Piove. Una pioggia battente. Ci sono state belle giornate ad ottobre, di nebbia iniziale al mattino, ma poi di sole nelle ore centrali del giorno e di brezze leggere. Ma ora piove, da ieri, e le previsioni
non promettono alcun cambiamento. Non che ascolti le previsioni del tempo, forse negli anni passati, quando organizzavo qualche giornata di fuga dal mio quotidiano, uscire con la macchina usando l’ autostrada, sostare in qualche bel posto, sperimentare l’ ennesimo ristorantino. In poche parole, uscire dalla routine. E certo, potendo farlo, sceglievo una bella giornata col sereno, anche d’ inverno.
Ma ora non ha alcuna importanza stare lì alla televisione attenta alle previsioni del tempo o controllare su internet ogni minimo dettaglio. Non cambia nulla tranne che incidere sul mio umore, o meglio stato d’ animo.
L’ umore è talmente variabile e dipende molto da quello che accade durante il giorno
Cammino per strada, la solita via in discesa, con mattonelle sconnesse, l’ ombrello che si ribella, talvolta, all’ improvviso sul capo nel momento meno opportuno (il più antipatico, mi viene in mente, quando tento di tenerlo sulla testa per non bagnarmi e cerco le chiavi nello scomparto chiuso con la cerniera della borsa per aprire la porta. Ecco, allora si chiude).
Cammino e guardo a terra, un mare di foglie ai lati della strada, cartacce e residui minimi, piccoli, un po’ di ogni cosa che nel loro insieme fanno monnezza.
Cammino e da un po’ non so neppure dove vado. Sono passati due mesi dalle scosse di terremoto. E la situazione di precarietà e provvisorietà non sembra finire. Avverto una situazione di disagio sempre più. Talvolta mi abbatto. Vedo vie senza uscita, penso di non poter sopportare l’ idea che nulla tornerà normale. Ma poi ogni giorno mi alzo presto e comincio la mia giornata di lavoro, prima in casa, poi fuori. Il timore di perdere qualcosa o qualcuno s’ accompagna al sentimento di amore per ciò che più che appartenerci, sviluppa in noi un senso di appartenenza.
E’ così con la casa, dove cerco di starci il più possibile, dove non vedo l’ ora di ritornare, dove penso al divanetto su cui fermarmi a leggere qualche pagina, agli armadi con la roba da sistemare, al superfluo da buttare, alle stanze da pulire, a mia madre.
Se non avessi più una casa, penso … e non vado oltre quel pensiero. Se dovessi andare a vivere altrove… E non provo neppure ad immaginarlo.
Ma è così anche con altri luoghi dove senti quel senso di appartenenza, dove per decenni hai svolto il tuo lavoro ed ora lo vedi piagato, leso, insicuro.
Ti sembra di essere un po’ come un cane affezionato al suo padrone che continua ad andare lì dove lui è, anche dopo morto.
Cammino e penso tutte queste cose e mi rattristo, talvolta mi deprimo, allento il passo, come andassi verso una condanna.
Mi attende un luogo dove sono rimasta io soltanto, un posto che hanno definito inagibile, con le sue crepe e lesioni e cedimenti, ma dove io sto tranquilla e non ho paura. Se avessi avuto paura non sarei entrata lì neppure più per un istante. Gli altri invece, in fuga, hanno optato per uno stanzone dove stanno tutti ammassati, tavoli, telefoni, armadi, persone.
E di conseguenza voci, rumori, suonerie di telefoni, carte e cartelle ammucchiate per il poco spazio a disposizione di ognuno, per il caos dovuto al trasloco attuato nell’ immediato in quel posto alle spalle della sede da dove io non sono mai uscita.
Io ho troppe attrezzature troppi armadi e registri e schedari. E un ufficio non è una base di appoggio ed un pc.
Anche per questo non mi sono mossa da lì. Ma è un luogo dove non posso stare, o meglio non potrei, dato che ci sto e dove ormai nessuno mi dice nulla su questa mia decisione e sul mio temporeggiare in attesa che decidano dove trasferirci tutti.
Io qui, loro dalla parte opposta allo stable.
Me e loro ci lega un filo o meglio un cavo che ci collega entrambi ad internet e alla rete dei nostri software di lavoro.
Un filo che passa attraverso finestre che confinano di fronte
E’ un po’ difficile da comprendere perché dovrei scrivere in maniera dettagliata ed affrontare l’ argomento sotto molteplici aspetti.
Manca poco più di una settimana alla fine di ottobre ed oggi piove e comincerà a fare freddo dopo giorni di pioggia insistente. Stiamo andando incontro all’ inverno. Si prospettano soluzioni almeno in teoria, a breve, per quel che riguarda il trasloco. Ma ci crederò solo quando accadrà.
Sto qui seduta alla mia postazione intirizzita, le punte dei piedi sono fredde e pure i calcagni. Forse è colpa dei miei polacchini, saranno divenuti troppo vecchi, stamattina sull’ asfalto facevano cic ciac, quel rumore che producono le scarpe quando passano sull’ acqua. Vorrei il tempo trascorresse veloce. Per tornare a casa e per il mio piatto caldo. E forse, per dopo risentire ancora i brividi nelle ossa come sempre mi accade quando per ore rimango in un clima di basse temperature. Sta ancora piovendo, vedo dal finestrone laterale i tetti lucenti e il cielo di un grigio lattiginoso, assomiglia al maglione che oggi indosso, quasi lo stesso colore, lo accarezzo coi polpastrelli e mi consola quel suo tepore al contatto.