Per molto tempo, dai tredici ai ventotto anni di età, abitai, perché mio padre dovette trasferirvisi per motivi di lavoro, in un comune ancor più del mio a ridosso di Napoli: gli otto chilometri che lo separano dal centro della capitale del Mezzogiorno possono (e più di una volta da me lo furono) essere percorsi facilmente anche a piedi, via Capodichino o via Capodimonte, attraversando un paesaggio semiurbano e poi decisamente urbano.
A diciassette anni mi innamorai di una ragazza di un anno e mezzo più piccola di me: non ricambiato perché non ero tanto il suo tipo, diventammo comunque amici, e talvolta mi si vedeva con lei nella cittadina, e soprattutto sugli autobus che la collegavano al capoluogo.
Il tempo passò, ed avevo ormai vent'anni quando su quei mezzi pubblici vedevo viaggiare anche un giovanotto di cinque anni più grande di me, che da tanti era soprannominato "il maresciallo", forse perché suo padre lo era, o lo era stato. Aveva una corporatura abbastanza massiccia, e a me veniva da chiamarlo piuttosto "l'orsone", per il suo aspetto e anche perché mi guardava da tempo, pur senza conoscermi ancora, con una certa altezzosità, quasi dall'alto in basso, come se si fosse trovato su una montagna (ciò poteva dipendere anche dalla sua origine che, come seppi poi, era di un paese situato tra l'alta Irpinia e il Potentino) .
Non so bene per quale motivo, aveva interrotto gli studi (si laureò molto più tardi in Economia e Commercio, mi pare), ma si era molto legato all'ambiente politico comunale e provinciale (allora, per sperare di avere qualche chance in quel milieu, bisognava fare un lungo apprendistato, non come adesso che basta magari conoscere per caso un comico per essere immediatamente catapultati in parlamento...) , ed appariva sempre indaffarato, circondato spesso da uomini più maturi di lui.
Un giorno, d'improvviso, mi rivolse la parola, e mi invitò a far parte di un circolo culturale che egli aveva da poco fondato. Io, pur con la riluttanza tipica del mio carattere, accettai, senza però comprendere bene subito il principale motivo di quell'inaspettato interessamento per me. La cosa mi risultò più chiara un po' di tempo dopo: era anche lui fortemente attratto da quella ragazza e, non trovando il modo di conoscerla altrimenti, sperava forse in qualche mio "aiuto", anche involontario (fu da allora, probabilmente, che cominciai a dare grande credito alle massime di La Rochefoucauld, il quale sosteneva che praticamente le amicizie disinteressate non esistono, perché nascondono secondi fini e si basano tutte sull'amor proprio) .
Comunque, il circolo culturale funzionava abbastanza bene (fu lì, ad esempio, che seguii alcune conferenze che mi fecero finalmente capire la bellezza del jazz), ed ogni tre o quattro mesi stampava un giornalino locale, con una tiratura di mille copie.
Il "maresciallo" mi invitò a dare un contributo: gli dissi che avrei visto con piacere la pubblicazione di qualche mia poesia, ma lui, non a torto, mi obiettò che le poesie erano ormai troppo inflazionate, e mi invogliò a scrivere qualcosa in prosa. Fu così che pubblicai quattro articoli (fino a quando durò il giornalino) su svariati argomenti, quasi sempre da lui decurtati di un paio di frasi, quelle che potevano urtare la suscettibilità del partito politico di riferimento (la Democrazia Cristiana); gli articoli, a suo dire, ricevettero il plauso di alcuni uomini di cultura napoletani di sua conoscenza.
Con quella ragazza, per lui la storia finì male, anzi non cominciò affatto, perché a lei, anche se lo conosceva soltanto di vista, risultava talmente antipatico che, quando mi invitò a una festa (quella in cui poi avrebbe conosciuto il suo futuro marito), la ragazza mi disse di portare gli amici che volevo, tutti tranne il "maresciallo" ...
Nel 1979 tornai ad abitare nella mia cittadina di origine, e naturalmente non vidi più quell'amico interessato, a parte una sola volta. Era il 1995, e mi dovetti recare al Centro direzionale di Napoli per intascare, dalla compagnia di assicurazioni, l'assegno relativo al furto della mia auto: lo rividi (fu lui a riconoscermi), immancabilmente insieme a un uomo più anziano, con una cartella, o dei faldoni, in mano, segni di riconoscimento del faccendiere (ma anche del commercialista, professione che egli aveva probabilmente intrapreso); scambiammo due parole senza nessun calore, anche se ora, vent'anni dopo, se lo rivedessi il mio dovere sarebbe quello di dirgli che, se non ci fosse stata quella strana amicizia tra noi due, probabilmente adesso continuerei a scrivere soltanto poesie.