Sento il richiamo e presto dovrò uscire per fare quello che già so, perché in questo posto la consapevolezza è naturale e nulla deve essere spiegato.
Non ho paura e non penso che ora sia possibile averne. Provo solo una grande tristezza per ciò che è accaduto così in fretta, anche se so che, prima o poi, perderò la cognizione del tempo.
Sono stato male. Un dolore così forte da fermare il respiro. Ho riaperto gli occhi e vicino al mio letto c'era mia madre. Era lì, bella e luminosa come la ricordavo. Mi stava lentamente accarezzando la fronte con un movimento dolce e affettuoso, come faceva quando ero piccolo. Soffriva, ma non vedevo scendere lacrime, perché esse appartengono alla vita.
"Mi dispiace figlio mio. Non credevo arrivasse così presto. Eri ancora giovane, troppo giovane, ma la morte non guarda in faccia nessuno".
"Mamma, mamma" ripetevo, ma senza chiederle spiegazioni.
Sapevo già la causa della mia partenza e sentivo che lei mi doveva accompagnare per un breve tratto. Le fissai gli occhi e me la ricordai distesa sul letto in ospedale mentre diceva:
"Abbiate cura di voi stessi, figli miei. Vi ho donato la vita e questa è stata la cosa più importante, il motivo della mia esistenza. Me ne vado felice, ma resterò vicino a voi. Vi amerò per sempre. Siete tutto per me, più della mia stessa vita".
Che strano vederla qui. Sembrava impossibile, ma non lo era.
"Mi spiace tanto, figlio mio. Questa è il mio ultimo compito e dopo raggiungerò la destinazione. Andremo insieme nel tuo spazio e poi sai già cosa dovrai fare".
Sì, sapevo che avrei dovuto fare la stessa cosa, ma non vedevo con chi. Però sentivo le acque della tristezza diventare sempre più gelide. Mi baciò sulla fronte, mi accarezzò il viso guardandomi dritto negli occhi, come se volesse ricordare questo momento per l'eternità e, forse, era proprio questo il suo desiderio. Poi sentii un calore improvviso e dopo lei sparì.
Ero come intontito. Ancora non mi rendevo conto, ma sentivo sempre più forte la voce di qualcuno che mi stava chiamando. Non so come, mi ritrovai vicino a una strada e all'ombra di un albero. Conoscevo bene quel posto. Quante volte mio fratello me lo aveva mostrato. Mi vennero in mente le sue parole la prima volta che mi ci portò.
"Ecco Joy. Guarda bene i rami. Cosa ti viene in mente?" Guardai le fronde ripiegarsi verso l'interno e, seppur strano, l'albero non mi diceva nulla.
"Ricordi la stampa che ho comprato ieri? L'albero della vita di Klimt. Sono uguali. Entrambi hanno questi rami che mi danno l'impressione di non volersi espandere verso l'esterno. Li immagino come tanti figli che vogliono abbracciare per sempre la madre che li ha generati, circondando così il tronco. Sembrano aver timore di tutto ciò che c'è intorno e per questo sono ricurvi verso l'interno".
Era vero ciò che mio fratello mi diceva. Anche adesso, riguardandolo, mi appariva uguale a quel famoso dipinto. La casa dove ho vissuto con mia madre e mio fratello era poco distante da questo posto.
Ogni giorno, nel percorso verso la città, guardavo questo strano figlio della natura vicino al giardino della chiesa, dove mi stendevo con mio fratello alla ricerca di un po' di fresco nelle calde giornate estive. Allora la nostra immaginazione volava e ci sembrava di vedere il pittore che, passando per caso vicino all'albero, ne rimaneva talmente stupito da volerne fare un quadro. Un dipinto che fosse simbolo di vita e bellezza, pieno di colori e di fantasia. Mio fratello mi parlava della simbologia ancestrale dell'albero in tanti secoli di storia, quando l'uomo vide nel suo mutare la vita, la rigenerazione e la forza. Allora io mi stupii dei molteplici significati di ciò che prima mi appariva così banale. Più guardavo la strada e più mi sentivo triste. Mi chiesi il perché mi trovassi in quel luogo e senza rendermene conto, fissai l'orologio della torre che si ergeva nel centro della città. Era quasi mezzogiorno e ricordai che la mia morte era sopraggiunta poco tempo prima. Allora mi arrivò la consapevolezza. Una telefonata del medico dell'ospedale e la notizia che ero in coma, la corsa in auto di mio fratello per raggiungermi il prima possibile, una bambina che rincorreva il gatto gettandosi in mezzo alla strada, una improvvisa sterzata e l'albero della vita che si tingeva di rosso. Che strano è il destino che giocando con l'uomo, lo dà in pasto alla morte. Allora pensai che, in fondo, eravamo solo fili d'erba che un vento forte e astioso sradica da terra per farli seccare al sole.
"Eccomi fratellone. Vengo da te piangendo lacrime che non ho più, ma le gocce di pianto sono simbolo di vita e ora è giusto non averne".