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Sono nata tra i canti delle mondine, un cielo appannato e lunghe strade tra i fossi; il volo lento di uccelli migratori a spezzare il tempo, a dare un senso alle stagioni. Nelle serate di primavera le terre s’ allagavano d’ azzurro e il mare a quadretti diventava il “ mio mare”, l’ ibis allungava il sinuoso collo nero e sprofondava il becco ricurvo a caccia di piccole prede. Poi i giorni mutavano colore insieme alla terra, che sfumava il verde brillante in toni di ruggine e ocra, e dall’ acqua odori pungenti si mischiavano all’ aria, sciami di insetti formavano nuvole scure che ronzavano fastidiose. Mia madre mi parlava spesso di quando lavorava nelle risaie, delle bisce che le salivano su per le gambe nude, di quel ribrezzo misto a paura che le era rimasto, anche dopo tanto tempo: - Certe cose ti rimangono addosso e nulla potrà mai cancellarle. - ricordava. Mia madre era una donna bellissima dalle forme sinuose, il seno florido, una pelle di seta, occhi verdi e un sorriso dolce e vagamente triste che faceva pensare a certi malinconici tramonti, col sole che cade a picco nelle risaie e l’ aria evapora sfumando nel cielo un che di rimpianto. Io conoscevo soltanto la mia terra, “ quel pezzetto di mare” e il mio desiderio era di poter vedere il mare vero, immenso, senza confini, col blu che s’ increspava nella carezza del vento, e conchiglie sparse su spiagge candide e vellutate, come vedevo su alcune immagini di libri e giornali. Era diventato il mio unico pensiero: vedere il mare, lasciare le mie impronte sulla sabbia soffice, farmi cullare dalle onde e guardare fin dove poteva arrivare, oltre l’ orizzonte, senza quelle strisce di terra che mi sembravano le grate d’ una prigione. Il mio desiderio di nuovi orizzonti cresceva col tempo, divoravo le riviste, i libri che descrivevano Terre lontane, sconosciute, dal fascino esotico. Avevo preso l’ abitudine di percorrere diversi chilometri di strada in bicicletta tra i viottoli polverosi di campagna, per raggiungere la stazione ferroviaria più vicina e vedere i treni che transitavano; non mi bastava più vederli sfrecciare da lontano, persi tra gli alberi e la campagna brulicante d’ insetti. Restavo ad osservare le persone in attesa sotto la pensilina, il grande orologio a scandire i minuti, le partenze, gli arrivi. Aspiravo l’ odore delle valigie appoggiate a terra, immaginando quanti e quali suoli avevano toccato, m’ intrufolavo nella vita altrui, cercando di carpire ogni emozione; restavo a spiare i volti delle persone affacciate al finestrino, nel saluto gettato a un parente, all’ amico, al paese stesso che stavano lasciando. Ormai conoscevo gli orari di tutti i treni della zona, e i pendolari che andavano al lavoro mi salutavano. Alcune persone anziane si preoccupavano per il fatto che fossi lì da sola, uno scricciolo dal viso minuto e un paio di occhiali più grandi di me, ma io li rassicuravo con un“papà sta per arrivare”. Una sera ero parecchio in ritardo, mi ero attardata a sfogliare una rivista che una turista aveva lasciato sul sedile della sala d’ attesa, quindi feci il viaggio di ritorno di corsa, sulle stradine che sparivano tra le risaie. Sicuramente a causa della fretta e l’ imprudenza, ebbi una rovinosa caduta dalla bicicletta e mi scorticai entrambe le ginocchia. Al mio ritorno a casa, mamma dapprima mi rimproverò per il ritardo e per l’ incidente avuto, poi mi disinfettò e ricoprì con le garze le ferite. – Si può sapere che vai a fare tutti i giorni alla stazione? – mi chiese mentre mi medicava. Sobbalzai a quella domanda, chi le aveva svelato il mio segreto? – Vado … a vedere i treni.- tenni gli occhi bassi per nascondere le lacrime, l’ alcool bruciava sulle ferite, ma forse il fatto di essere stata scoperta bruciava di più. La mamma promise che ne avrebbe discusso con papà, non dovevo spingermi così lontano da sola, ero solo una bambina. “ Già, solo una bambina … con tanti sogni, tanti viaggi da compiere e un mare vero da vedere.” Quando mio padre rientrò dal lavoro mi fece sedere sulle sue ginocchia e mi chiese perché avessi questa mania dei treni, dove volessi andare … - Cosa ti manca Anna? Cosa vuoi vedere, trovare …? – Ricordo ancora la dolcezza del suo sguardo, gli occhi marroni dietro le lenti degli occhiali, le fossette che si accentuavano nel sorriso. – Voglio vedere il mondo. Voglio vedere il mare, quello vero!- Mi guardò lasciandomi dentro qualcosa di indelebile, non parlò ma io sentii che qualcosa di nuovo si era stabilito tra noi, forse avevo intrapreso un viaggio, una crescita personale che mi arricchiva. Compresi, e col tempo, ne avrei avuto la conferma, che il vero viaggio siamo noi.
