Quando andai a Parigi, tutto sommato non rimasi molto impressionato dalla lunghezza, dalla larghezza e dalla bellezza degli Champs- Elysé es, forse perché una loro brutta copia mi era quotidianamente sotto gli occhi, da ragazzino, nella mia cittadina.
C'è qui una strada, perfettamente diritta e lunga più di un chilometro, che conduce dal centro storico all'estrema periferia orientale, e che si chiama come me, via Terracciano, anche se con nome proprio diverso (è dedicata a uno sfortunato aviatore, un mio lontanissimo parente, abbattuto col suo aereo durante la seconda guerra mondiale) .
Il viale dove sono nato è ad essa perpendicolare, e la taglia un po' oltre la metà, verso oriente (un mio sogno - i poeti vivono anche di sogni! - è che tra un centinaio di anni l'amministrazione comunale che allora sarà in carica vorrà dedicare a me quel pezzo di strada - il più piccolo; non potrei certo competere con un eroe! - che porta in periferia, per i miei meriti letterari...)
Si può dire che, nei secondi anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta, io ho visto nascere questa strada, là dove un tempo c'erano soltanto dei terreni coltivati e delle case isolate. Poi, dal 1964 al 1979, trasferitomi in un altro Comune, ancora più vicino a Napoli, per motivi di lavoro di mio padre, persi di vista le sue trasformazioni, e ricominciai a frequentarla dall'inizio degli anni Ottanta, quando, tornato a vivere nella cittadina che mi ha dato i natali, essa aveva praticamente già l'aspetto attuale. Per percorrerla tutta a piedi mi occorrono ora dai dieci ai quindici minuti (sono sempre un buon "promeneur", ma sono finiti i tempi in cui procedevo alquanto speditamente, a una velocità costante di sei chilometri all'ora!)
Se la prendo dal lato del centro storico, nel primo tratto la via non ha ancora il carattere che poi svilupperà, non mi suscita i ricordi di cose viste o fatte lì quando ero piccolo. Superate, però, un paio di banche, e sfiorate un paio di scuole superiori (sulla sinistra), si arriva all'incrocio con un'altra importante arteria, che porta il nome di uno storico locale: svoltando a destra, si giunge nella piazza più grande della cittadina, alla quale da poco è stato dato il nome di un presidente della Repubblica piuttosto chiacchierato ai suoi tempi e che, mi diceva una mia zia (la sorella maggiore di mio padre), era stato un suo compagno di scuola elementare, durante la prima guerra mondiale. (E la mia cittadina non scherza con la politica: attualmente è in auge un giovanissimo e preparato deputato, che sta ricoprendo un incarico importante alla Camera e che, alle ultime elezioni europee, ha votato un minuto prima di me nella stessa sezione elettorale; l'unico suo errore è forse stato quello di entrare a far parte di un partito guidato da un comico, o ex comico...)
Proprio in quell'incrocio mio padre aveva preso in affitto, nei primi anni Sessanta, un modesto locale, per installarvi il suo precario laboratorio di sartoria (pantaloni) . Ogni tanto lo andavo a trovare, perché mi piacevano gli odori che si sprigionavano dalle stoffe. Qualche volta vedevo passare lì davanti una ragazzetta piuttosto disinibita (per quanto potessero essere disinibite le ragazzette cinquant'anni fa, prima dell'arrivo delle minigonne), e mio padre avrà forse commentato una volta, in dialetto (lo usava raramente): "A chella 'nce piace 'o vino cu 'a neve! " (La mia nonna pesarese non veniva mai al laboratorio, ma, se avesse visto la ragazzetta, l'avrebbe apostrofata sicuramente con la stessa frase che dedicava a tutte le ragazze un tantino più sveglie: "La girà a fè la putè na, c'la malé! ")
Superato l'incrocio, procedendo sempre verso oriente e camminando sul marciapiedi dove cinquant'anni fa era spesso parcheggiata una "Dé esse" di cui mi ero tanto invaghito, trovo delle panchine, da non molto tempo fatte installare dall'amministrazione comunale. (Su quelle panchine era spesso seduto, fino a un paio di anni fa, un parente di un mio parente - un cognato di un mio cugino - che pare si sia suicidato per la troppa solitudine: ci si rende conto solo a cose fatte che lo sguardo di una persona, apparentemente soltanto timido e bonario, era in realtà l'espressione di un profondo disagio interiore, contro il quale, forse, si poteva intervenire in tempo!)
Sulla destra, in uno degli appartamenti più grandi e più belli di quelle solide abitazioni (dove del resto sono nato ed ho abitato anch'io) che il regime fascista fece costruire poco prima dello scoppio della guerra (c'è ancora qualche paesano più anziano che le chiama " 'e ccase 'e Mussulino") , ci sono le finestre e l'ampio balcone della casa dove vive il mio primo grande amore, che a me preferì un mio amico d'infanzia (passando lì sotto mi viene da pensare a quanto sia limitato il nostro cervello, che si ostina per anni a perseguire dei sogni irrealizzabili, che non è capace di riconoscere subito le strade a noi più consone...)
Sulla sinistra c'è ancora un asilo infantile, quello dove (avrò avuto quattro anni) fui invitato, durante una festa di carnevale, a rompere, con un bastone, una pignatta appesa al soffitto per raccogliere poi il regalino che conteneva: mi ricordo che mi rifiutavo di compiere quel gesto, che lo trovavo innaturale e offensivo nei confronti della povera pignatta, per cui ci fu qualcuno che guidò il mio braccino per portare a termine una di quelle operazioni delle quali, fin da piccolo, non ho mai capito bene il senso.
Dopo l'incrocio con il viale in cui sono nato, e dopo la comparsa di parecchi pensionati che parlano di problemi di salute e di soldi, e delle sempre incerte sorti dei due grandi stabilimenti industriali del posto, via Terracciano diventa più tranquilla, più residenziale (a sinistra c'è ancora una villetta fiabesca, un tempo abitata da un'anziana signora francese che aveva fatto amicizia con mia nonna), e va incontro alla sua fine, va a morire (sempre dritta!) in una strada a lei perpendicolare e che segna il confine del Comune.
Tanta gente percorre questi "Champs- Elysé es" di provincia, ma credo che poche persone possano provare sensazioni intense come le mie, perché pochi ne hanno assaporato, da ragazzi, gli scenari del passato: del resto, pur abitando da circa trentacinque anni in un'altra zona della mia cittadina, questo quartiere mi appare tuttora piuttosto freddo e neutro!