Dopo due matrimoni, una separazione lunga, stancante e dispendiosa avevo deciso di mettere una bella croce sull’ aggettivo uomo, bisognosa di ritrovare i miei spazi, le energie per potermi fidare di nuovo. Un trasloco è quello che ci voleva.
La nuova casa era molto più piccola, ma non era affatto male, necessitava di qualche lavoretto, una rinfrescata, darle un tocco più femminile e meno austero. Ci voleva colore, quache foto o poster, dovevo darle la mia impronta. Mi aspettavano sudate da guinnes, macchie di vernice fra i capelli, muscoli dolenti, ma le gratificazioni sarebbero state un bel premio. Ero padrona, stavolta, e potevo fare cosa mi passava per la testa.
Da casa vecchia portai via quello che mi ero pagata di tasca mia, il resto lo lasciai temporaneamente in cantina, mancavano un paio di scatoloni. Ci avrei mandato mio fratello, avrei evitato frasi di circostanza, lacrime di coccodrillo, retorica e forse anche le botte. Il compagno bastardo aveva mandato messaggi molto coloriti, prontamente recapitati al mio avvocato.
Il giorno del processo si stava avvicinando.
Dopo denunce, offese, diffide, un polso rotto, botte e tradimento, il capolinea era dietro l’ angolo.
Il gruppo di sostegno non fece un gran bel lavoro, le idee per quanto lodevoli e buone non potevano trovare compimento, la legge in questo paese non era all’ altezza. Hai voglia di scarpe rosse, movimenti, cori, manifestazini e sit in, serviva ben altro. Alla prima violenza domestica sfociata in uxoricidio, si doveva procedere senza indugio, colpo alla nuca, bara di pino e 180 centimetri di terra sopra.
Se i buonisti, i garantisti e l’ omino bianco che si sporge e si specchia dal balcone, non fossero stati d’ accordo si poteva riservare lo stesso trattamento, “ Quante donne hanno ucciso? Quante soffrono ancora in silenzio?.
Va bene il discutere, avere idee diverse, non parlarsi, mandarsi a fare in culo, ma oltrepassare certi limiti, è da ergastolo o pena di morte.
Non sono finita al camposanto per pura fortuna, dopo l’ultima lite senza senso, sfociata poi in violenza, stufa, stanca e satura, gli rifilai una ginocchiata nei coglioni, cadde come una pera matura, il corso di kick boxing dette i suoi frutti. Dal giono che mi sono ribellata non ha più alzato mano.
Non avevamo figli deo gratias.
Eravamo mondi lontanissimi, pianeti che per uno strano caso si ritrovarono nella stessa galassia. Se avere un compagno che mi riempiva di corna come un cesto di lumache, trattata come un buco da riempire, meglio un vibratore; almeno non dovevo lavargli i calzini e le mutande con le patacche di idrosperma, ritrovarmi al pronto soccorso piena di lividi. Certo, avessi saputo, mi sarei chiusa in convento e me la sarei cucita con il filo spinato. Quanto tempo ho perso...
Sbuffai facendomi la coda, una vampata di ansia mi chiuse la gola e mi bagnò le scapole.
Adesso mi serviva equilibrio, ripartire da zero, una ristrutturazione era quello che mi serviva.
Come zona tendianzialmente tranquilla, un bel giardino pubblico sul davanti con due aree di sgambatura. Sul retro, un piccolo appezzamento di terreno dove sorgevano gli orti urbani, tutti abusivi, ma facevano colore, almeno non c’era solo cemento. Un paio di vicini veramente rompicoglioni e una matta gattara, ma tutto sommato poteva andare peggio. Un supermarket, farmacia, panetteria a dieci passi.
Dopo tanto inferno, se non potevo aspirare al paradiso, mi andava bene pure questo limbo.
La notte c’ era silenzio, qualche sirena ed i soliti dementi che si divertivano a sgassare con le moto, ma poco altro. Dovevo contentarmi, avessi avuto i soldi me ne sarei andata via dalla Toscana e forse anche più fuori. Le settimane volavano e la primavera si stava avvicinando a grandi passi, l’appartamento era quasi finito, mancava un cane o un gatto, avevo solo un piccolo dubbio: comprarlo o adottarlo?
Fine I parte