Ti guardai, eri uno specchio che rifletteva i ricordi, un pensiero avvolto di luci che sembravano intermittenza di sogni accanto alla paura. Quel colore di nero, spezzato di matita, contorno occhi, giornata di musiche tristi! E guardai ancora, la pagina ferma all’ anno interrotto di pianto, magari cucito di sole speranze!
Assisto, pervasa di ogni calore reciso, svelato e sradicato di poche parole, come un pugno centrato nella faccia dal vuoto, si insinua curando le ferite lasciate al sole.
Quanta speranza, profusa e creata si dissolveva nei giorni all’ avvento mancato.! Corse di attimi dietro rami di vento, sgualciti di poesia che arrampicavano il fusto, quel fusto di morte che straziava la voce, e affaticava il mio cuore.
Potessi rincorrere i minuti del tempo, vederli rivivere dietro un’ ora più calma, pacata e indifesa a un pugno di anni. Era l’ alba, gli occhi trattenevano i singhiozzi di una lacrima, versata e taciuta dinanzi al tuo cuore come i bambini nascondono i doni. E la vita, che spaziava nell’ aria cercando i teneri suoni di un canto malato, logorava i lembi di un libro attraverso l’ andare… sì, l’ andare oltre il silenzio, quel silenzio che citasti in un passo nei righi dell’ essere invitando a meditare.
Il giorno riverso, accanito e mostrato di triste correre di attimi!
La vita, lasciata alla morte corrosa e dipinta di parole afone. Quel verbo sentire apparso e riapparso, cantava piano pianino in un minuscolo dare…
E cosa sarebbe la morte? Uno specchio riflesso della vita in un margine di tempo.
La paura di amare, e correre nell’ Infinito.