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♦ Rita Angelini |
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Era il più bullo fra i bulli, non passava mattina che vessasse gli altri ragazzi, alle volte se la prendeva pure con le bimbe, raramente e per fortuna con i ragazzi down. Richiami, sospensioni, rapporti, ma nulla, continuava imperterrito, ogni giorno andare a scuola era un’ odissea. Ansie e paura di essere presi di mira, di essere malmentati, scherniti. Ai più fortunati veniva rubata la merenda, penne o quaderni, altri venivano chiusi nei bagni delle ragazze, altri presi a pappine. Nessuno faceva la spia, avevano tutti paura, genitori preoccupati di vedersi arrivare il figlio picchiato e provato nell’ orgoglio. Non era vita, pensare che gli anni delle medie dovrebbero essere sereni e divertenti. Fumava nei bagni, sequestrava il registro, ogni tanto sfregiava le macchine dei docenti, faceva confusione senza provare remore, compiva ogni malefatta gli passasse in mente. Aveva una famiglia praticamente assente, nessun controllo. Le insegnanti erano sature e stanche, ma non potevano fare nulla. Una mattina dette uno schiaffo ad un mio amico che portava gli occhiali, gli ruppe il naso e gli spaccò la montatura. Altre sospensioni, ma nulla, tornava più cattivo che mai, molti di noi facevano brucia pur di non essere bersagliati. Il primo anno fu molto molto duro, venne bocciato e gran parte di noi fu sollevata, se non altro eravamo salvi. Durante i primi giorni dell’ ultimo quadrimestre, il preside entrò in classe " Ragazzi questo è il vostro nuovo compagno, vi presento Aurelio." Era un ragazzo disabile, aveva le stampelle, problemi alle ossa o qualcosa di simile, si sedette accanto a me, mi prese un po’ di inquietudine. Alla ricreazione molti scendevano in cortile, alcuni restavano in aula, io restavo per non essere schernito, mi sarebbe piaciuto uscire, ma avevo troppa paura. Una mattina di febbraio, chiesi di andare in bagno, non mi sentivo molto bene, entrando trovai Michele, il bullo, mentre scriveva parolacce sul muro, mi guardò con occhi spiritati e fuori delle orbite. Mi si gelò il sangue, non sapevo che fare, avevo pure mal di pancia. Non potevo tornare in classe e fare la spia, sarebbe stata la mia condanna, speravo se ne andasse e non mi desse fastidio. Chiusi la porta e mi sedetti sul water, sudavo freddo e tremavo. Appena uscito, mi afferrò per la gola, mi alzò da terra e mi imbrattrò il viso con il pennarello nero. Provai a lavarmi alla meno peggio con l’ acqua, ma non fu una bella pensata, l’ inchiostro mi finì negli occhi, in bocca, nel naso, ricevetti uno schiaffo sulla nuca. Tornai in classe piangendo, bagnato, tremante, arreso... Dei compagni risero, altri avevano capito, l’ insegnate mi guardò mortificata; venne al mio banco e mi prese per mano, andammo in infermeria, mi dette una coperta ed un thè caldo. " Aspetta qua, telefono a tua mamma, le dico di venirti a prendere ". Piansi ancora. Arrivato a casa, mi misi a letto, vevo un po’ di febbre, strinsi il mio orsacchiotto, sperando mi desse coraggio.
Fine I parte
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