Le rette parallele non si incontrano mai, e quelle perpendicolari una volta sola.
Appena nati, e forse ancora prima, nel grembo materno, ad ognuno di noi viene assegnata una retta (più o meno diritta) da percorrere per un tempo più o meno lungo.
E non poche volte viaggiamo su rette parallele a quelle di tante altre persone (con gli stessi gusti, le stesse tendenze, le stesse preoccupazioni), che però, proprio perché parallele, sono destinate a muoversi nello spazio magari molto vicine, ma sempre separate (quando succede, per un capriccio, per una sbavatura geometrica, che le due rette incidentalmente si toccano - come nel caso delle anime gemelle, o dei coups de foudre -, noi stentiamo alquanto a perpetuare la soave realtà di quell’ incidente, abituati come siamo alla supposta perfetta precisione della geometria) .
Le rette perpendicolari, invece, hanno la certezza di incontrarsi in un punto, per poi dirigersi immediatamente verso direzioni opposte.
Il poeta viveva su una retta perpendicolare a quella dello stimato professionista. Era naturale che un giorno esse s’ incrociassero e, quando ciò accadde, il poeta e il professionista si accorsero (solo per un attimo) di stare vivendo una vita sbagliata: il poeta perché non aveva solidi ancoraggi con la vita pratica, e il professionista perché curava soltanto i suoi interessi materiali, senza mai affacciarsi seriamente sul mondo dell’ arte.
Quell’ urto, quello choc durò, com’ era logico, solo un momento, un momento che però talvolta riuscì a far pensare a entrambi, nel resto della loro vita: "Che sto facendo? "
Ognuno invidia sempre la retta dell’ altro, e vorrebbe abbandonare la sua per impossessarsene, dimenticando però di avere un destino già segnato, quel destino che è solamente suo, che non si può cambiare, e che forse neppure varrebbe la pena di cambiare.
Ora entrambi, il poeta e il professionista, quando si ricordano di quell’ incontro pensano che aveva proprio ragione un rabbino dell’ Europa orientale, Nahum, che nell’ Ottocento disse: "Se noi potessimo appendere le nostre afflizioni a un chiodo, e fossimo liberi di sceglierci quelle che ci piacciono di più, ciascuno si riprenderebbe le sue, ché tutte le altre gli sembrerebbero peggiori. "