»
« Hui…. mi chiamo Hui.» riuscii a sussurrare, arrossendo per la mia sfacciataggine, un attimo prima che il mio amico ci raggiungesse.
« Hui» mormorò lei e il cuore mi si gonfiò di felicità.
Se anche Tien percepì la mia emozione non lo diede a vedere e io gliene fui grato.
Il mio amico si profuse in un profondo inchino davanti all’ imperatrice palesandole la sua ammirazione: « Ti ho veduta combattere, mia signora e non posso che essere fiero e onorato di avere una sovrana così abile e coraggiosa!»
Ingoiai un moto di stizza e di collera. Non ce l’ avevo con Tien bensì con me stesso. Avrei dovuto e voluto essere io a complimentarmi con lei e invece, mi ero fatto precedere.
Ma forse la mia era solo gelosia.
Il mio amico sorrise in modo ironico. Ancora una volta non disse nulla a tal proposito, ma era chiaro che aveva compreso quello che stavo passando.
« Credo che torneranno.» affermò invece: « Si nota un certo movimento in quella macchia di verde.»
« L’ ho notato anche io.» lo rassicurai, guardandolo un po’ torvo per avermi letto dentro ma già proiettando i miei pensieri ai prossimi scontri: « Teniamoci pronti!»
Gli altri compagni mi guardavano in attesa di ricevere disposizioni. Li ammirai. Avevano combattuto senza mai perdere la speranza e senza mai arretrare di un passo davanti al nemico e ai pericoli che avevano dovuto affrontare durante la lunga ed estenuante fuga. Si erano fidati di me e avevano eseguito senza discutere i miei ordini e in quel momento erano di nuovo pronti a morire pur di salvare gli eredi al trono.
Li radunai intorno a me e con le braccia li strinsi tutti in un abbraccio solidale e affettuoso. Ci univano i lunghi anni di addestramento, di studi e di avventure. Nulla e nessuno poteva distruggere la nostra amicizia.
continua...