C’ era una rampa di scale, esterna, nella vecchia casa. Bisognava salire in cima. E una volta lì, di fronte alla soglia, un muretto, quello che più di qualche volta, da bambina, ho rischiato di saltare.
La rampa non era continua ma dopo una serie di gradini, era interrotta da uno spiazzo, un quadrato che, guardato dalla parte del muro, presentava una finestrella. Scrutando attraverso la grata, si vedeva il buio che regnava nella cantina.
Era già buio di una sera di autunno inoltrato. Un mugolio flebile s’ udì provenire dalla grata. Un mantello tigrato era lì posato, con aria noncurante, come fosse uno scialle su una panca. Quel mantello era animato, era vivo, debole, aveva fame.
Non fece cenno di fuggire. “ Quand’è carino!” fu l’ espressione muta che si affacciò alla mia mente. “ Sarà maschio o femmina?” Mi domandai, ma non aveva alcuna importanza saperlo.
“ Cosa mangiano i gatti?” chiesi a mia madre.
Ma lo sapevo da me, era abbastanza piccolo. Era avanzata della carne molto cotta. Ne misi un pezzetto nel piattino. L’ osservai mentre mangiava.
Bisognava trovargli un nome. Mi venne in mente Pixy e cominciai a chiamarlo così.
Non era di nessuno quel gattino o forse era scappato, ma non aveva nessun nastrino o campanellino al collo.
Pensavo già di far valere il mio diritto di proprietà. Era venuto a rifugiarsi alla finestrella ed io gli avevo dato da mangiare. Però desideravo che non andasse via.
Stava per giungere la notte. Presi il piattino mettendo un altro pezzetto di carne dentro ed allontanandomi col recipiente in mano. Scesi la rampa, finita la stessa, sulla sinistra, una rientranza conduceva alla cantina. Poggiai il piattino lì e mi discostai. Dopo un po’ di titubanza, il gattino era lì.
Dovevo aprire la porta della cantina, entrare, portare altro cibo all’ interno ed aspettare.
Non ricordo in che modo ma ci riuscii. Lo chiusi dentro. Per dargli alloggio. Per proteggerlo dalla notte fredda. Per ritrovarlo il mattino seguente. Per accudirlo.
Si sentirono dei rumori. Ci sono tante cose in una cantina... Muovendosi in quel nuovo regno Pixy urtò gli oggetti sparsi qua e là. Di qui i rumori. Prima o poi si sarebbe addormentato... Anche gli animali dormono.
Risalii in casa. Ero contenta e soddisfatta.
La mattina seguente, il primo pensiero andò a Pixy.
Posi l’ orecchio alla finestrella per ascoltare … Niente, era tutto stranamente silenzioso.
Mi domandavo dove fosse. Guardando attraverso la grata non vidi nulla.
Scesi tutta la rampa diretta in cantina. Aprii la porta. Ma dov’ era… mi domandai
Poi sentii il miagolio e lo vidi. Ma gli occhi furono subito attratti da un bottiglione, della capienza di due litri, d’ olio, rotto, rovesciato a terra.
Ci rimasi male. Gli avevo dato da mangiare, gli avevo dato riparo. Ed era così che aveva ripagato la mia generosità?
“ I gatti non si chiudono dentro” aveva subito detto mia madre. “ Vedi cosa ha combinato?”
“ Vattene via, brutta bestia!” dissi allora io dopo aver scovato dov’ era e mandandolo fuori della cantina.
Non capivo, era tutto strano per una bambina come me. Ma non ci si può aspettare da un animale che comprenda. Non si può chiuderlo dentro e pensare che possa capire che tutto è a fin di bene.
Avrei dovuto lasciarlo libero dopo avergli dato da mangiare.
Forse il giorno dopo sarebbe tornato, forse no…
Gli animali non possono capire che certe azioni sono mosse dall’ amore.
Ed è normale. Ma, in realtà, molto spesso, anche gli uomini non riescono a comprenderlo…