Bea affrettava il passo, stava per imbrunire e per di più una pioggerillina fastidiosa diventava sempre più insistente. Si strinse il bavero attorno al collo e si infilò nel viottolo scuro, che di solito faceva per accorciare il tragitto verso casa. Abitualmente usciva prima dall’ ufficio, ma quella sera aveva dovuto partecipare ad una riunione importante in cui si doveva decidere la sorte di tante famiglie, l’ azienda dove lavorava, aveva delle grosse difficoltà finanziarie e si trovava costretta a licenziare molti lavoratori.
Da quando era morto il suo vecchio datore di lavoro, gli era subentrato il figlio nella gestione dell’ impresa, ma l’ inesperienza e soprattutto l’ incoscienza delle sue azioni, avevano creato una situazione disastrosa.
Bea non aveva mai avuto timore di camminare da sola al buio, ma stranamente quella sera, un’ impercettibile inquietudine si era impossessata di lei, insospettita si guardava attorno ed ogni tanto si arrestava avendo avuto l’ impressione di essere seguita.
All’ improvviso qualcuno le saltò addosso, tappandole la bocca con la mano, poi la trascinò in un angolo, lei cercò di liberarsi ma la forza brutale dello sconosciuto la teneva ben stretta. Sgranò gli occhi terrorizzata mentre lui le fu di sopra. Cominciò a strapparle i vestiti, le sue mani si infilarono dappertutto, si dibatté ma questo non fece che aumentare l’ eccitazione dell’ uomo, che con violenza facendosi largo fra le sue gambe s’ impossessò di lei ma non solo del suo corpo ma anche della sua anima.
Sentiva quel corpo estraneo dentro di lei, che le stappava la vita. Urlò, ma un pugno in faccia stroncò il suo grido in una smorfia di dolore, tramortendola. Non sapeva quanto tempo fosse durato quel supplizio, un secondo, un minuto o un’ ora, per lei fu solo interminabile.
Credette di morire o forse pensava che l’ avrebbe uccisa… poi finalmente, l’ uomo dopo aver versato dentro di lei tutto il suo piacere, fuggì lasciandola senza più forze, come un oggetto che si butta via quando non serve più. Ora la pioggia cadeva copiosamente e lei era riversa in un pozzo d’ acqua sporca, già sporca, proprio come si sentiva lei, insudiciata da quell’ individuo che poteva solo essere definito una belva.
I lampioni accesi, illuminarono il suo viso, diventato una maschera di dolore e sangue. La loro luce aveva un non so che di sinistro e di beffardo, unici testimoni di quel terribile crimine. Restò così, senza potersi alzare, poi trovando un po’ di forza, appoggiandosi al muro, riuscì a farlo.
Il suo corpo fu scosso da tremiti incontrollabili, le gambe le tremavano reggendola a malapena. Un cane le si avvicinò annusandola, lei si scansò fissandolo con terrore e l’ animale si allontanò lasciandola in pace. Si guardò in giro e si accorse che era sparita la sua borsa con tutti i suoi effetti personali, compreso le chiavi di casa. Per fortuna ne lasciava da sempre, una copia sotto lo zerbino, poi sentì vibrare qualcosa, sussultò, era il suo cellulare che aveva in tasca, per fortuna non l’ aveva messo in borsa.
Pensò che forse avrebbe dovuto chiedere aiuto, ma non l’ avrebbe fatto… non voleva che gli altri sapessero, nessuno avrebbe mai dovuto sapere quello che le era accaduto. La stava chiamando sua madre, lo faceva tutte le sere per vedere se era rientrata. Rispose cercando di sembrare più normale possibile, anche se la sua voce tremante la tradiva.
“ Si mamma, tutto a posto, no… tranquilla non ho nulla solo un tantino raffreddata, ok… a domani, un bacio”.
Tirò un sospiro di sollievo era riuscita a non far trapelare il suo sgomento. Le auto sfrecciavano veloci, incuranti di quella donna che camminava con difficoltà e con gli abiti a brandelli. L’ indifferenza, ormai è il biglietto da visita di una società abituata al male, dove non ci si sofferma davanti al dolore ma si fa finta di non vedere.
