Amir ed Isabella camminavano lentamente, tenendosi mano nella mano, fermandosi a fantasticare di fronte alle vetrine sfavillanti dell’ elegantissima via Condotti, ogni tanto le loro risate ed i loro baci attiravano l’ attenzione di turisti e passanti, era sicuramente un bello spettacolo vedere due giovani così diversi esprimere così bene il concetto dell’ amore.
Non era purtroppo sempre stato così, il loro amore era sbocciato nell’ inferno.
Amir era un giovane rifugiato siriano, arrivato cinque anni prima sulle coste siciliane con una di quelle carrette del mare tristemente famose per l’ ingente numero di morti affogati che si lasciavano dietro nel loro viaggio della speranza di migliaia di nord africani che cercavano di fuggire dalla guerra e dalla miseria. La sua odissea era iniziata quando un bombardamento distrusse la sua casa a Damasco.
Amir viveva una vita sufficientemente agiata, suo padre commerciante, sua madre insegnante, aveva avuto la possibilità di studiare e si era laureato in ingegneria, poi la tragedia immensa in cui era rimasta uccisa quasi tutta la sua famiglia, padre, madre e quattro dei suoi cinque fratelli.
Con i pochi risparmi e la disperazione che si può provare a soli ventiquattro anni ad affrontare il mondo senza alcuna preparazione ma anche con l’ incoscienza di quell’ età, aveva immediatamente pensato di fuggire in Italia insieme alla sua sorellina di quattordici anni.
Erano caduti, come molti purtroppo, nella rete dei trafficanti di esseri umani, ed aveva sperato che con quei soldi avrebbe potuto garantire per se e la sorella un tranquillo viaggio verso la felicità.
La sorellina era stata più volte violentata da quelle bestie che li avevano comprati, ed il suo gracile fisico non aveva resistito alle crudeli attenzioni riservatele, era deceduta tra atroci sofferenze, lontana dal fratello, appena due mesi dopo che erano partiti, Amir dopo aver girovagato di prigione in prigione, più volte passato di proprietà tra bande di assassini, era arrivato nel centro di detenzione di Tripoli ove rimase per oltre otto mesi in una cella dove era stipato insieme ad una cinquantina di altri disgraziati, erano così ammassati che non riuscivano neanche a stare distesi, solo con un po di acqua, bucce di frutta ammuffita ed altri scarti che venivano loro gettati una volta ogni tre giorni.
Arrivò il giorno in cui gli dissero che se fosse riuscito a racimolare 3000 dollari anche per lui si sarebbero aperte le strade per uscire da quell’ inferno.
Riuscì a mettersi in contatto con un suo cugino rimasto a Damasco a cui aveva affidato parte dei risparmi pregandolo di aiutarlo e quando finalmente riuscì ad imbarcarsi su uno scafo semi- distrutto sperò in cuor suo di morire senza soffrire.
Durante il viaggio già alcuni compagni erano deceduti asfissiati dai vapori del carburante ammassati nella stiva della barca.
Il destino volle che la sua carretta fosse soccorsa e rimorchiata da una nave della marina italiana e dopo alcuni giorni di navigazione arrivò a Pozzallo, dove fu trasferito in uno dei punti di accoglienza e dove rimase ulteriori nove mesi.
Amir era un ragazzo intelligente, colto, e capì che doveva fare qualcosa se voleva salvarsi ed iniziare una nuova vita anziché finire a fare da manovalanza sotto pagata nei terreni agricoli o peggio tra le file di spacciatori manipolati da mafia e malavita locale.
Un giorno insieme ad altri due siriani riuscì a salire su un traghetto poi su un treno per Roma, anche nella città eterna era passato da un centro all’ altro, però aveva avuto la fortuna di riuscire a sbarcare il lunario facendo dei lavoretti in un negozio di elettronica, mettendo a frutto i suoi studi.
Un giorno proprio mentre si recava al suo lavoro, stava attraversando viale Trastevere quando vide che una ragazza era rimasta bloccata con un tacco dei suoi stivali nel binario del tram, cominciò ad urlare per richiamare l’ attenzione sia della ragazza che del conducente del tram che stava sopraggiungendo, ma il rumore del traffico evidentemente copriva le sue urla, la ragazza continuava a cercare di togliere il tacco bloccato e visto che non ci riusciva iniziò a cercare di aprire la zip per togliersi lo stivale.
Amir capì che non avrebbe mai fatto in tempo, spiccò un salto correndo all’ impazzata, la prese sotto le ascelle e rotolando insieme a lei sull’ asfalto riuscì a sbloccare lo stivale proprio mentre il tram sopraggiungeva.
In breve intorno ai due si creò un capannello di persone, i due ragazzi erano malconci ma salvi, tutti gli astanti, che avevano assistito terrorizzati alla scena, ora battevano una pacca sulle spalle di Amir per congratularsi per l’ atto eroico che aveva compiuto.
Amir sembrava ancora non rendersi conto di ciò che era successo, si sentiva dolorante ad un braccio, i pantaloni strappati e tra le sue braccia una bellissima ragazza con i lunghi capelli scuri semi- svenuta.
Era stata chiamata un’ ambulanza che li aveva prelevati tutti e due e portati all’ ospedale, mentre l’ autista del tram, ancora stravolto raccontava per l’ ennesima volta il gesto estremamente tempestivo ed eroico compiuto dal ragazzo che aveva evitato un tragedia terribile.
All’ ospedale i due dopo le medicazioni e gli accertamenti del caso, fortunatamente non gravi e senza conseguenze erano stati portati in una stanza in attesa di essere dimessi.
Amir guardava la ragazza ancora scioccata seduta accanto a lui, cercò di rassicurarla, le prese una mano e si presentò, anche Isabella fece il suo nome lasciando la sua mano, ancora tremante in quella di Amir, capì che a quel bellissimo ragazzo doveva la vita, capì che sentiva di amarlo profondamente ma non pronunciò parola.
Per quell’ atto eroico dopo poco tempo fu ricevuto dal Presidente della Repubblica che consegnò nelle mani di un Amir estremamente commosso la cittadinanza italiana per meriti civili.
Dopo qualche giorno entrambi erano stati convocati dal giudice istruttore che stava svolgendo le indagini sull’ incidente.
Appena Amir rivide Isabella sentì il cuore salirgli in gola, le andò incontro e l’ avvolse con le sue lunghe braccia, Isabella si abbandonò in quell’ abbraccio così rassicurante, i loro occhi si incontrarono e rimasero gli uni dentro gli altri per interminabili minuti.
"Beh ragazzi ne avete ancora per molto?, io vorrei anche andare a pranzo" era la voce del magistrato che li riportava sulla terra.
Finito il colloquio uscirono dalla stanza, e le loro labbra si unirono in un bacio in cui scaricarono tutta la loro passione, si presero per mano e si avviarono all’ esterno dell’ austero palazzo.
Il papà di Isabella guidava una importante azienda di costruzioni stradali, il minimo che poteva fare per quel ragazzo che gli aveva ridato la figlia era assumerlo nell’ azienda, dove Amir riuscì a farsi amare da tutti i colleghi, senza suscitare invidie o rancori.
Dopo due anni si sposarono, ebbero tre figli meravigliosi con una pelle ambrata e occhi scuri bellissimi.
L’ inferno era finalmente finito e si era colorato di azzurro.