Qualche sera dopo mia madre mi disse che aveva una sorpresa per me: - Domani papà ci porta al mare. -Ricordo l’ emozione, le grida di gioia, e tutta la notte trascorsa a tormentare il cuscino, senza riuscire a dormire. Il mattino presto la mamma mi svegliò, alla fine ero crollata naturalmente, e dopo una piccola colazione salii con i miei genitori sulla Fiat Seicento già carica di borse e vettovaglie. Papà mi spiava dallo specchietto retrovisore e sorrideva, poi tornava attento alla guida, forse immerso nei suoi pensieri. Al finestrino il paesaggio mutava man mano ci si allontanava da casa, dalle risaie ai campi di girasoli, poi le gallerie una ad una, e alla fine di queste, ecco una distesa azzurra.- Il mareee! !! - urlai con tutta la voce. Ecco, ero di fronte al mio sogno, era tutto lì, azzurro e meraviglioso, con bagliori dorati e onde morbide, e qualche vela bianca a punteggiare l’ infinito. Rimasi un po’ delusa dalla spiaggia piena di sassi, ma papà mi spiegò che in Liguria non c’ erano grandi distese sabbiose, ma piccole coste a ridosso della collina, e che vantava un’ aria salutare dovuta al clima misto. Sul telo disteso in riva al mare, mi colmai gli occhi d’ azzurro, ma mi bagnai appena, perchè l’ acqua mi arrivava subito al petto dopo pochi passi, e ovviamente non sapevo nuotare. Avevamo mangiato i panini portati dalla mamma, e la torta che aveva preparato, squisita. In aria alcuni aquiloni intrecciavano i fili tra loro in una danza verso il sole e tutto era perfetto, meraviglioso. C’ era una lieve brezza a increspare il cielo e a farlo sembrare un tutt’ uno col mare, mamma e papà erano sdraiati accanto a me, sonnecchiavano sazi e rilassati. A un tratto sentimmo delle grida disperate, una donna chiamava aiuto, indicando qualcuno che si dibatteva nell’ acqua. Papà si alzò e corse verso il mare, tuffandosi senza pensarci un attimo. Io e la mamma, ammutolite, stavamo abbracciate a guardare mio padre che nuotava sempre più lontano. Si era formata una piccola folla sulla battigia, la donna tremante piangeva e gemeva senza controllo -Paolo, Paolo!!- Mamma le si avvicinò, tentò di rassicurarla, ma era più spaventata di lei. Un altro signore intanto, si era tuffato in loro aiuto e la tensione era forte, tutta la spiaggia ora tifava per loro, alcuni pregavano. In quel momento pensai a quanto potesse essere insidioso il mare, a come tutto potesse cambiare in un attimo, sconvolgendo la vita delle persone. Furono i minuti più lunghi della mia vita, fino a quando finalmente vidi mio padre, stravolto, uscire dalle onde e trascinarsi a riva, portando con sé il corpicino del bimbo. L’ uomo accorso in aiuto, prese in braccio il bambino e insieme tentarono di rianimarlo. Furono momenti terribili, ma alla fine il bambino sputò fuori un fiotto d’ acqua, riprese a respirare e la madre corse ad abbracciarlo piangente. Anch’ io corsi da mio padre, lo guardai con gioia e orgoglio, e lui mi strinse forte tra le braccia, provato e commosso. “Era un eroe, era il mio papà …” pensai mentre la gente lentamente tornava al suo giorno di vacanza, e Paolo, confuso e coccolato, si scusava per essersi allontanato imprudentemente. Più tardi ci ritrovammo tutti insieme a gustarci un buon gelato, offerto dalla mamma di Paolo, che non finiva di ringraziare e ripetere al figlio di non allontanarsi più. La sera ci avviammo verso casa con qualcosa di prezioso nel cuore, un senso di ricchezza che non aveva nulla a che fare con il denaro, il significato di una vita salvata, il profondo valore di quel gesto coraggioso. Fuori il cielo incendiato dal tramonto mi regalò l’ ultimo saluto del sole, e mi addormentai sul sedile della macchina sognando il mio mare a quadretti e il sorriso del piccolo Paolo.
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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«Un mix di emozioni nate da ricordi e riflessioni, in cui il desiderio di scoprire nuovi mondi č quel viaggio che č in ognuno di noi» |
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