Quando, giovane studente, andai a Lisbona perché vincitore di una borsa di studio per l’approfondimento della lingua portoghese, rimasi colpito, fra l’altro, da un bellissimo e moderno ponte sul largo fiume Tago, l’attuale "25 de Abril", o più semplicemente, allora, "a ponte sobre o Tejo", e, con la scarsa diplomazia tipica dei vent’anni, chiesi alla guida, che ci faceva visitare tante chiese, perché non ci portasse nei paraggi di quel ponte e non ci illustrasse le sue bellezze: "Perché non è un’opera d’arte, ma di ingegneria", fu la sua risposta.
Ma il "ponte Morandi", rovinosamente caduto a Genova il 14 agosto scorso, veniva considerato da molti un’opera d’arte: anche per questo motivo, forse, nonostante i suoi tanti problemi si esitava ad abbatterlo, e lo si curava alla stregua della Torre di Pisa...
Un ponte, poi, trasmigra senz’altro nell’ambito artistico e conquista l’immortalità quando ad esempio ad esso si dedica una bellissima poesia, come fece Apollinaire con "Le Pont Mirabeau" di Parigi, sulla Senna.
I ponti possono essere anche immaginari, perché irrealizzabili, presenti soltanto nelle menti di persone sprovvedute, come quello che Masaniello voleva fare costruire da Napoli alla Spagna, dopo essere stato finalmente ricevuto con (falsi) onori dal viceré spagnolo, una volta che fu sedata la sua sommossa (cfr. "Napoli entro e fuori le mura", di Massimo Rosi, ed. Newton & Compton, 2003) .
Come ha fatto notare l’imam di Genova nel suo discorso di commemorazione delle vittime del 14 agosto, la caduta di un ponte non produce solo un danno materiale e non provoca soltanto la perdita di vite umane, ma fa anche un danno morale, perché il ponte è un potente simbolo dei legami tra persone diverse (e non a caso, forse, in portoghese la parola "ponte" è di genere femminile: le donne sono senz’altro più capaci degli uomini di coltivare con intuito, pazienza e perseveranza i rapporti umani) .
Quando, nei primi anni del mio lavoro, andavo ad insegnare in provincia di Caserta, e oltrepassavo in auto, all’andata e al ritorno, qualche ponte sul piccolo fiume Volturno, avevo l’impressione che di qua e di là ci fossero due mondi impercettibilmente diversi, ma legati indissolubilmente proprio da quelle strutture. (Quanto sono stati, invece, per lungo tempo profondamente differenti il mondo francese e quello tedesco, forse anche per la mancanza di un sufficiente numero di ponti sul fiume Reno!)
Ci sono ponti che nascono forti e che durano centinaia di anni, anche con poche cure, ed altri, come il "Morandi" di Genova, che nascono già piuttosto deboli e che, nonostante le attenzioni ad essi riservate, dopo cinquant’anni muoiono, per l’eccessivo carico che sono stati costretti a sopportare.
Non siamo così anche noi esseri umani? Quando incominciai a studiare la letteratura francese, mi impressionò la biografia di Fontenelle (uno scrittore nato nel 1657 e morto nel 1757), che, secondo l’antologia "Lagarde et Michard", "é tait de santé dé licate mais sut si bien se mé nager qu’il vé cut presque centenaire" ("aveva una salute delicata, ma seppe amministrarsi così bene che visse quasi cento anni") : anche il ponte di Genova, se avesse dovuto sempre sopportare il moderato traffico degli anni Settanta, forse ora sarebbe ancora in piedi... Le creazioni dell’uomo, proprio perché le fa l’uomo, sono sempre antropomorfe, sono i nostri specchi, si ammalano di malattie simili alle nostre, e prima o poi vanno incontro alla nostra stessa fine.