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Come ogni mattina Renzo si guardò allo specchio, salutò sollevando un sopracciglio, l’ uomo che ormai incontrava quotidianamente da più di cinquant’ anni, seguì imperterrito le sue smorfie mentre si radeva, e come ogni giorno gli confidò: - Ciao vecchio mio, siamo rimasti solo io e te, che dici se ci facciamo compagnia anche oggi? – Dallo specchio l’ uomo riflesso parve annuire svogliatamente, Renzo si umettò il viso col dopobarba, passò le dita tra i capelli e s’ avviò verso l’ ingresso pronto per uscire, rivolgendo un ultimo sguardo ad alcune fotografie appoggiate sul mobile in legno; gli occhi divennero lucidi e le immagini un poco tremolanti. In un attimo fu fuori, chiuse il portoncino a chiave, che ritirò con i soliti gesti ormai meccanici, e per un attimo gli sembrò di aver chiuso dentro la sua vita, fu quasi tentato di riaprire, tornare … ma cosa serviva ormai. Di Letizia c’ erano solo le fotografie, e il suo profumo in ogni angolo di casa, la sua risata che aleggiava tra le pareti della cucina e il salotto in pelle. Sentiva ancora il fruscio delle sue gonne e delle mani, piccole e agili, in continuo movimento. Le ricordava su di lui quando facevano l’ amore, sentiva ancora ogni tocco leggero e appassionato, rammentava i suoi gesti nel raccogliere i fiori in giardino, il suo sorriso soddisfatto quando ammirava i boccioli cangianti e recideva i lunghi steli per colmare il vaso in salone, sul tavolo in legno intarsiato. A volte era lui a raccogliere una rosa per lei, glie la faceva trovare insieme al caffè caldo in cucina, e lei sorrideva baciando la rosa e poi la sua bocca, così da lasciargli il sapore dei petali sulle labbra. Renzo si portò istintivamente la mano alla bocca, cercando quel profumo lontano. Si sentì sciocco, solo e avvilito, si asciugò una lacrima e infilò i ray ban, inforcando la bicicletta. Era da parecchio che non andava in bici, ma quel mattino decise di non uscire a piedi, di allontanarsi un po’ di più da casa dopo quel lungo periodo di isolamento; prese a pedalare con impegno, avvertendo la tristezza come una zavorra da abbandonare. Il movimento e l’ aria pura ebbero su di lui un benefico effetto, cominciò a notare il paesaggio intorno a sé e prese a controllare la respirazione. Ora la strada era in salita, incurvò leggermente in avanti il corpo e smanettò sul cambio, sentendo l’ adrenalina andare in circolo mentre attaccava il primo tornante. Intorno a lui la vegetazione diventava man mano più fitta, si trovò in una zona ombrosa ricca di frassini e tigli profumati, sentì la natura avvolgerlo come in un abbraccio, complici il cinguettio degli uccelli e il silenzio del bosco. Solo il vento parlava, un sussurro lieve, che faceva tintinnare le foglie sui rami, e aveva la dolcezza d’ una donna quando sorride dopo l’ amore. Renzo arrivato in cima alla collina che sovrastava il lago, si fermò ad uno spiazzo da cui si poteva godere di una vista mozzafiato. Come ogni volta rimase abbagliato dalle infinite sfumature di verde dei pendii, dai riflessi dorati sull’ acqua e da quel cielo così immensamente azzurro e intenso. Mai si era sentito così in comunione con l’ universo, pervaso da un senso di profonda umiltà, quasi si sentì mancare il respiro dall’ emozione. Sentì le lacrime rigargli le guance e rotolare giù, lasciò che prendessero la via della libertà, non tentò di bloccarle, d’ ingoiarle come faceva sempre, di sentirle bruciare negli occhi e dentro lo stomaco. Pianse, singhiozzando senza ritegno, accucciato come un bambino che ha paura del mondo, solo di fronte la maestosità del destino che gli aveva portato via l’ amore. Si sentì d’ un tratto osservato, si sollevò da terra di colpo, asciugandosi gli occhi con il braccio. – Ehi che c’è? Stai male? – Una ragazza di colore lo guardava stranita – No, niente niente … grazie – Dall’ abbigliamento succinto e appariscente comprese che era una prostituta, in quella zona un po’ appartata ce n’ erano diverse, anime nere sul ciglio della strada, povere ragazze a cui veniva offerta la salvezza e che invece trovavano la schiavitù peggiore. Risalì in fretta sulla sua bicicletta e scivolò giù in discesa, lungo il nastro argentato che portava al lago, ancora provato dal suo sfogo che aveva avuto una involontaria testimone. Il sole era a picco in quell’ ora tarda della mattinata, luglio soffiava di caldo torrido e la giornata si preannunciava decisamente calda. La gente cominciava a popolare le piccole spiagge e i bar all’ aperto, tra le stoffe colorate degli ombrelloni che spiccavano sul blu del cielo. Si sentì stanco e accaldato e il profumo delle brioche era troppo invitante per resistere. Prese posto a un tavolo, sfilò il marsupio e ce lo appoggiò, spostando il posacenere che a lui non serviva. – Buongiorno signore, desidera? – la voce della ragazza lo colse quasi di sorpresa … “ velocissima” pensò. - Un caffè, un bicchiere d’ acqua naturale e una brioche alla marmellata, grazie – La ragazza annuì e con un largo sorriso sparì, tornando poco dopo con la colazione. Renzo