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Conchita, el Matador

Ragazzi

Era il giorno dell’ esordio di Conchita come torero nella grande arena di Madrid: la Plaza de Toros, l’ anfiteatro famoso in tutto il mondo per le corride.

Insieme a lei debuttavano tanti altri giovani giunti da ogni angolo del paese con il desiderio di diventare grandi toreri.

Conchita era semplicemente splendida. Indossava il costume tipico di un matador: “ Trajes De Luces” in lingua spagnola, azzurro come il cielo limpido di primavera e fulgido come solo il firmamento, tempestato da miliardi di stelle.

Era emozionatissima quando fece il suo ingresso nell’ arena, quasi tremava, ma cercò di marciare fiera e orgogliosa, a fianco dei compagni altrettanto emozionati.

La madre della ragazza si era indebitata per permetterle di frequentare la famosa scuola per toreri, che si trovava a poche centinaia di metri da quell’ arena.

Conchita le era grata per i tanti sacrifici! Quante ore aveva dovuto faticare andando a servizio da alcune delle famiglie più agiate della capitale. Le stesse famiglie che in quel momento erano sugli spalti a salutare l’ ingresso degli aspiranti matadores nel grande cerchio della pista in cui si dovevano esibirei giovani toreri, dando prova di abilità, destrezza e coraggio.

La ragazza impugnava tra le mani le “ banderillas de fuego” armi che, all’ inizio dell’ esibizione doveva tentare di conficcare nel corpo del toro evitando di colpirne le parti vitali, in maniera che lo spettacolo, costituito dalla sfida dei vari “ matadores” con l’ animale, durasse più a lungo possibile. Così come l’ agonia della povera bestia.

I giovani matadores fremevano e ad alcuni l’ emozione faceva brutti scherzi. Tuttavia, seppure le gambe tremavano, tentavano di darsi un tono nascondendo le loro paure al grande pubblico presente sugli spalti.

Passato il primo momento, Conchita raddrizzò le spalle e tirato un grosso respiro, si concentrò su tutto quello che aveva imparato in quegli anni a proposito dei tori e delle varie tecniche di combattimento.

Quando fu il suo turno di entrare nell’ arena, il pubblico trattenne il fiato. La sua lunga treccia del colore dell’ oro puro e il suo splendido vestito, catturavano i raggi del sole, emanando bagliori.

« Conchita! Conchita!» l’ acclamarono tutti, mentre un lungo applauso s’ espandeva tra gli spalti.

“ Forse” pensò Conchita “ Tanto entusiasmo è dettato dal fatto che sono una delle prime e forse unica, tra le ragazze, a osare un combattimento con un toro.”

Conchita sospirò. Poteva essere orgogliosa di se stessa. Aveva dovuto superare tante difficoltà prima di poter scendere sull’ arena. Oltre quelle fisiche, che l’ avevano vista affrontare duri allenamenti per poter competere con la prestanza fisica degli altri allievi, anche quella dell’ arretratezza mentale di tante persone, che vedeva il genere femminile circoscritto in ruoli marginali.

E ora invece, lei era lì e, davanti alla folla esultante, se ne sentiva fiera.

Come tradizione, si diresse verso le tribune dove era seduta la persona più cara al torero e nel suo caso, sua madre. Conchita aveva il cappello tra le mani, lo alzò alto verso il cielo e lo lanciò. La madre, con un misto d’ orgoglio e commozione prese al volo l’ omaggio e ricambiò con un bacio affettuoso la sua figliola.

Tutta l’ arena scoppiò in un applauso fragoroso: quella corrida era stata dedicata. Solo allora la ragazza si posizionò al centro della pista, nella classica postura del torero: schiena dritta, testa alta e braccia tese all’ ingiù, a dimostrazione del coraggio e della sfida lanciata al toro scalpitante e in attesa.

In una mano aveva la “ muleta” e nell’ altra teneva le “ banderillas”.

Conchita cercò di escludere dalla mente il clamore suscitato dalla folla e concentrò la sua attenzione sull’ animale.

Ecco, ora era pronta. La sfida poteva iniziare. I suoi piedi cominciarono una sorta di balletto, battendo ritmicamente sull’ impiantito, mentre con la mano scuoteva la rossa “ muleta”, cercando di attirare l’ attenzione del toro, per incitarlo al combattimento.

