Ognuno ha un metodo di scrittura (e poi decide se pubblicare o meno) . Vi posso presentare il mio (se può interessare a qualcuno) .
Innanzitutto, c'è il foglio. Sul foglio, quando è a portata di mano, annoto dei pensieri, delle idee (possibilmente originali), che poi si possono trasformare in poesie, in racconti, o in altro ancora. Nel caso della poesia, cerco sempre una metrica, e preferibilmente delle rime: se esse non vengono, ma l'argomento mi sembra interessante, ne faccio a meno, senza privarmi però della metrica (uso di solito l'endecasillabo) . Per i racconti (come in questo caso) scelgo sempre argomenti che credo di conoscere bene, cerco di evitare (nei limiti del possibile) le banalità e le ovvietà e di configurare una lettura gradevole e scorrevole, per quanto è nelle mie capacità. Il foglio viene poi da me riletto parecchie volte, e quasi ogni volta apporto qualche correzione (a un certo punto bisogna fermarsi, perché in teoria, forse, non c'è limite alle varianti) . Le correzioni spesso sono fatte con una penna di un altro colore, per rendere poi, alla fine, più facilmente leggibile la bozza (a volte certe parole, scritte troppo in fretta perché dettate dall'impellente ispirazione, possono risultare illeggibili anche all'autore stesso!)
Poi viene il dizionario. Per quanto crediamo di conoscere bene la lingua, un'occhiata al dizionario non fa mai male, e talvolta serve anche per rassicurarci su una parola che credevamo sbagliata, ma che invece era corretta. (A questo proposito, una delle poche mie poesie giovanili presenti qui nel sito usa la voce verbale "disfanno" che, quando scrissi la poesia, mi fu criticata da un amico: egli sosteneva che si potesse dire solo "disfano" . Gli credetti, ripudiando quel componimento per tantissimi anni; ma francamente era un peccato lasciarlo nel cassetto e, dopo la mia iscrizione a "Scrivere", lo ripresi: aprendo lo "Zingarelli" mi rassicurai, perché appresi che la voce "disfanno" - che dovevo assolutamente impiegare, per motivi stilistici - è ugualmente consentita, accanto a "disfano" .)
Arrivato a questo punto, passo al quaderno. Uso dei quaderni di aritmetica per la scuola elementare, a quadretti possibilmente abbastanza grandi, forse perché mi dà più soddisfazione vedere le parole inquadrate non solo orizzontalmente (come nel quaderno a righe), ma anche verticalmente, vederle ingabbiate, fatte da me totalmente prigioniere... La trascrizione in bella copia sul quaderno permette di avere un'idea di quella che sarà la disposizione delle parole una volta pubblicate, ed equivale un po' all'ipotetica creazione dell'abbozzo della pianta topografica di una città da parte del geografo.
Ma, si sa, il sogno di ogni scrittore dilettante è quello di vedere le sue cose stampate, e allora approfitto di una vecchia (e mitica) "Olivetti Lettera 32" che mio padre, nel 1972, mi regalò per scrivere la tesi di laurea (ma già da parecchio tempo ero innamorato di quelle macchine!) : appena ne ho la possibilità, dal quaderno riporto tutto sui candidi fogli "A4", correggendo di tanto in tanto ancora qualcosa. L'ebbrezza che dà la battitura a macchina (soprattutto forse quella alquanto dilettantistica, con un solo dito, la mia) è superiore sia a quella fornita dalla scrittura a mano che a quella regalata dall'uso della tastiera del computer, probabilmente perché il leggero ticchettio dei tasti sembra accompagnare come una musica la nostra creazione, sembra approvarla.
Dopo questi passaggi, finalmente molti miei scritti (non tutti, o perché non mi soddisfano abbastanza, o perché troppo privati - e quando l'argomento è troppo personale, è più adatto forse ad essere analizzato da uno psicoanalista che da un lettore comune) sono pronti per il computer: l'eccitazione data dal sapere che, appena immesso (con calma, per evitare refusi), lo scritto è subito in attesa di essere letto da chiunque voglia sceglierlo, e in tutto il mondo, è davvero indescrivibile!