Via Dodecanneso, a Genova, è (lo vedo in una cartina topografica) una strada della zona orientale e residenziale della città.
Conosco un poco Genova, ma non quel suo quartiere; l'avrei potuto visitare, se avessi approfittato, con un po' d'impudenza, di questa lettera:
"Genova, 27 giugno 1984
Egregio Dottore,
grazie delle sue correzioni (avevo ricollegato Massa a Massa di Boscoreale: ma è troppo piccolo!) , e del prezioso suggerimento, che anche a me - pur non conoscendo la situazione napoletana - pare funzionare benissimo. Li terrò presenti, suggerimento di calcolo e correzioni, per una eventuale (ma improbabile) riedizione. Grazie, mi rivolgerò certamente a lei se dovessi di nuovo interessarmi di cognomi, buon lavoro e un cordiale saluto.
Via Dodecanneso 21
16146 Genova
Suo Emidio De Felice" .
Il professor De Felice (1918 - 1993), glottologo all'Università di Genova, negli anni Ottanta era diventato piuttosto famoso (veniva spesso invitato a "Domenica In", su "Rai Uno", da Pippo Baudo), perché si era messo a divulgare l'onomastica italiana (nomi e cognomi) con alcuni suoi libri.
Io, che mi ero laureato con una tesi sulla toponomastica della penisola iberica preindoeuropea, mi ero appassionato alla materia (onomastica, oltre che toponomastica), e avevo comprato alcuni dei suoi libri, in uno dei quali (forse in "I cognomi italiani", ed. "Il Mulino", Bologna, 1980) avevo riscontrato un paio di lievissimi errori concernenti la localizzazione di alcuni paesini campani che avevano dato origine a certi cognomi.
Il professore fu gentilissimo nel rispondermi così umilmente, dandomi, addirittura, il suo indirizzo privato (io gli avevo scritto all'Università) .
Ancora più esplicito fu l'invito che ebbi, una decina di anni dopo, ad andare alle Canarie, da parte di un altro docente universitario, dello stesso ramo più o meno (di Filologia romanza), il rumeno Dan Munteanu (classe 1944), che da un po' di tempo viveva e insegnava in Spagna, e che avevo conosciuto, insieme alla sua compagna, per caso, nella tratta ferroviaria Roma - Pisa, città quest'ultima in cui egli si recava, invitato da un suo collega italiano. Nello scompartimento, alquanto affollato, ci mettemmo intensamente a parlare delle lingue neolatine, e ci scambiammo gli indirizzi. Mi arrivarono un paio di sue cartoline, il testo dell'ultima delle quali, del 22 ottobre 1993, inviata da Las Palmas de Gran Canaria, era (con un paio di comprensibili errori di italiano): "Mille grazie per la cartolina. Da 1 di settembre siamo ritornati a 'casa' e delle belle vacanze c'è rimasto soltanto il ricordo e le nuove amicizie: con la speranza di rivederci cui o a Napoli, tanti cari saluti da Eugenia e Dan" .
A quella famosa domanda in uno dei tanti bei film di Nanni Moretti ("Mi si noterà di più se vado alla festa, o se non ci vado? ") , io non ho esitazioni a rispondere, e scelgo decisamente la seconda ipotesi. E' indubbiamente un mio difetto quasi patologico, in difesa del quale però testimoniano varie esperienze, le quali mi hanno insegnato che il fascino del primo incontro inevitabilmente scema negli incontri successivi (nella mia esperienza di insegnante di scuola media, ad esempio, ho sempre notato che riuscivo a piacere maggiormente agli alunni durante la prima ora di lezione del primo giorno di scuola), perché di solito è proprio nel primo incontro, o nella prima lettera, che si riesce a dare il meglio di sé, che si tirano fuori (anche non volendo) le proprie qualità migliori; in seguito quelle qualità non fanno più presa, perché ormai sono conosciute e, peggio, si esternano pian piano anche i propri difetti.
La fiducia accordatami da quei due professori universitari mi porta a fare, però, anche un'altra riflessione, dato che erano entrambi più grandi di me (uno molto, l'altro poco) ed insegnavano materie linguistiche, come io il francese a scuola: la simpatia, credo, nasce più facilmente quando si fa più o meno lo stesso lavoro, anche se a livelli diversi, e quando c'è una certa differenza di età (allo stesso modo, ad esempio, penso che un famoso chef cinquantenne abbia un impatto positivo con un cuoco di provincia trentenne) .
Ci fu, prima di questi due episodi, nella mia vita un caso ancora più eclatante, quello in cui addirittura mi rifiutai di incontrare un re, non ritenendomi alla sua altezza (è il caso di dirlo...) Beh, era un re detronizzato, Umberto II, ma nel 1972, quando, giovanissimo, mi trovavo a Lisbona per frequentare un corso di portoghese, io e V . (una bella ragazza mia coetanea che si barcamenava tra Napoli, dove studiava, Fano, dove viveva sua madre, e Roma, dove suo padre, ingegnere, si era creato una nuova famiglia) decidemmo di andare a fare una gita a Cascais. Lei era decisa ad andare, con me, a trovare il re a "Villa Italia", perché, sosteneva, a Umberto piaceva incontrare tutti i non molti Italiani, soprattutto se giovani, che passavano dalle sue parti. Io mi rifiutai, ed ora, dopo tanti anni, non ho il rimpianto di non avere visto il re, ma mi dispiace piuttosto di avere tolto alla mia amica quella soddisfazione.
Uno dei motivi che mi spingono a scrivere è probabilmente quello di ovviare in questo modo alla mia riluttanza ad incontrare le persone di proposito, o dopo la prima volta: le possibilità di fare brutta figura, di non piacere, si stemperano nella scrittura, che permette di riflettere numerose volte prima di scegliere le parole meno inadeguate, prima di fare qualche gaffe che ci screditerebbe per sempre, o prima di diventare monotoni e noiosi, al limite della sopportazione.