CAPITOLO V
Ma ci cominciano a servire il primo piatto, che è spaghetti alla chitarra con sugo d’ agnello… allora il Santovito mi stoppa quella specie di gossip casereccio e ordina a un cameriere di portarci i peperoncini piccanti, perché, dice, senza quelli non se lo sente in bocca il sapore della minestra… e mentre se ne spezzetta due o tre col coltello, con un sorrisetto mi fa “ Ma tu poi lo vedi a me?... che te lo domandi, suvvia lo so, che sto a farci io qua… ma è perché sono anch’ io un poeta, si capisce, che ci sono a questa festa… ma che non faccio per niente la roba mia in italiano, io, ma solo in stretto dialetto… ma non ti devi credere però che me ne sbatto della metrica, io, e vado a capo così, a cazzo di cane… ma che me li taglio e me li cucio per benino, io, i miei versi… con vestitini tutto chiusini chiusini, classici… e ci ho quasi una bibliotechina di stilistica e di metrica a casa mia, e me li sono letti davvero i miei libri, tutti… e non ti devi nemmeno credere che ci metto dentro a questa forma così formata contenuti quali… come era bella la vendemmia… o le rimembranze delle credenze o delle conche o delle arche e tutta ‘ sta balla qua… ma ci ficco invece la vera realtà che viviamo noi oggi, in questi paesini piccini… che di solito miro agli amministratori e ai politici, ai pezzi grossi, insomma… che senza saperci fare neanche la O col bicchiere, ci tirano su l’ urbanistica a sti paeselli che ci son diventati così come te li vedi tu adesso… da rabbrividirci, da vomitarci sul serio… e così mi escono satire con strofe saffiche, canzonature con versi alcaici, sonetti pepati e caudati… ma dove mi ci trovo di più è con gli stornelli, i rispetti e gli strambotti… specialmente questi ultimi due… che io dico che ci servono pochi giri di parole per dire le cose come sono, pane al pane, vino al vino… ma pensa un po’ te... tu in otto versi gli ci scatti l’ istantanea al puzzone, al mascherone da martedì grasso… e ce li fai vedere come sono brutti e stronzi… e mi piace metterci la rima baciata, alla fine… così che me li sigillo per bene dentro alla botte, ad invecchiarli… fino a quando qualcuno se la spilla, magari…
Che t’ importa che nessuno ti mesce?
Che t’ importa che si scolano i mosti?
Domani il cantiniere stapperà la bottiglia preziosa
che le generazioni future berranno
CAPITOLO VI- L’ Intermezzo
Ma non termino ancora i miei maccheroni piccanti, che si alza lo Spadaccini e ci invita tutti ad ascoltare un intermezzo musicale “ Abbiamo l’ onore di avere fra noi” ci dice “ una bravissima pianista che ha suonato con le maggiori orchestre d’ Italia… che se fate un pochino di silenzio poi, vi si esibirà al pianoforte e forse ci riserva, in più, una gradita sorpresa”… allora tutti si rivoltano verso una tizia esile, smunta, ossuta, snodata… che ci sembra la fidanzata di Bracciodiferro, proprio… e così ciascuno a dire la sua “ Ma brava”… “ Ma bene”… “ Ma su, suonaci qualcosina…”… l’ Olivia un po’ ci ringrazia e un po’ si schermisce dai complimenti che gli piovono addosso… ma alla fine, dopo preghiere e suppliche, ce la vediamo svelta che si alza e si dirige ad un pianoforte a coda posto in un angolo dell’ ampio salone, tra due piante di ficus… a passettini, quasi a saltelli, si raggiunge alfine lo sgabello che si aggiusta con calma, ci si siede sopra e ci rimane un po’ incantatella, quasi che si aspettasse l’ ispirazione… all’ improvviso attacca a suonare sfrusciando le dita sui tasti un pezzo di Ravel, e poi altro ancora… tutta roba delicata e dolce, che ci faceva a pugni però con la mia lingua e la mia bocca che ci ardevano, davvero, per i peperoncini del Santovito… che se la sapeva lunga, lui, del mio imbarazzo “ Ma che ci bevi l’ acqua, tu, per farti passare il bruciore?”… e mi versa del vino “ ma te lo devi innaffiare col vino, invece, il tuo stomaco”… che quasi mi ci ubriaco, io, per spegnere quel incendio… intanto quella finisce i suoi brani musicali e si chiama a sé un tale che gli sedeva vicino… un tenore, barbuto e robusto, che ci sembra, spiccicato, il rivale del Bracciodiferro… allora il Bruto, che era poi la sorpresa annunciata, si piazza vicino al piano, e l’ Olivia, con la sua vocetta acida e flautante, ci dice che vuole omaggiare questa terra con una romanza ottocentesca, e così, dopo un po’, ci attaccano:
L’ alba sepaaara dalla luce l’ ombraaaaaaa
e la mia voluttà dal tuo desireeeeeeeeee,
O dolci stelleeeeeee
è l’ ora di morireeeeeeee…
ma non me lo sopporto mica quel torcibudella… mi alzo e tutto sbilenco, me ne vado, pardon, ai cessi, che stavano, si sa, in fondo al salone a destra… quando torno trovo quella specie di cartone animato già concluso e i camerieri, svolazzanti e motteggianti, ci servivano gli gnocchi di patate col sugo di maiale…