Ogni mattino, all’ombra dei grandi alberi di mango, la nonna pilava il mais, chicchi dorati destinati ai polli che allevava, liberi di zampettare nel vasto abbraccio del terreno che avvolgeva la casa. Le sue giornate erano un canto immutabile, una routine che, nonostante gli anni, non aveva perso la sua melodia, tessuta senza fatica. Mai un lamento udii dalla sua bocca per la fatica quotidiana, né la vidi mai piegarsi dinanzi ad essa.

I pomeriggi, con il lento incedere del tempo che le segnava il volto, erano dedicati alla lettura. Amava perdersi tra le pagine, prediligendo i testi che parlavano di fede. Era donna di profonda devozione e, talvolta, il nonno, per un vezzo gentile, giocava con lei come un bambino, ordendo qualche scherzo, solo per vederla stizzirsi. Lei rispondeva chiamandolo: "Vecchio matto!", e lui rideva, divertito da quella dolce recriminazione, facendola irritare ancora di più.

Amavo osservare la complicità e la serena felicità che emanavano da quelle due anime che tanto amavo, unite da oltre settant’anni. Solo la dipartita del nonno spezzò l’equilibrio e prostrò la nonna. Da quel momento, un velo scese su di lei, trasformandola in una figura smarrita, una grande bambina bisognosa di protezione.

Grandioso affetto

nel vasto mar della vita:

roccia e rifugio