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Birra, coca e mare

Biografie e Diari

Ci sono serate come queste che dovrei prendere una dose maggiore di Triazolam per cadere in un sonno chimico.

Verrebbe l'oblio, al risveglio oltre una sensazione di stordimento non mi ricorderei nulla, nemmeno il mio nome.

Invece sono uscita, mi sono messa una t- shirt a caso ed una paio di pantaloni. Berretto e scarpe da ginnastica.

Se non fosse per i capelli lunghi raccolti, potrei essere scambiata per un maschio.

Il seno c'è, ma non si vede.

Poca voglia di parlare, zero di sorridere.

Se stavo in casa sarebbe finita a schifio, mi sarei tuffata nel cassetto dei rimpianti ed avrei consumato un treno di kleenex e mezzo chilo di gelato.

Amicizie dileguate.

I più si sono accasati, fidanzati, qualcuno sposato con prole per un salto di quaglia mancato o voluto.

Altri, uccel di bosco, speriamo facciano un bel nido molto lontano, tanto non gli avrei cercati comunque.

Troppo diversa. Tutti uguali, che palle.

Fuori si stava bene, oddio nulla mai come il divano, ma ci poteva stare.

Semafori lampeggianti, gatti sulle macchine, sirene in lontananza.

Ogni tanto un soffio di vento fresco, profumo di mare.

Per la strada solo io, la mia musica ed il mio sentirmi costantemente fuori posto in ogni luogo, praticamente un cane sciolto.

Prima di consumare benzina per girare a vuoto come un mentecatto diciottene neo patentato, puntai il muso della opel verso il pub di Klaus.

Si chiamava Claudio, ma considerata la sua fissa per la Germania era quasi automatico e scontato affibbiargli questo soprannome.

Io lo chiamavo Crucco quasi a spregio.

Mi sorrideva con quell'espressione sorniona tipo gatto, ma in fondo sapevo, detestava quel nick.

Parcheggiai con creatività ed estro, sperando che i vigilanti intenti a sgominare il crimine evitassero di compilare il verbalino rosa.

Ironicamente pensai a Bat man.

Entrai e salutai.

Klaus alzò le sopracciglia, empre più simili a cespugli.

Chissà se in quel folto bosco, avevano preso casa una colonia di goblin.

Risi come una demente e mi accomodai.

Gli sgabelli erano vuoti, strano, tranne uno, ma per fortuna era dall'altra parte della sala. Solitamente sembra di stare appollaiati su dei trespoli traballanti come avvoltoi, però stasera sembrano meno fachirici.

"Il solito? " mi chiese klaus.

"Ya, meine herren". Dissi sorridendo.

Una bella pinta di Guinness.

Quel colore così strano, quel gusto pieno.

Se ricordo quante botte ho preso potrei tranquillamente vincere un pigiamino di flanella con la parure di orsacchiotto e moppine.

Il primo sorso era un tripudio per le papille. Rigorosamente occhi chiusi.

Le luci soffuse dei neon colorati, quell'odore di un misto strano indefinito non so che era piacevole. Presi un paio di olivine e qualche nocciolina.

Qualche genio pensò bene di mettere della musica. Sperando non fosse rumore.

Dalle prime note inconfondibili, Barry White. Ottimo.

I nervi si stavano sciogliendo.

Mi stirai tipo arco e complice il mio essere maldestra, detti un pugno ad un tale.

Non mi voltai nemmeno per la vergogna, diventai rossa tipo un pomodoro pachino. Volevo sprofondare nello sgabello. Scomparire, fermare il tempo, ma quando sentii rompersi il bicchiere mi venne d'istinto dire "Ecco bravo, stare attento non va di moda? "

Klaus sgranò gli occhi.

"Io posso stare anche attento, ma se ti allunghi dell'altro ti strappi, almeno chiedimi scusa ciccio"

Ciccio? Mi aveva chiamato Ciccio, ma io lo tronco.

Mi voltai per vedere sto pischello, pronta per massacrarlo, ma quando vidi l'altezza mi venne in automatico fare un mezzo sorriso a bimba ebete. Mi rivoltai verso la mia pinta sperando fosse stato un sogno.

"Crucco mi dai un'altra coca per favore, paga la pargola". disse quel tale.

Ci misi un paio di istanti per capire bene che diamine fosse successo.

Mi aveva dato della pargola e lo aveva chiamato crucco.

Cioè ha osato chiamarlo crucco.

Avrei dovuto saltargli addosso e strappargli la carotide.

Poi la razionalità tornò vigile. Lo seguii con lo sguardo, camminava in modo inconsueto, si sedette nell'angolo più buio e lontano del pub.

Mi incuriosì parecchio, tanto che spinta dalla mia innata voglia di farmi gli affari altrui chiesi al crucco chi fosse.

Klaus fece una smorfia e alzò di nuovo le sopracciglia. Aspettavo che prima o poi un goblin cadesse sul bancone, imprecando senza un domani.

"Quello è Bio" e tacque.

Li per li lo stavo per mandare a spigare nel campo di grano sulla statale per Parrana.

"E quindi..." dissi.

Quindi nulla riprese Klaus. Viene, saluta, ordina la sua Coca Cola con limone a parte, un po' di ghiaccio e la consuma al tavolo.

Il più delle volte si mette le cuffie e sta li completamente isolato.

Quando è in serata buona, mette la monetina nel juke box e sceglie Barry White.

Quando è in serata scura non parla se non per monosillabi.

Lo squadrai come uno squalo punta un cucciolo di foca.

"Vedi queste foto qua sopra? " disse Klaus

"Sono sue, le sue onde, il suo mare. Una delle prime sere si presentò, come fanno tutti del resto, battute, freddure, facezie, come se dovessero sostenere un colloquio, io son qua per dare da bere, non faccio il confessore, però la sua uscita mi fece arrabbiare e sorridere allo stesso tempo.

Mi disse: "Hai delle sopracciglia cosi folte che potresti ospitare un'intera colonia di golbin".

Mi piacque e sai bene che non per tutti ho simpatia. Scambiaci due parole vedrai che non te ne pentirai, ma ricordati questo: non parlare di Comunismo, di politica, di calcio, di omosessuali.

Restai sorpresa, incredula, divertita, intrigata e stordita nei giri dell'orologio.

Pagai la mia pinta di Guinnes, la coca di quel tale e pensando feci ritorno a casa.


Matteo Bio Matteucci 24/06/2015 21:51 725

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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