Il toro fermo, in attesa, già provato dalle ferite procurategli dalle “ picas dei picadores” a cavallo la stava guardando.

La ragazza per un attimo ebbe l’ impressione che l’ animale stesse esaminandola, soppesando il suo valore. Tuttavia, fu solo un attimo.

Conchita si diede della sciocca. Come poteva pensare che un toro fosse in grado di esprimere un giudizio? Aveva sempre creduto che i tori non fossero intelligenti, che agissero per istinto e non perché “ pensassero”.

La ragazza si avvicinò, pronta a infliggere le sue stoccate, spronata dal pubblico che aveva cominciato a scandire all’ unisono « Olè! Olè!»

« Aca Toro! Aca!» era il grido di Conchita verso l’ animale sempre fermo.

« Aca, aca!» ripeteva, battendo i piedi sull’ impiantito e spronandolo a muoversi. Ma il grande toro continuava a ignorare quell’ invito a combattere.

Conchita cercò gli occhi del grande animale e li trovò. Uno sguardo limpido, puro e interrogativo che le suggeriva: Perché fai questo ragazza?

La giovane trasalì. Aveva sentito davvero quella voce o era soltanto frutto della sua fantasia?

Si guardò persino alle spalle, forse aspettandosi di vedere qualcuno, entrato sulla pista per sbaglio. Ma non vi era nessuno.

Sono qui, davanti a te!

Conchita guardò esterrefatta il toro.

Sì, sono io che sto parlando! Di che ti meravigli? Un animo ancora puro come il tuo, è in grado di sentire le voci del mondo intero. Ma dimmi ragazza, perché fai questo? Credi davvero che sia giusto uccidere in questo modo un povero animale?

Conchita arretrò d’ istinto. Che follia era quella? Tuttavia non seppe rispondere a quella domanda inaspettata e così precisa. Il toro si avvicinò ancor di più, mentre il pubblico iniziava a rumoreggiare. Evidentemente non gradiva quell’ esitazione.

« Mi è stato insegnato così.» disse, mormorando tra sé, nel timore di essere udita da qualcuno. « Quale morte più onorevole e gloriosa per un toro, se non perire in combattimento?»

Ragazza, ti sembra uno scontro alla pari questo? Un gruppo di uomini armati che fanno di tutto per ore, cercando di ferire e d’ indebolire un animale, provocandolo, stuzzicandolo e colpendolo a tradimento! È combattere questo?

Conchita si sentiva sempre più confusa. “ Che diamine sta succedendo?” pensò, turbata. “ Sono qui che parlo con il toro! Sto sognando o delirando?”

Si guardò intorno e vide chiaramente alcuni spettatori più vicini all’ arena sorridere con ironia e disprezzo.

Conchita s’ infuriò:

« Certo che è combattimento! Tu non sei una creatura indifesa! Hai le corna che sono un’ arma micidiale. Possono ferire sino a uccidere. Combattiamo alla pari toro!»

Non è vero ragazza! Tu possiedi un’ arma che fa la differenza. Hai il pubblico dalla tua! Una folla intera che desidera la mia fine! Non è lottare alla pari questo!

« Aca toro! Aca!» urlava il pubblico e Conchita alzò il volto e rivolse uno sguardo circolare a sfiorare gli spalti dell’ arena, dalle prime tribune d’ onore all’ ultima gradinata in alto.

Ora la folla rumoreggiava in modo clamoroso. Il pubblico era chiaramente deluso. Tutti si erano resi conti che qualcosa non andava e avevano percepito l’ esitazione della ragazza come paura.

Anche gli organizzatori se ne erano avveduti e s’ affrettarono a dare l’ ordine ad alcuni toreri di entrare nell’ arena.

In tutta fretta i matadores si posizionarono tra la ragazza e il toro, mentre uno di loro affiancò Conchita e iniziò a sospingerla verso l’ uscita.

Una marea assordante di fischi rivolti verso la ragazza piovve sulla pista.

Conchita, seppur confusa da quanto stava avvenendo, non riuscì a lasciare l’ arena in quel modo oltraggioso.

Il suo sguardo corse alla madre, la persona che aveva più cara al mondo e vide che stava piangendo. Erano lacrime di vergogna e di delusione.