Era quasi arrivata, un altro isolato ed era al sicuro, s’ infilò nel portone con la speranza di non incontrare nessuno nell’ atrio e nelle scale, e così fu. Una volta dentro, mise la catenella di sicurezza, quell’ uomo aveva le sue chiavi ed i suoi documenti, quindi poteva rintracciarla come voleva. Avrebbe dovuto cambiare la serratura e fare denuncia per lo smarrimento dei documenti, ma questo, forse lo avrebbe fatto domani.
Si rifugiò in bagno, infilandosi sotto la doccia, iniziò a lavarsi, sfiorando la pelle dolorante, prima piano e poi sempre con maggior rabbia, quasi a voler cancellare l’ orrore e l’ odore estraneo dal suo corpo. L’ acqua scivolava su di lei ma era come se non la bagnasse, il puzzo se lo sentiva dentro, si era impadronito di lei, della sua mente, della sua anima. Quasi si trascinò a letto, si coprì fino al mento, rannicchiandosi in posizione fetale, per ritrovarsi, per ritrovare il ventre che un tempo l’ aveva protetta. Aveva lo sguardo perso ed il cuore inabissato e restò così fino all’ alba.
Aveva smesso di piovere ed un timido sole le apparve fra le nubi ormai svuotate. Le dava fastidio quella luce inopportuna sulle sue sofferenze, il buio era la sola cosa che le facesse compagnia, per non vedere… per non vedere ciò di cui un uomo fosse stato capace di farle.
Si alzava solo per andare in bagno e poi ripiombava nel nulla, per non farla stare male rispondeva solo a sua madre anziana. Non ricordava più che giorno fosse e quanti giorni fossero passati quando chiamò qualcuno che le chiese: “ Ti è piaciuto?”
Riconobbe la voce camuffata ma riconoscibile, non rispose, restò per alcuni infiniti minuti senza poter dire nulla ed alla fine esplose, la rabbia repressa fino a quel momento eruttò come la lava da un vulcano che fino a quel momento era rimasto dormiente. Riconobbe in quella voce pastosa colui il quale aveva distrutto il suo mondo, e purtroppo, non era lontano dalla sua vita.
Urlò: “ Bastardo… pensi di aver vinto?”
L’ uomo riattaccò, Bea adesso sapeva cosa doveva fare, si vestì in fretta e con fare deciso si recò presso la più vicina stazione dei carabinieri. Un giovane appuntato le chiese cosa desiderasse, lei con voce ferma e senza alcun ripensamento rispose: ” Voglio esporre una denuncia per stupro.”
Il carabiniere chiese se sapeva chi fosse il suo violentatore, lei scandì il nome a voce alta: ” Mario Colelli.”
Nell’ udire quel nome, il carabiniere sorpreso le domandò: ” Chi l’ imprenditore? Ne è proprio sicura, l’ ha visto in faccia?”
Bea ribadì: ” Si, sicurissima ho ancora il suo schifo addosso.”
Vedendo la donna sicura di sé, l’ uomo continuò nell’ esposizione raccogliendo la deposizione. Poi chiamò i colleghi ordinando loro di procedere con il fermo.
Bea chiese se poteva esserci anche lei, varcarono l’ ingresso della ditta dove aveva lavorato per molto tempo e si recarono presso gli uffici. Tutti gli impiegati erano incuriositi e sorpresi di vederla dopo giorni ed in compagnia delle forze dell’ ordine.
Gli agenti chiesero: ” E' lei il signor Mario Colelli?”
L’ uomo sbiancò in volto rispondendo: ” Si ma cosa volete?”
Quando vide Bea si tradì, infatti l’ istinto fu di fuggire, ma venne bloccato prontamente.
Bea gli si parò davanti, urlandogli: ” Le persone come te, abituate ad avere tutto, quando non possono avere una cosa la rubano. Tu mi hai rubato la vita e non hai diritto di vivere come se non avessi commesso nulla… non sperare di cavartela come hai sempre fatto, pagherai fino alla fine dei tuoi giorni, perché il rimorso ti perseguiterà.”
Fu portato via fra il brusio generale, Bea attraversò i corridoi a testa alta, non doveva vergognarsi di nulla, lei purtroppo era solo una vittima, vittima del suo datore di lavoro, il quale non aveva mai accettato il suo rifiuto.
Le chiesero se voleva un passaggio fino a casa, lei rifiutò dicendo: ” No grazie, preferisco andare a piedi, adoro passeggiare e respirare l’ aria dolce di una sera autunnale.”