Ci fu un tempo in cui Parigi e Napoli erano le due città più grandi d'Europa e, quando ero giovane, questo fatto era ben simboleggiato da un treno espresso, il "Napoli Centrale - Paris Gare de Lyon", che io presi all'andata e al ritorno (e in un'occasione solo al ritorno) quattro o cinque volte. La prima volta è sempre la più emozionante, ed è su di essa che vorrei intrattenermi.
Era il 2 agosto del 1971 e avevo solo vent'anni (allora si diventava maggiorenni a ventun anni, e pertanto mi ero dovuto munire di un permesso per l'espatrio rilasciatomi dal Comune, dopo un'autorizzazione di mio padre) . Era la prima volta che mi recavo all'estero, e alla stazione di Parigi mi aspettava un amico molisano che si trovava lì già da qualche settimana.
Il treno partì da Napoli alle 13 e 52, e il mio primo compagno di viaggio fu un signore anziano, col cognome uguale a quello di un famosissimo filosofo abruzzese (ma napoletano d'adozione) del Novecento: andava in Francia per motivi di salute (la cosa mi impressionò un poco, perché quando si è giovani si pensa che i viaggi debbano essere soltanto di piacere) . Ricordo poi di avere conosciuto una signorina di Montalto di Castro, che si recava a Parigi per studio, ma soprattutto (come potei constatare in seguito) per amore... Ricordo ancora quella ragazza francese che, aprendo la sua bottiglietta di acqua minerale, mi disse: "Vous en voulez un petit peu? " (Alla stazione di Pisa cercai vanamente di aiutarla a vedere la Torre, cosa che lei ardentemente desiderava; e, a proposito dell'acqua minerale, mi rammento dell'errore, gentilmente da lui correttomi, che feci quando ne ordinai una bottiglia al giovane francese addetto al carrello delle bevande: dissi "miné relle" anziché "miné rale" .) Ricordo infine, poco prima dell'arrivo, un attempato e distinto signore francese accanto a me: penso ancora adesso che, a causa del suo aspetto e del suo atteggiamento, dovesse essere un importante politico o industriale...
Conoscevo allora l'Italia solo fino a Pisa, e dopo questa città, quindi, cominciò la parte più bella, ma anche più misteriosa (e leggermente ansiogena) del viaggio: guardai con molto affetto Genova dal finestrino (mi ero in quel periodo invaghito dei cantautori genovesi), e quando il treno arrivò a Torino mi sembrò quasi di essere giunto alla meta, osservando quella città così simile alla Parigi che avevo visto nelle fotografie, nei film, nei documentari, e sulla quale avevo fantasticato (mi venne quasi la voglia di scendere lì...)
A causa delle solite inefficienze italiane, il treno arrivò alla frontiera di Bardonecchia / Modane con circa due ore di ritardo. Cominciai a preoccuparmi per l'amico che avrebbe dovuto aspettarmi chissà quanto alla stazione, ma i ferrovieri francesi furono così bravi da recuperare poi tutto il ritardo accumulato dal treno in Italia, facendolo arrivare alla Gare de Lyon esattamente all'orario previsto (8 e 52 del 3 agosto), dato che esso percorse il tratto francese a una velocità più sostenuta di quella programmata. (Mi rimasero comunque impresse le verdi campagne, le tante mucche e alcune stazioni i cui nomi mi facevano un po' sorridere, come Culoz e Bourg- en- Bresse - "ampressa", o "ambressa", in napoletano vuol dire "presto", "in fretta" -, oltre a quella, più grande, di Dijon, dove il treno sostò alcuni minuti, dandomi l'occasione di ammirare dal finestrino una bella, prosperosa e disinvolta ragazza che aspettava un altro treno con i suoi amici, e che mi sembrò un po' il simbolo di quella Francia in cui avrei trascorso una ventina di giorni.) Poco prima di entrare in stazione a Parigi, rimasi piuttosto male quando il controllore francese non si limitò, come in Italia, a guardarmi il biglietto, ma lo prese e lo stracciò (avevo da poco iniziato una collezione, che sarebbe durata molto a lungo, di biglietti, dé pliant, conti di ristoranti, eccetera) .
Il mio amico mi aspettava puntuale al quai, e in poco tempo mi fece raggiungere, col mé tro, Montmartre, dove mi aveva riservato una camera in un alberghetto.
Mi risulta che negli anni Novanta questo treno fu soppresso, e fu un peccato: era economico, comodo e simpatico. So che ora per andare da Napoli a Parigi in treno bisogna cambiare in un'altra città e servirsi di convogli velocissimi dai prezzi piuttosto elevati. I giovani pertanto preferiscono usare l'aereo, che spesso costa anche meno. Ma non è la stessa cosa! Viene a mancare la fase intermedia del (lungo) viaggio: essa permette di osservare ciò che viene prima della città da visitare, di avvicinarsi a quel luogo gradualmente. Penso che la conquista (o almeno la tentata conquista) di tutte le cose (delle città, delle donne, di un lavoro...) abbia bisogno di una sorta di marcia d'avvicinamento da fare lentamente, fisicamente o mentalmente, una marcia capace di staccarci pian piano da dove stavamo prima, col corpo e / o con la mente, e di introdurci con maggiore consapevolezza in un nuovo mondo, del quale ci sforzeremo di interpretare il più profondamente possibile i significati.