“ No! Non posso andarmene in questo modo!” si disse. Ma, soprattutto, sentiva che non poter abbandonare nemmeno il toro.

In quel momento vide chiaro dentro di sé. Presa la sua decisione, si liberò della stretta del torero che la sospingeva e si diresse di nuovo a fronteggiare l’ animale.

Il pubblico, che aveva seguito tutta la scena si alzò in piedi, gridando: « Olè Conchita, olè!»

Ma lei ignorò ancora una volta l’ esortazione a combattere, si avvicinò al toro e si mise al suo fianco, allargò alta la “ muleta” in una sfida imprevista e clamorosa verso i toreri presenti nell’ arena.

« Aca, aca!» era il suo slogan, mentre guardava determinata negli occhi i suoi compagni.

L’ alito caldo dell’ animale sfiorò la sua mano. Il muso del toro dava piccoli colpetti al braccio di Conchita. Un fatto che sembrava incredibile: la folla si ammutolì. Non si era mai vista una scena così all’ arena di Madrid e in nessun’ altra parte al mondo. Non era naturale che un toro, per di più ferito, si comportasse in modo così mansueto.

Che piega assurda aveva preso quella corrida.

Una ragazza torero, che sembrava impazzita, si era schierata al fianco dell’ animale che avrebbe dovuto combattere e ora sfidava anche il gruppo di toreri accorsi per battersi contro l’ animale.

Gli spettatori erano tutti in piedi, sospesi in un silenzio irreale.

A Conchita sembrò che il tempo si fermasse, o meglio che rallentasse la sua corsa. Era come assistere a un film la cui pellicola scorreva al rallentatore. La voce del toro, possente ma dalla dolce inflessione, la riscosse dai suoi pensieri: Grazie ragazza! Appariva incredibile, ma quella voce sembrava rotta dall’ emozione. Conchita lo guardò e vide due stelle luminose nei suoi occhi miti. Erano lacrime.

Fece una carezza al muso dell’ animale e rispose: « Sarò al tuo fianco, ovunque ci porterà il destino, non ti abbandonerò. Ora capisco l’ errore fatto.»

E rivolgendo di nuovo lo sguardo verso i toreri e verso il pubblico, lanciò alta la sua sfida: « Olè! Olè!»

Un attimo di silenzio e il pubblico rispose unanime: « Olè! Olè!»

I toreri, rimasti immobili sulla pista, non sapevano che fare. Mai prima d’ allora una corrida aveva preso un risvolto così inverosimile. I loro occhi puntarono verso gli organizzatori, ma nemmeno i capi riuscivano a capacitarsi e a capirci qualcosa, e soprattutto sembravano incapaci di prendere qualsiasi decisione. Che cosa bisognava fare?

Ancora qualche attimo d’ indecisione e poi uno dei toreri prese l’ iniziativa camminando a passo deciso verso quella ragazza alta e fiera che con tanto coraggio e determinazione stava sfidando i compagni toreri e il pubblico. Conchita affrontava il mondo intero per salvare il toro.

Tra il pubblico serpeggiò un vivo interesse; quale altra cosa eclatante poteva succedere quel giorno?

Seguirono con il fiato sospeso ogni mossa del torero. L’ uomo raggiunse Conchita e quindi, si posizionò a fianco della giovane nella postura d’ attesa, con la “ muleta” aperta verso gli altri toreri.

Il suo gesto venne subito imitato da un altro matador e un altro ancora, fino a che tutti i toreri formarono un muro di “ muletas” attorno all’ animale, facendolo sparire agli occhi della folla.

Un boato di meraviglia echeggiò nella grande arena.

Furono poi gli organizzatori a decidere. Uno di loro si alzò in piedi e alla maniera degli antichi romani levò alto il pollice verso il cielo, decretando così la salvezza del toro.

La folla proruppe in un applauso fragoroso e liberatorio. Il toro era salvo.

Conchita pianse calde lacrime abbracciando il nuovo amico, poi alzando lo sguardo vide sua madre che ora se ne stava ritta e fiera in mezzo alla folla che applaudiva.

Conchita era diventata la nuova eroina dell’ arena di Madrid.


Vivì 14/09/2017 11:22 1638

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«Favola pubblicata nella raccolta " Le favole di Gigagiò" edito dalla Apollo edizioni nel 2011»

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