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Questo racconto è inserito in:
 Parte 6 della raccolta "Giulia e la sua avventura " di Annamaria Gennaioli (20 racconti)
 La frattura del tempo

Giulia: capitolo 6. Fulmine

Fantasy

Trascorrevano i giorni e il loro fluire scandito da eventi non troppo positivi. Rumori di guerra si facevano sentire in lontananza. Arezzo era stata riconquistata dalle truppe Napoleoniche, nello stesso tempo gli insorti della” Viva Maria” si riorganizzavano con nuove alleanze per riprendere la città.
Tutti parlavano di guerra, l’occupazione si faceva sempre più aspra. Controlli e permessi restrittivi per la circolazione, solo il medico aveva libertà di muoversi.
Roberto consigliò a Giulia di imparare ad andare a cavallo, avrebbe avuto un lasciapassare idoneo alla sua figura di assistente medico per andare dove c’era bisogno della sua presenza.
La storia del Grigio l’aveva turbata, ogni tanto le veniva in mente quella brutta storia, pensava molto Giulia. Ogni persona che aveva incontrato aveva attirato la sua attenzione, il Grigio non lo aveva conosciuto, ma il suo mistero lo affascinava.
Chissà che aspetto avesse. Alla mente le veniva la figura dei vecchi bravi del Manzoni nei promessi sposi. S’immaginava un brutto uomo con i capelli ricci e lunghi, una rete per tenerli raccolti. Barba e baffi neri, orecchini, collane e mani sporche con anelli e unghie lunghe, calzoni e corpetto color grigio:

< chissà perché lo chiamano "il Grigio"?>

Pensò ancora Giulia.

< Sicuramente per qualcosa che lo distingueva.>
Ritornando alla realtà e rispondendo alla domanda di Roberto, disse:

< si!

Voglio imparare a cavalcare, devo essere autonoma anche per andare a trovare i miei amici alla casa sulla collina.>
Roberto:

< OK! >

<Domani mattina alzarsi presto per la prima lezione.>
Così avvenne.

Le mattine passavano a fare lezione d’ippica.

Giulia imparò presto, sembrava nata a cavallo e anche a Roberto si meravigliò, ma l’importante era farcela.
La villa aveva una stalla fornita, diversi cavalli di vari colori. Giulia ne scelse uno nero, un’attrazione fatale per quel cavallo: Fulmine. Iniziò ad andare via da sola molto presto, ormai i lavori si differenziavano, lei a domicilio a rifare le medicazioni, gli altri i medici in ospedale. Conosceva persone nuove e approfondire le storie, ma una trama in comune, "la miseria" e farsi pagare era difficile ma, indispensabile, altrimenti non poteva tornare da quei pazienti e non approvava che quei poveri fossero abbandonati a se stessi.
Terminate le visite a domicilio e nell’orario stabilito aiutava in ambulatorio, molte persone erano affette da tosse, non esistevano cure per quelle malattie, bronchiti e polmoniti, trattate con le sanguisughe o salassi per far uscire il male, senza comprendere che quel sangue tolto avrebbe ancora indebolito di più il fisico. Provò a consigliare di non farlo, che era una pratica inutile, fu guardata male, il padre di Roberto, Astolfo, la pregò di non mettere bocca nelle sue pratiche mediche.
Provò con Roberto dicendogli che il metodo non portava a nulla di buono. Il ragazzo incuriosito le chiese:

< come fai a dire certe cose?

Cosa ne sai di medicina?

Parla chiaramente così posso far ragionare mio padre.>
Giulia cercava a fatica le parole, voleva spiegare, essere convincente, non poteva scoprirsi troppo, aveva parlato abbastanza, quelle pratiche barbare non le sopportavano e pensò di fare riferimento a dei libri che aveva letto in convento.
Spiegò a Roberto che per curare certe malattie, il fisico non doveva essere indebolito, tutt'altro, aiutato a trovare la forza per combattere il male con l’adeguata alimentazione, il riposo e l’igiene, ma sapeva benissimo quanto era impossibile, almeno in un certo tipo di persone, le più indigenti.
Roberto voleva capire quella ragazza, aveva una sua logica, cercava di fare del suo meglio per salvare il mondo, ma questo non era possibile, il mondo spesso non vuole essere salvato e il suo percorso lo doveva compiere, andare troppo in fretta spesso, dannoso per tutti, doveva darsi una calmata e accettare quella che vedeva e vivere alla giornata.
Giulia capì e promise di portare avanti il suo lavoro come volevano loro. Roberto sospirò sollevato, affermò di nuovo che non dipendeva dalla sua volontà, ma da quella del padre, lo aveva già ripreso per il suo modo di fare e comunicò alla ragazza le parole dette da Astolfo. “ Non è una ragazza normale, ha qualcosa che sfugge, bisogna tenerla sotto controllo altrimenti dovrà andarsene non voglio avere problemi”.
Napoleone aveva portato tante innovazioni, uno di queste, gli ospedali, prima erano solo cronicari o lazzaretti, ma con l’avvento della rivoluzione francese la scienza ebbe un grosso impulso, ma in quella zona ancora l’influenza dell’eresia era troppo forte.
Passarono altri giorni di calma apparente, Giulia proseguiva con il suo lavoro, cavalcava molto e aveva sempre le sue scarpe, le altre erano pronte, ma non riusciva a indossarle, troppo strette o troppo brutte, lei con quelle scarpe aveva le ali ai piedi, anche se era sempre a cavallo.
Un giorno, mentre si recava a medicare un uomo che si era ferito con la legna, un brutto taglio in una gamba, ricucito alla meglio da Roberto, doveva essere medicato per evitare altre complicanze, poi togliere quei punti al momento della cicatrizzazione.
Vicino all’abitazione, Fulmine si fermò agitato, la ragazza non comprendeva la sua inquietudine, cercò di spronarlo, imbizzarrito la fece cadere a terra e stupita, non era il suo modo di fare ...
Stava per rialzarsi, quando dai cespugli usci un uomo, un giovane poco più grande di lei, alto dai capelli ricci neri, armato di pistola e coltello, quella situazione la doveva spaventare come successo a Fulmine, invece tranquilla, chiese chi fosse:

< chi sei?

Come mai sbuchi all’improvviso da spaventare i cavalli?>.
Con calma rispose:

< non sbuco da nessuna parte, sono sempre stato qui, sei tu che cavalchi come una pazza e vuoi anche ragione>.
< Io? Tu che ti sei messo in mezzo, bastava poco che mi rompessi qualcosa, hai spaventato il mio cavallo>.
Cercavano la discussione in una situazione banale, attratti, un magnetismo all’improvviso, come con Roberto ma in quest’ultimo si era fermato all’amicizia.
Lo sguardo, occhi grigi, di ghiaccio, forse un azzurro chiaro che ti penetrava dentro e ti spogliava senza chiederti il permesso.
Giulia si portò le mani al petto, si sentiva attratta e allo stesso tempo a disagio, voleva sapere chi era quel ragazzo, da com’era armato, faceva presagire nulla di buono.
Di nuovo nello stesso istante

< Chi sei?>

< Chi sei?>

Si misero a ridere, avevano chiesto la stessa cosa, allora lei fece il primo passo dandogli la mano, presentandosi.

< io sono Giulia.> Il ragazzo prese quella mano e la sentì gelida.

< Che mano fredda che hai? >

Giulia < mano fredda cuor sincero, ma dimmi: tu chi sei?>.


Annamaria Gennaioli 25/06/2015 15:01 973

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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