Non avevo mai sentito nulla di simile! I lupi volsero il loro sguardo atterrito alla cima della montagna e dopo solo un attimo di esitazione, scattarono fuggendo come tanti demoni e dileguandosi nel marasma della bufera.
L’ urlo mi salì dal cuore: « Una valanga! Presto! Dobbiamo toglierci da qui!»
Senza badare ai modi abbrancammo sotto le nostre braccia i ragazzini e iniziammo la nostra folle corsa verso la salvezza seguendo la direzione dei lupi, sapendo che gli animali, per istinto, ci avrebbero guidati in salvo.
Fu la disperazione e l’ istinto di sopravvivenza a darmi la forza e la velocità necessaria a sfuggire alla valanga di neve che si stava riversando dal pendio. Affondavamo sì nella neve ormai alta, ma niente e nessuno sembrava essere in grado di fermarci.
Sentivo la slavina dietro le mie spalle come fosse stata una belva mostruosa e famelica. Ero in grado di capire, quasi contare ogni masso e ogni tronco divelto e raccolto dal suo abbraccio mortale e trascinato con violenza verso valle. Ero in grado di intuire dal fragore, quanti metri ci separavano da essa. Pochi! Troppo pochi! Con uno sforzo sovrumano urlai, spronando i miei compagni, e cercando di non perdere contatto con coloro che avevo mandato alla ricerca del rifugio. Purtroppo, mi accorsi ben presto che non potevano sentirmi per il marasma causato dalla tempesta e perché l’ ansia della salvezza ci aveva distanziati di parecchi metri.
Per fortuna, però, avevano raggiunto un punto abbastanza al riparo dalla valanga e quella constatazione mi donò un po’ di sollievo, poi fui costretto a guardare in avanti e li persi di vista.
In certi momenti di quella fosse discesa mi ritrovano accecato dal turbinio della neve, ansante e disperato, senza la possibilità di scansare eventuali e improvvisi ostacoli. Trasportavo i due ragazzini come fossero fantocci senza peso e loro non reagivano. Non ne avevano più la forza, poverini!
A un certo punto, però, mi sembrò persino che qualcuno mi avesse sollevato e che stessi volando e con un brivido mi resi conto che, nonostante tutti i miei sforzi, il grosso della slavina ci aveva raggiunto e io mi ritrovai di nuovo nei guai.
Alle mie spalle un mostro dalle dimensioni immani ruggiva, protendeva le sue fauci e tentava di ingoiarmi. Per un attimo sentii venir meno il mio spirito battagliero. Ero di nuovo allo stremo e sarebbe stato facile lasciarsi andare cercando l’ oblio, ma era responsabile della vita dei bambini e se avessi ceduto, anche solo per un attimo, sarebbe stata la fine. Scacciai quel dubbio e mi schiarii le idee ponendo più attenzione a quello che accadeva intorno.
La neve che precipitava dal colle mi aveva sollevato da terra e rischiavo di cadere da un momento all’ altro. Mi concentrai. Nulla mi doveva distrarre, né la miriade di tronchi divelti né i massi che mi rotolavano intorno rischiando di investirmi. Cosa potevo fare se non cercare di evitarli?
All’ improvviso mi venne un’ idea. L’ unica possibilità era adattarsi alla complicata situazione come l’ acqua che si adatta al suo contenitore. E allora segui il montare dell’ onda nevosa che si gonfiava sempre di più ritrovandomi al suo apice e cavalcandola come fosse quella del mare. Non era affatto semplice mantenere l’ equilibrio con i due bambini avvinghiati al mio corpo ma, mi lasciai trasportare, scivolando e cercando in tutti i modi di non affondare. Per qualche momento, addirittura, la sensazione provata fu esaltante. Nonostante il fragore terrificante provocato dalle tonnellate di neve che precipitavano a valle insieme a me, io riuscivo a volare. In quella sciagurata situazione riuscii anche a sorridere.
Non so come, ma ce la feci a deviare e a uscire dalla traiettoria della slavina e, a un certo punto, me ne ritrovai fuori.
Mi fermai senza fiato, con i bambini abbarbicati tenacemente alla mia persona. Poveri piccoli! Mi guardavano con occhi sgranati senza un lamento e senza una lacrima. Poi, il più piccolo mi sorrise e per me fu come un raggio di sole che si fa largo tra le nuvole.
Era un sorriso birichino, incredulo, come solo i bimbi sanno fare quando ricevono un regalo insperato. Posai per terra entrambi e li guardai. L’ altro strizzò gli occhi e li sgranò, poi scoppiarono a ridere e allora compresi che i due si erano divertiti. Per loro si era trattato di un gioco!
Sorrisi a mia volta ringraziando gli dei perché i piccoli non avevano compreso l’ entità della catastrofe che li aveva visti protagonisti e per non averli fatti penare durante la rocambolesca discesa.
