Per un lungo periodo di tempo, durante il Regno borbonico, la mia cittadina, che dista soltanto quindici chilometri dal centro di Napoli, con tante altre ad essa vicine fece parte della provincia di Caserta, o di Terra di Lavoro. Era questa una provincia molto grande, che si estendeva dal Basso Lazio fin quasi a Salerno.
Dalla fine del Settecento il principale monumento della Terra di Lavoro fu la Reggia di Caserta. La città capoluogo che vediamo ora, duecentocinquanta anni fa praticamente non esisteva (c'era soltanto un borgo su una collina, a una decina di chilometri di distanza, l'attuale Caserta Vecchia appunto) . La moderna città si sviluppoò in modo alquanto razionale (vie quasi tutte parallele e perpendicolari fra loro) presso la Reggia vanvitelliana, e si riempì di cortigiani di differenti provenienze (gli attuali discendenti possono ormai ben dire di essere arrivati alla fatidica settima generazione, e spesso manifestano un certo sentimento di superiorità nei confronti degli immigrati più recenti) che cercavano incarichi dei tipi più diversi al servizio del re.
La mia cittadina nel 1938 fu dotata di un grande stabilimento industriale, con annessa una pista di volo, per la produzione di aerei (Mussolini in persona venne a posare la prima pietra) . Si costruirono case per i dipendenti (tra i quali mio nonno materno, marchigiano) dello stabilimento (in una di quelle case nacqui io, e in un'altra vissi da bambino), a un paio di chilometri dal centro storico, e (poche) vie rette, parallele e perpendicolari fra loro, che presero, (quasi) tutte, il nome di qualche aviatore più o meno noto ed eroico; le due parti della cittadina rimasero a lungo separate: ancora oggi chi è nato o ha vissuto in quella zona allora nuova si sente un po' diverso dal resto della popolazione del comune.
Un omonimo, per nome e cognome, di mio padre, il puteolano professore di botanica Nicola Terracciano, fu il direttore dei bei giardini della Reggia di Caserta dall'unità d'Italia ai primi anni del Novecento.
Mio padre, invece, cercò inutilmente, dopo la guerra, di essere assunto da quello stabilimento: le raccomandazioni di suo suocero, evidentemente, erano troppo deboli rispetto a quelle fatte da qualche locale combriccola che, con riferimenti politici, si stava organizzando nel migliore dei modi! (Chi allora riuscì ad entrarvi vede ora, o vedrebbe, spesso i suoi nipoti ricoprire un incarico parecchio simile...)
All'avvento dell'unità d'Italia la Reggia di Caserta cambiò un paio di padroni: dai Borboni passò ai Savoia (e credo che da allora cominciò a venire un po' trascurata, ad abdicare alla sua funzione di corte), e infine alla Repubblica italiana.
Dopo la guerra, che lo distrusse in gran parte, anche il complesso industriale della mia cittadina cambiò un paio di padroni; la pista di volo fu abolita, ed al suo posto ora si producono, con alterna fortuna, automobili.
La Reggia di Caserta è diventata, col tempo, praticamente un museo (in gran parte a cielo aperto), e i turisti che la visitano apportano non pochi benefici alle casse comunali di quella città.
Tra cento, o cinquant'anni, chissà, anche la produzione di automobili e di motori d'aerei cesserà (forse allora ci sposteremo in modi adesso inimmaginabili), e le fabbriche della mia cittadina si trasformeranno in un parco archeologico industriale, che sarà visitato a pagamento...
Pare che a Caserta, negli ultimi anni, la presenza della Reggia non più attiva abbia ispirato alcuni suoi cittadini, che sono diventati scrittori ormai noti: Antonio Pascale, Francesco Piccolo (che da ragazzo e da giovane viveva addirittura in un palazzo che sulla Reggia si affaccia), Roberto Saviano...
Alla fine di questo secolo, forse, il cadavere dell'area industriale della mia cittadina saprà ispirare qualche mio conterraneo, inducendolo alla realizzazione di un'innovativa opera letteraria...