Non sapevo cosa fare, quella mattina a Palermo più di venti anni fa (mi ero finalmente deciso a visitare per una settimana la Sicilia, l'unica regione italiana da me fino a allora ancora sconosciuta), ed entrai in una chiesa (proprio io che la spiritualità l'avverto più in un fenomeno della natura, nel sorriso di una ragazza innamorata o in quello di un mendicante al quale lascio un euro), col vago proposito di ascoltare, dopo parecchio tempo, una Messa.
Essa cominciò, e mi sembrò subito diversa, più strana e più bella, ma per stanchezza o per distrazione non mi accorsi immediatamente del motivo. Accanto a me c'era una signora, alla quale chiesi spiegazioni. "E' una Messa di rito ortodosso! ", mi disse, ed io la ringraziai. Cominciai allora a seguire più attentamente la funzione, e finalmente riuscii a distinguere i paramenti liturgici del clero, raffinati e sgargianti, e quelle (per me, che non conosco il greco) intraducibili parole che uscivano dalle bocche dei sacerdoti durante la cerimonia. Annusai anche, con voluttà, il profumo dell'incenso, copiosamente sparso nella chiesa da un celebrante.
Finita la Messa, andai a visitare la città, ritenendo chiusa quell'esperienza che col tempo, però, mi ha portato a fare delle considerazioni.
Da ragazzino, quando feci contemporaneamente la prima comunione e la cresima, nel 1961, le Messe (di rito cattolico) si dicevano ancora in latino, e poco dopo accolsi come un fatto positivo la decisione, presa durante il Concilio Vaticano II, di dirle in italiano in Italia e nelle altre lingue nazionali all'estero. Pensavo che finalmente tutti avrebbero potuto capire quello che c'era da capire, senza ripetere a memoria, nelle preghiere, meccanicamente delle formule in latino, di senso oscuro per la maggior parte dei fedeli.
Già, il senso. Quando esso è chiaro e condiviso da tutti, tradurre è efficace (è molto più agevole leggere un trattato scientifico in italiano che in inglese) . Quando il senso è dato anche dalla forma che lo veicola, è già meglio evitare le traduzioni (come nelle opere letterarie) . Quando il senso è ancora più oscuro, incerto, scaturito da secoli di discussioni, di eresie, di scomuniche all'interno della comunità ecclesiastica, esso acquista forza forse soprattutto in virtù della lingua conosciuta male, o sconosciuta, che lo ricopre, quasi alla stregua di formule magiche...
E Georges Brassens, negli anni Settanta, aveva scritto una delle ultime sue canzoni, in cui ripeteva spesso "Sans le latin, sans le latin / La messe nous emmerde" ("Senza il latino, senza il latino / la Messa ci infastidisce") , e nella quale diceva, fra l'altro: "Non sanno ciò che perdono, tutti questi bigotti! Alla festa liturgica, improvvisamente non ci sono più grandi fasti. Non c'è più il magico mistero, e il rito che ci ammalia si rivela allora insignificante. "
Una leggerezza, o la serendipità, come l'entrare quella volta a Palermo in una chiesa non prevista, può, facendoci vedere le cose da un'altra angolazione, aprirci le porte a dei pensieri che forse ci sarebbero difficilmente venuti altrimenti alla mente.