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♦ Marina Demelas |
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Non so perché, ma il ricordo più antico della mia vita è legato ad un episodio accaduto quando avevo, credo, poco più di tre o quattro anni. Non è un sogno, è uno di quei ricordi veri e vivi, con i loro suoni, le loro scenografie, le loro emozioni, come solo i fatti reali riescono ad essere ed a rimanere impressi come scolpiti nella nostra immensa memoria. Doveva essere il mese di luglio o agosto, ci trovavamo in vacanza a Fabrica di Roma, un paesetto in provincia di Viterbo, in una casetta che mio padre aveva preso in affitto per un mese, credo, come faceva tutti gli anni, nell’ illusione di concedere un po’ di riposo a mia madre, che ovviamente invece, lavorava come e forse più di quando eravamo a Roma, per una famiglia, allora, di 5 persone, genitori e tre figli. La prima e più nitida immagine che mi torna in mente è di mia madre, distesa su un letto a piangere, su uno di quei lettoni in ferro battuto, altissimi di una volta, ed io che aggrappandomi alle lenzuola cercavo disperatamente di arrampicarmi sopra. Perché mia madre piangeva? nulla di grave fortunatamente, semplicemente io ne avevo combinata una delle mie. Ero andato con il figlio dei proprietari della casa, che più o meno aveva la stessa mia età, a fare una passeggiata per la campagna circostante, a quel tempo non c’ erano i pericoli di adesso, circolavano pochissime auto, ed in campagna poi erano rarissime, vagabondando ci eravamo addentrati in un enorme faggeto, o comunque una boscaglia, e girando avevamo ben presto perso l’ orientamento sino a non ritrovare la strada di casa. La cosa tutto sommato non ci dispiaceva, continuavamo a bighellonare nella nostra foresta, ci sentivamo padroni del nostro destino, giovani esploratori erranti, sino a che, spinti dalla fame avevamo cominciato seriamente a cercare di trovare la via del ritorno. Era ormai da molto passata l’ ora del pranzo, ed a casa i miei genitori come anche i proprietari della casa si erano ovviamente allarmati per la nostra assenza, mio padre e quello del mio amichetto erano andati in giro a cercarci senza esito. Quando alla fine riuscimmo ad uscire dal bosco e vedemmo in lontananza la nostra casa, entrambi cominciammo a correre, entrammo senza essere visti ed io andai, col fiato in gola, alla disperata ricerca di mia madre....... la trovai in quella strana posizione, stesa sul letto, singhiozzante e come priva di forze. Mamma.... mamma...... la chiamavo con forza, con la voce strozzata, mentre cercavo di arrampicarmi sul letto, lei girò il viso pieno di lacrime, allungò il suo braccio verso di me, ancora incapace di pronunciare una parola, io mi ci attaccai e finalmente riuscimmo ad unirci. Mi stringeva forte a se, sentivo il suo respiro affannato, il suo calore infuocarmi le guance, la forza delle sue braccia incatenarmi in una stretta avvolgente e appagante, mentre ancora le sue lacrime mi bagnavano il naso e le labbra. Ero felice, strafelice, non volevo pensare alla punizione che sicuramente mio padre mi avrebbe inflitto, ero tra le braccia di mamma e tanto mi bastava.
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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Una bella lettura per ragazzi ed adulti sensibili! (Galante Arcangelo)
Bravo, come al solito, Enrico! (Galante Arcangelo)
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