evitò di guardarla per non iniziare una conversazione fastidiosa, non era certo dell’ umore, forse non lo sarebbe più stato, pensò con dolore. Non lo si sarebbe potuto definire un tipo troppo loquace, nella cerchia di amici e colleghi era definito un po’ “ orso” ma da quando era successa la disgrazia … ecco che tutto tornava, il sorriso di Lietta, il suo abito color smeraldo di quel pomeriggio, le bretelline sottili sulle spalle nude e abbronzate, e poi la voce, quella voce che aveva toni caldi e voluttuosi, e diventava d’ argento quando rideva. Letizia che aveva voluto offrirgli il viaggio a Tunisi per il loro anniversario, aveva organizzato tutto nei minimi dettagli: l’ hotel, le escursioni, le cene romantiche, la visita al Museo… non aveva previsto l’ attentato, né la feroce follia dei terroristi che avevano ucciso più di venti persone, quattro di nazionalità italiana, fra esse Letizia. Renzo come molte altre volte rivisse i momenti drammatici di quel giorno, Lietta a pochi passi da lui che si voltava a cercarlo tra la gente all’ ingresso del Museo, lui che perdeva tempo a sistemare la macchina fotografica, si chinava a raccogliere qualcosa … poi gli spari, le grida, gente che scappava, spingeva, polvere fumo. Pochi istanti d’ esitazione che gli avevano salvato la vita. Si era ritrovato quasi trasportato dietro una costruzione bassa da cui poteva solo indovinare quello che stava succedendo dentro il palazzo, mentre la polizia locale tentava d’ irrompere e mettere fine al massacro. L’ ultima cosa che ricordava era lo sguardo un po’ incerto di Lietta tra i turisti, i suoi capelli castani dai riflessi dorati. L’ ultima cosa che ricordava di Lietta… viva. Tutto ciò che era avvenuto dopo era avvolto nella nebbia del delirio, del dolore, delle grida disperate di chi ha perso e non si dà pace, del silenzio tenebroso in cui si cerca di non sentire, di credere che non sia successo nulla. Riconoscere il suo cadavere era stato straziante, avrebbe voluto cancellare quella terribile visione ma ogni notte aveva incubi che non gli davano pace. Era tornato in Italia con la salma di sua moglie appena gli era stato possibile, insieme gli altri superstiti che, come lui, avevano gli occhi di chi non dimentica e non perdona. – Signore mi scusi tutto bene? – La ragazza del bar lo guardava timorosa, Renzo si scusò e si alzò dalla sedia pensando che era già la seconda volta quel giorno che succedeva. Decise che non poteva far ritorno con quel caldo, si sentiva spossato e non aveva nessuna voglia di chiudersi in casa a inseguire le ombre del passato. Chiese alla ragazza se poteva utilizzare un lettino, sfilò la maglietta sudata e si sdraiò, rilassandosi alla brezza del lago che trasportava voci gioiose e musica. Sentì i capelli di Lietta sulla sua spalla, la carezza morbida dei seni sul torace nudo, tentò di abbracciarla, trattenerla … ma Lietta sfuggì via, insieme al sogno. Renzo si ritrovò sulla sdraio, turbato e un poco confuso, solo tra la folla dei bagnanti che gremiva il piccolo tratto di spiaggia lacustre. Ordinò un altro caffè al bancone del bar, pagò e se ne andò frettolosamente. Non sopportava l’ allegria della gente, non tollerava il peso della sua solitudine infinita tra la folla. Scivolò via, sulla strada che costeggiava il lago, pedalando velocemente come per sfuggire ai ricordi, al senso di colpa che lo perseguitava: Letizia era morta, lui no, lui era ancora lì. “Finchè morte non vi separi” pensò l’ uomo ricordando gli occhi dalle pagliuzze dorate della sua donna sotto il velo bianco, vent’ anni prima, e poi … quegli stessi occhi chiusi per sempre, la disperazione, lo strazio, l’ impotenza. La carezza fresca degli alberi gli procurò un brivido, la ripida discesa per un momento parve dissolversi nella confusione delle immagini evocate dalla mente, e neppure l’ ultimo inutile gesto di tentare una frenata servì a fermare lo schianto.
L’ acqua era piacevolmente tiepida, le onde minuscole si rincorrevano tra loro giocando nei toni d’ azzurri e smeraldo. Renzo si meravigliò di vedere i pesciolini sul fondo che guizzavano intorno alle sue gambe, tentò di agitarle ma qualcosa glie lo impediva. Provò ancora ma inutilmente, erano come ancorate sul fondo e l’ acqua ora era più fredda, sempre più fredda. Il mare si era ingrossato, le onde a tratti lo sovrastavano e lui non poteva muoversi, nuotare. Fu preso dal panico, sentì il sale entrargli in gola, sputò e annaspando tentò di uscire, le onde nere urlavano sulla sua testa, per un istante pensò “ sto morendo” ma continuò a lottare. – Prendi la mia mano – non fu sorpreso di scorgere Lietta accanto a lui, i capelli fluttuanti nell’ acqua, i grandi occhi dalle iridi smeraldo che brillavano – Vieni.. - ripetè la donna sfiorando le sue dita, lui vi si aggrappò e riuscì a stringerla tra le braccia. Ecco la salvezza, l’ abbraccio che gli era mancato, la pelle, il cuore… tutto era possibile, l’ eternità era lì, in quell’ azzurro senza confini, in quell’ incredibile verità che si chiama amore.
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