In un moto di tenerezza li strinsi ancor di più a me e poi li guidai nella risalita alla ricerca degli altri compagni.
Li trovai a poche centinaia di metri che mi stavano aspettando.
Tien mi venne incontro facendosi carico dei bambini e poi ci riunimmo al gruppo.
Feci la conta con un nodo alla gola. Eravamo rimasti in pochi. Una decina di guerrieri e l’ imperatrice, più i bambini.
Cercai lo sguardo di Maylinn e questa volta lo trovai colmo di lacrime di sollievo. Abbracciò i suoi figli con trasporto e i monelli presero a raccontare, saltellando gioiosamente, quanto era avvenuto.
Il mio amico mi diede una pacca sulla spalla: « Credevamo di avervi perso! Ma tu sei stato in gamba, come sempre!»
Gli risposi con un cenno e quasi caddi sulla neve per la stanchezza. Mi tremavano le gambe. L’ adrenalina fluita nelle mie vene per tutto il tempo della fuga aveva lasciato uno strascico di grave paralisi nella mia fibra. I muscoli dei polpacci mi bruciavano per il grande sforzo subito e mi cedettero. Tien mi afferrò e mi costrinse ad appoggiarmi a lui, poi mi sostenne fino a quando arrivammo alla caverna.
Ci sistemammo come meglio potevamo e io mi lasciai cadere avvolto in una coperta, lasciando agli altri il compito di provvedere ai bambini.
Sentii il fragore della slavina scemare lentamente, finché nell’ aria rimase solo il sibilo del vento, quindi un terribile silenzio avvolse il mondo all’ esterno del nostro rifugio.
Avrei voluto dormire per recuperare un po’ di energie, come del resto facevano gli altri, ma ero troppo stanco e irrequieto. Pensavo alla discesa che dovevamo affrontare l’ indomani.
E inevitabilmente la cercai con lo sguardo.
La vidi supina, con i piccoli stretti al suo corpo. Il suo volto era tanto pallido da apparire diafano. Aveva gli occhi chiusi, e il pensiero stesse male o, peggio ancora, che fosse morta, mi colpì come uno schiaffo e il mio cuore perse un battito.
Dimenticando la spossatezza mi trascinai vicino a lei. Non dava segni di vita.
Le cercai le pulsazioni sul bianco collo esile e le trovai. Seppur in modo appena percettibile, il suo cuore batteva. Era svenuta, forse per la stanchezza o per il troppo stress subito a causa della morte del marito e a tutte le disavventure vissute da quel momento.
Provai una grande pena per lei e il suo futuro ma, nel contempo, tirai un sospiro di sollievo e mi apprestai a rianimarla con piccoli schiaffetti gentili sulla sua mano.
Per qualche secondo ne studiai la reazione e percepii il mio cuore carambolare nel petto. Avendo l’ opportunità di guardarla da vicino potei rendermi conto di quanto fosse giovane, di quanto fosse indifesa in quel momento e di quanto fossero fini e delicati i suoi lineamenti. Aveva una pelle di porcellana e labbra ben delineate, rosee… labbra da baciare.
Solo allora realizzai la profondità del sentimento che in quei giorni, era maturato per lei nel mio cuore. Non me ne resi nemmeno conto, ma il mio volto si avvicinò pericolosamente al suo e mancò un soffio che la mia bocca sfiorasse la sua.
In quel momento i suoi occhi si aprirono con un battito di ciglia, come il frullo di ali di farfalla, e a me parve di annegarvi dentro.
I suoi occhi mi parlavano con una dolcezza infinita e io, in quei brevi istanti persi la mia anima in quella soave della splendida creatura.
Lei, percepì tutta la mia emozione perché arrossì, scostandosi, quindi nascose il suo sguardo in un gesto discreto abbassando il bel volto.
« Come ti senti, mia signora?» le domandai con premura.
Lei sorrise dolcemente: « Molto meglio, comandante» sussurrò, con un filo di voce « Dev’ essere stata la stanchezza.»
Annuii. Le sue guance stavano riprendendo colore e, rassicurato, ricambiai il suo sorriso. Poi mi ricomposi, tornando a essere il guerriero che ero ma, in una tacita promessa, le dedicai la mia devozione per sempre.
Tornai al mio posto e questa volta mi addormentai con il suo sorriso impresso nella mente.
Venne notte e l’ oscurità piombò nella caverna. Il fuoco che avevamo acceso per tenerci al caldo andò a smorzarsi lentamente, senza che nessuno fosse in grado di ravvivarlo. Era come se ognuno di noi avesse dovuto sostenere un furioso combattimento per un’ intera giornata e anche il guerriero addetto al turno di guardia aveva ceduto alla stanchezza. Dormivamo tutti e non ci rendemmo conto di quello che accedeva fuori.
All’ esterno la bufera infuriò per molte ore e solo al mattino smise di nevicare.
Purtroppo, quando ci svegliammo, trovammo una brutta sorpresa.
Per proteggerci dalla bufera e dal vento gelido, ci eravamo rifugiati in un anfratto, il più lontano possibile dall’ ingresso. Come capo spedizione avevo anche ritenuto inutile mettere un uomo di guardia, anche perché eravamo tutti esausti e non era il caso.
Di conseguenza nessuno di noi si accorse che i rumori della tempesta si attutivano perché l’ ingresso veniva lentamente ostruito da tonnellate di neve ghiacciata, fino a rimanere del tutto sigillato.
Eravamo prigionieri e quel ghiaccio era la nostra lastra tombale.
Mi maledissi per la mia stupidità e con i miei compagni saggiammo la consistenza dell’ enorme tappo venutosi a creare, usando le lame delle nostre spade, ma capimmo subito quanto quella barriera fosse insuperabile.
La nostra speranza di salvezza si infranse in quel terribile, tragico momento. Non avevamo nessuna possibilità di uscire da quella prigione di ghiaccio.
« Che facciamo?» mi domandò con aria lugubre il mio amico Tien.
Cercai di non farmi suggestionare dal tono e mi guardai intorno.
I bambini e l’ imperatrice erano svegli e a causa del gelo tremavano come foglie al vento cercando di scaldarsi restando abbracciati. Le loro labbra erano già livide e mi guardavano domandando con occhi speranzosi di trovare una soluzione.
Dovevamo accendere un fuoco se non volevamo che morissero di freddo.
Che importanza aveva se le fiamme avessero consumato l’ ossigeno nella caverna? Il nostro destino era ormai segnato. Senza viveri quanto avremmo potuto resistere tutti quanti?
Le fiamme avvamparono subito, e noi ci sedemmo tutti attorno al fuocherello ottenuto, cercando un po’ di calore. Il mio sguardo venne catturato dal gioco di luci e ombre che si riflettevano lungo le pareti rocciose, e all’ improvviso mi avvidi della direzione che prendevano le lingue di fuoco.
I miei compagni notarono lo stesso fenomeno: « Guarda Hui! La fiamma si muove verso il fondo!»
Balzai in piedi: « C’è una corrente d’ aria!»
Le nostre speranze rinacquero come il fuoco che stavo guardando.
« Vieni con me, Tien!» ordinai, lasciando gli altri guerrieri a badare ai bambini.
Accesi una torcia di fortuna e cominciammo ad esplorarla, facendo sempre attenzione al movimento della fiamma.
La caverna era molto grande e s’ inerpicava in salita. Il percorso era irto di stalagmiti che spuntavano all’ improvviso ostacolando il nostro cammino mentre, dall’ alto pendevano stalattiti del tutto calcificate o cristalline e trasparenti. Uno spettacolo mozzafiato, da apprezzare e ammirare in situazioni meno drammatiche.
Camminammo a lungo, stando bene attenti a non scivolare su quel terreno insidioso.
E finalmente cominciammo ad avvertire il sibilo del vento. Quando infine, superata una curva nella roccia sentii l’ aria gelida ghiacciarmi la pelle, capii che non saremmo morti come tanti topi in trappola.
E quando poco dopo uscimmo tutti all’ aria aperta, l’ alba rischiarava appena con un chiarore rosato a oriente. Respirammo a pieni polmoni l’ aria pulita.
Della valanga, da quella parte del versante, non c’ era traccia.
Rifacemmo il percorso a ritroso con lo spirito più sollevato, tornando a riprendere la famiglia reale per scortarla in salvo.
Monastero Del Canto Del Vento
Smisi di raccontare la storia di mio padre e mi guardai attorno. Il mio sguardo sfiorò a uno a uno gli astanti. Mi accorsi che nell’ aria aleggiava un senso d’ incredulità misto a stupore. Mi venne naturale chiedermi quanti di loro credevano effettivamente a tutto ciò che stavo narrando, quando vidi il Gran Maestro alzarsi e venirmi accanto.
Aveva indovinato chissà come i miei pensieri, raccogliendo tutti i miei timori, per questo prese la parola.
« Tutte queste disavventure le ho vissute di persona. Su alcune degli eventi narrati questa sera, nella mia memoria era sceso il velo dell’ oblio. Ma sono rimaste sempre lì sopite, forse, ma pronte a risorgere in modo fulgido nella mia mente. Rielaborare le nostre avventure narrate in modo così avvincente da questo giovane aspirante guerriero, mi ha colmato il cuore di profondo trasporto e commozione. Credo che dobbiamo essergli grati tutti quanti, perché ci sta rendendo partecipi dei ricordi di un eroe, dei ricordi di suo padre.»
Fui profondamente grato al Venerando, per il suo intervento in mio favore, poiché quando guardai nuovamente i presenti, mi accorsi che una nuova luce brillava nei loro occhi. Con gran dispiacere di tutti, ripresi il mio racconto solo la sera dopo.
continua...